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Lidia Maggi "Quando Amleto ci ingannò. L’umano è diversità e dialettica, non un monologo in solitudine"

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Quando Amleto ci ingannò

 L’umano è diversità e dialettica, non un monologo in solitudine

 di Lidia Maggi Pastora battista 
agosto-settembre 2022

Ha ancora la pretesa di far udire la sua voce quel mito antico, soglia da attraversare per entrare nel mondo della Bibbia.

Quella grande narrazione, capace di aiutarci a leggere le relazioni umane, l’abbiamo deformata fino a piegarla al nostro ordine sociale, per legittimare il predominio di una creatura sull’intero creato e dell’uomo sulla donna. Ma in principio non era così. Quei racconti introduttivi al mondo delle Scritture, dove udiamo la Parola creatrice di Dio, dovevano essere la bussola, la lampada per illuminare i nostri passi nella vita, verso la vita buona. Eppure quei miti, seppure ridicolizzati e delegittimati, osano ancora far sentire la propria voce, non cessano di narrare il mondo desiderato da Dio per mettere sottosopra il nostro ordine del mondo e darci un progetto che ci permetta di ricostruire, dalle macerie delle nostre relazioni, una città-giardino.
La creazione è un progetto, piuttosto che un accadimento del passato: ci sta davanti, non è dietro le nostre spalle. Una futura immagine di umanità che viene messa in scena in entrambi i racconti di creazione. «Facciamo l’umano a immagine e somiglianza di Dio»: un umano in divenire, costruito insieme attraverso un’alleanza - la prima delle tante alleanze bibliche - tra Dio e la creatura. Quel plurale - “facciamo” - mette da subito in campo la relazione. Dio chiama alla collaborazione. Chiama non solo ogni elemento del creato ad esistere, ma l’umano stesso a lavorare per custodire i diversi terreni a lui affidati, dalla terra alle relazioni fraterne, e diventare così immagine e somiglianza del divino nel mondo. L’umanità non è raccontata come un prodotto finito, perfetto, che in corso d’opera si è deteriorato.

In principio c’è il futuro

I miti iniziali si presentano come storie che narrano su un piano cronologico quanto accade di continuo nel cuore umano e nelle relazioni sociali. Sappiamo di essere contemporanei di Caino, quando sospettiamo che il fratello ci rubi la scena. Sappiamo di essere contemporanei di Adamo ed Eva, quando il nostro sguardo viene manipolato dal serpente e il linguaggio dello stupore si trasforma in rivendicazione e accusa reciproca. Sappiamo di essere nel bel mezzo di un diluvio, quando la nostra umanità affoga in un mare d’odio e ingiustizia. Tutto continua ad accadere e la Genesi ce lo narra con linguaggio simbolico per uscire dalla nostra apatia e chiamarci a lavorare. L’umanità è dunque un cantiere in costruzione. I crolli avvengono quando si sceglie l’autoreferenzialità e il monologo.

Umani si diventa, dicendo ogni giorno sì al progetto di Dio. E, a monte di questo progetto, “in principio”, troviamo la memoria di una futura umanità, dove le relazioni tra i sessi non sono ferite, deformate dal potere, come di fatto avviene nella storia. Quel potere, che da sempre rischia di contaminare ogni relazione di coppia e si manifesta con il desiderio di controllare l’altro, più spesso l’altra, riducendola a strumento, proprietà. Anche noi siamo ancora là, ipnotizzati dallo sguardo e dalla voce del serpente, che ci fa desiderare il controllo sul bene e il male. E quando ci accorgiamo che “il re è nudo”, spogliato da eventi inattesi della vita - una malattia, una morte improvvisa, la perdita di un lavoro, la fine di una relazione affettiva - i nostri occhi si aprono e ci vergogniamo di quella nudità che abbiamo negato nel nostro delirio di controllo. Dio allora ci viene a cercare per richiamarci alla vocazione originaria: “Adamo, dove sei?”.
Ecco, se dovessi sintetizzare in una singola frase il senso dei racconti iniziali della Genesi, riprenderei proprio questa domanda. Dio ci interroga sulla nostra umanità smarrita perché non si rassegna al venir meno del sogno della vita buona. Dio ci cerca per aiutarci a ritrovarci e ripartire con una nuova pelle. E se il desiderio di controllo e di dominio ha contaminato ogni aspetto dell’esistenza umana, persino la relazione più intima, quella tra uomo e donna, Dio si ostina a credere che sia possibile ripartire, cambiare direzione, ricostruire sulle macerie. Dio denuncia le conseguenze di quanto accaduto con il raggiro del serpente dicendo alla donna: che cosa hai fatto? Il tuo desiderio ora si volgerà verso il tuo uomo, ma lui ti dominerà! Denuncia il tradimento di un progetto originario di umanità capace di lasciare fuori dalla relazione affettiva il potere, ovvero il patriarcato. Denuncia per mettere in guardia e dire alle sue creature: «ma tra voi non sia così». Altro che punizione divina: il creatore geme per una ferita nel progetto creativo, che ha messo inimicizia tra uomo e donna.
Dietro al riconoscimento della pari dignità tra i sessi espressa nel primo racconto di creazione attraverso l’immagine di un’umanità creata plurale; e, nel secondo racconto, ponendo da subito l’umano in bisogno di relazione; dietro questa narrazione c’è molto di più di una questione sociale che riguarda le donne o le relazioni tra i sessi: c’è una visione del mondo, il sogno della vita buona. «Maschio e femmina Dio li creò» significa riconoscere che non si può dire l’umano senza fare i conti con la differenza. L’umano non è un monologo ma una discussione.

Allora Dio si riposerà

Quando la diversità è negata per sopraffazione di uno verso l’altra - il patriarcato, il colonialismo, il razzismo - il volto dell’umano viene deformato. Smascherare questa deformazione è possibile; rimane, però, difficile fare i conti con quel pensiero strisciante che nega le differenze in nome di un’uguaglianza ideologica, tra i sessi, nella chiesa, sul lavoro, nella vita, tra le nazioni. Un’uguaglianza che schiaccia su un unico modello affettivo, lavorativo, liturgico. Di qui il paradosso di un’uguaglianza che crea disparità invece che tutelare i diritti, offrendo un’unica immagine di famiglia “normale” o, sul piano ecclesiale, un unico modo di vivere la fede e celebrarla. Uomini e donne devono sì avere gli stessi diritti, ma all’interno di una dialettica delle differenze che non vengono armonizzate in una sintesi, neppure quella che va sotto il nome della complementarità.
C’è una gestione della differenza che tradisce un desiderio di controllo. Le tensioni tra le differenze caratterizzano l’umano, lo aprono al dialogo, all’accoglienza e alla creatività del cambiamento. Ora, lo spazio degli affetti, ovvero l’incontro intimo con un tu irriducibile, può rivelarsi una palestra per lavorare anche il giardino delle relazioni sociali. Le differenze, quando non sono demonizzate né troppo in fretta armonizzate, possono diventare occasione di crescita. Arrivare alla “sinfonia delle differenze” richiede una grande disciplina, un lungo allenamento all’ascolto, a partire proprio dalle relazioni più intime. Lì si impara che la diversità può diventare sacramento dell’umano. Quando le coppie, le comunità sociali, le chiese si accordano senza omologarsi, danno vita alla più bella sinfonia del creato. È lì che la voce del canto divino della creazione si unisce a quella dell’umano in relazione. E Dio finalmente, si riposa.

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