Luca Mazzinghi “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Giovanni 14,27). Parlare di pace, oggi, è già di per sé un gesto coraggioso e controcorrente, persino utopico. Scrivo il 29 luglio, festa dei santi Marta, Maria e Lazzaro, ospiti del Signore: sono ben 156 giorni che la Russia ha invaso l’Ucraina e di pace non se ne parla proprio. La notizia di questa guerra è ormai relegata in secondo piano nei giornali e nei TG. Anzi: la strada scelta dai nostri governanti è quella di una maggior produzione e del commercio di armi come unica possibile soluzione alla guerra.
Alla crisi causata da questa guerra (in realtà non è che una delle tante che si combattono nel mondo), alla crisi causata da una pandemia che sembra non voler finire, alla crisi causata da cambiamenti climatici ormai sotto gli occhi di tutti, si aggiunge nel nostro paese la vergognosa irresponsabilità di una intera classe politica che dimostra di avere come unico obiettivo soltanto la propria poltrona. Sostenuta da un popolo che vota “di pancia”, nell’illusione che il più forte del momento possa garantire un po’ di benessere, al di là di ogni autentico progetto politico. Sul piano umano sarebbe già tanto riuscire a recuperare valori come la ricerca di un vero bene comune, di una strategia di dialogo politico a breve e lungo termine che porti a superare o almeno ad affrontare seriamente i conflitti, l’investimento di risorse sui problemi più drammatici che l’umanità si trova a dover affrontare: la povertà, la salute, il clima, l’energia…
E’ poi necessaria e urgente una educazione al vero rispetto dell’altro, al senso del pluralismo, alla lotta contro il fanatismo religioso e, in particolare, alla lotta contro l’ancor più pericoloso, insidioso e oggi rinascente populismo: il mio popolo vale più del tuo (“fratelli d’Italia”; “prima gli italiani”!). Si tratta di un populismo che invoca l’uomo (o la donna!) forte che appunto con la sua potenza potrà risolvere ogni nostro problema: pazienza per i problemi degli altri. I vari Putin, Erdogan, Orbán, osannati da folle entusiaste, hanno molti aspiranti imitatori sia nel nostro paese che in paesi vicini, persone che lavorano per se stesse e in realtà per la guerra.
E i cristiani? Gesù ricorda che la pace che egli da non è quella che ci da il mondo.
La Bibbia, nel suo complesso, è un testo molto realista e di per sé poco irenico. Gli uomini che ci hanno lasciato questi libri nell’arco di quasi un millennio avevano un senso molto profondo della realtà: sapevano bene che nel mondo dominano le guerre, la violenza fratricida, che la Bibbia simbolicamente retrodata fino a Caino e Abele, domina la tentazione sempre ricorrente di vedere persino Dio come l’origine o come la giustificazione della violenza umana, fino a presentare l’immagine di un Dio guerriero che benedice le nostre armi. Gesù stesso sa che la sua parola di amore può paradossalmente provocare divisioni, fino a creare situazioni drammatiche persino all’interno della famiglia: “Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire” (Matteo 10,21). La Bibbia non è pertanto un libro per pacifisti ingenui – oggi peraltro scomparsi e divenuti forse anch’essi realisti disillusi che preferiscono qualche arma sofisticata in più alle marce per la pace.
Nella frase che Giovanni mette in bocca a Gesù, nel contesto della Cena pasquale, la pace appare prima di tutto un dono: “vi lascio la pace, vi do la mia pace”. La pace è così una speranza sempre possibile, nella misura in cui il cristiano si fida di quel Cristo in cui afferma di credere. Una pace, sottolinea Gesù, diversa da quella che da il mondo. Non dunque semplicemente una tregua, un armistizio, una situazione che in realtà prelude sempre a qualche nuova guerra. Neppure la pace è semplicemente una situazione di benessere in cui qualcuno, finalmente, può sentirsi al sicuro perché “Generale, la guerra è finita / il nemico è scappato, è vinto, è battuto”, come cantava Francesco De Gregori tanti anni fa e, tra ironia e polemica, ci ricordava che “la guerra è bella anche se fa male”.
Gesù parla esplicitamente della “mia pace”. Quella pace che offre ai discepoli subito dopo la resurrezione salutandoli così nel momento in cui si presenta a loro nel Cenacolo: “pace a voi” (Giovanni 20,19). Una pace che nasce dalla riconciliazione: la riconciliazione dell’essere umano con se stesso, degli esseri umani tra loro e con il creato, degli esseri umani con Dio. È questa la pace che deve dominare, come dice ancora Paolo: “E la pace di Cristo domini nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo” (Colossesi 3,15). Quello della pace, così concepita, è l’unico “dominio” possibile all’interno di un “regno”, quello di Dio, che ancora nelle parole di Paolo non è altro che “giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Romani 14,17).
Sono convinto che la funzione delle diverse chiese cristiane in relazione alla pace, se davvero le chiese sono formate da persone che credono nel Dio di Gesù, sia oggi quella di mostrare come l’esigenza che gran parte del mondo ha di una pace intesa come sicurezza, di assenza di guerra, possa trovare la sua vera radice nella pace intesa come riconciliazione, come ricostruzione di rapporti spezzati, la pace cioè che ci viene proposta dal vangelo. Compito delle chiese cristiane e dei credenti in Cristo è quello di mostrare poi come la vera possibilità di questa pace sta nel fatto che essa è dono di Dio e, in quanto tale, non è né un bel sogno né una utopia irrealizzabile. Alle chiese spetta infine di mostrare con i fatti, e non solo con le parole, che la forza della pace, della “mia pace” di cui parla Gesù, è una possibilità reale ed è la vera condizione per una pace intesa come “sicurezza”.
Gesù sfida i potenti di questo mondo invitando Pietro a rinfoderare la spada, al momento del suo arresto nel Getsemani, e presentandosi poi di fronte a Pilato senza un esercito dietro le sue spalle, tanto che il governatore Pilato si meraviglia di questo stranissimo re senza truppe. Un re che proclama una pace disarmata e che ne paga di persona il prezzo, sulla croce. Solo in quest’ottica è possibile comprendere una delle “beatitudini” che diviene la vera chiave della pace: “beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Matteo 5,9).