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Simona Segoloni: Discriminare le donne nella chiesa è un insulto alla gloria divina

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Le straniere: Simona Segoloni

DISCRIMINARE LE DONNE NELLA CHIESA È UN INSULTO ALLA GLORIA DIVINA

Per la serie di ritratti dedicati alle donne che prendono la voce nella Chiesa, questo mese Federica Tourn incontra per Jesus la teologa Simona Segoloni

Scrive di gender, di violenza istituzionale, di marginalizzazione delle donne, che non possono esprimersi se non «per gentile concessione» degli uomini. Lo scenario è la Chiesa cattolica e lei è Simona Segoloni, 48 anni, docente di Teologia sistematica all'Istituto teologico di Assisi. Scrive e parla con determinazione, senza nascondere un misto di impazienza e di ribellione per lo scollamento evidente fra la realtà di passione e servizio delle donne impegnate nella Chiesa e la frustrazione di chi registra, ancora una volta, il misconoscimento dei talenti femminili. «È come se avessimo a disposizione molti miliardi per rilanciare il Paese e non li usassimo», spiega Segoloni. «Quella delle donne è un'appartenenza ecclesiale ovvia: la Chiesa senza di loro semplicemente non sarebbe. Eppure, nonostante questa constatazione, ogni giorno sperimentano la fatica di trovare uno spazio alla pari con gli uomini e la difficoltà di vedersi riconoscere un dono specifico nella testimonianza evangelica». 

In una parola, sperimentano l'esclusione: sono la lampada messa sotto il moggio, e sono ancora il «secondo sesso», come scriveva Simone de Beauvoir già nel 1949, stigmatizzando la condizione di inferiorità delle donne nella storia e nella società. Non va lontano Segoloni, quando in Sorelle tutte, libro scritto insieme a Elizabeth Green e Selene Zorzi per ragionare sull'inclusività a partire dall'enciclica di papa Francesco Fratelli tutti, sottolinea che «c'è una descrizione del femminile astratta e condotta per sottrazione: la donna non può essere ciò che si pensa sia maschile (e che è semplicemente l'umano) e quindi deve essere quello che resta». 

Il percorso a ostacoli verso la parità è fatto da un passo avanti e due indietro, come le donne sanno bene. «La cosa disarmante è che la discriminazione di genere nella Chiesa viene giustificata chiamando in causa la volontà di Dio», spiega Segoloni, «un'operazione terribile, perché porta le donne a pensare che sia proprio Dio a volerle inferiori». Ribellarsi a questa interpretazione e alla visione depressiva che ne consegue, Vangelo alla mano, significa però entrare in un doloroso conflitto con la Chiesa. Eppure la teologia femminista coglie una «verità antica e irrefutabile», come sottolinea Elizabeth Johnson in Alla ricerca del Dio vivente, quando annuncia che le donne sono «esseri prediletti da Dio»: qualsiasi violenza venga fatta alle donne è per la religiosa americana — non a caso molto amata da Simona Segoloni — «un insulto alla gloria divina». 

Altro che «maschi mancati», come le definisce Tommaso d'Aquino, o destinate a restare in casa «come un chiodo infisso nel muro», secondo la colorita espressione attribuita a Lutero. E se è senz'altro vero che oggi ci sono associazioni e movimenti femminili, anche nel mondo cattolico, che si organizzano per rendere efficace la presenza e la visibilità delle donne, secondo la teologa persistono nelle gerarchie ecclesiastiche «resistenze ottuse» al cambiamento. È l'illusione conservatrice — così la definisce Segoloni — di una Chiesa che identifica la propria identità con quella di una certa cultura della metà del XX secolo, nostalgica di un sistema sociale in cui ci sono ambiti ben distinti e le donne sono relegate nel privato. La teologa è netta: «Questa narrazione, che giustifica un'interpretazione dei Vangeli a partire da una lettura clericale, serve a reggere una struttura ecclesiastica in cui non è vero che siamo fratelli e sorelle». Come si supera questa frattura? «Con una conversione», suggerisce Segoloni, e con la realizzazione di una piena sinodalità, come chiede il Papa. «Bisogna dare alla Chiesa un'altra forma, in cui si decide insieme, anche nell'asimmetria dei carismi, chiedendo la fine del privilegi e del sistema clericale», spiega la teologa, e aggiunge: «Per farlo ci vuole coraggio, soprattutto da parte di chi deve rinunciare al potere». 

Prima di tutto, però, bisognerebbe ascoltare il grido di dolore di chi non si sente accolto, che siano le donne o le persone Lgbt: «Puoi lamentarti quanto vuoi, semplicemente non vieni preso sul serio», dice Segoloni. «È come se ti dicessero: il problema è tuo che non ti adatti». 

Cresciuta in una famiglia «di fede tradizionale non particolarmente impegnata», Simona Segoloni sperimenta in parrocchia a Perugia la verità del Vangelo. «Amavo leggere e mi appassionavo a testi che ora definiremmo regressivi», ricorda, «dalle opere del teologo svizzero von Balthasar al Signore di Romano Guardini, un tentativo di riflettere sulla vita di Cristo che ho ripreso nel mio libro Gesù, maschile singolare». Si iscrive a Giurisprudenza ma lascia presto gli studi in legge per dedicarsi a tempo pieno alla teologia: frequenta prima l'Istituto teologico di Assisi per poi continuare la specializzazione a Firenze. Si sposa, nell'arco di un decennio nascono tre figli e una figlia, mentre continua a studiare e intanto lavora part-time all'Istituto teologico di Assisi. Anni intensi: «Ho dato la tesi di dottorato quando ero incinta di otto mesi dell'ultimo», ricorda. 

Se potesse viaggiare con la macchina del tempo, non ha dubbi: andrebbe in Palestina per vedere con i suoi occhi il figlio del falegname che cammina sul Lago di Tiberiade. Appassionata della lettura narrativa dei testi — tra gli autori che preferisce c'è il belga André Wénin — è incuriosita dalle figure minori della Bibbia, mentre non sopporta Davide, «narcisista e violento: per capirlo bisogna leggere L'Armonia segreta di Geraldine Brooks». Fra i suoi sogni per il futuro c'è una ricerca in teologia, perché pensa che sia arrivato il momento di riscrivere buona parte della dottrina: «Siamo appesantiti da parole e strutture inadeguate a trasmettere la bellezza dell'Evangelo», dice. «Per riuscirci, però, servono libertà e possibilità di mantenersi, due condizioni che in Italia forse non ci sono ancora».

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