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Enzo Bianchi, Fabio Rosini, Ludwig Monti, Paola Radif "Commenti Vangelo 13 marzo 2022"

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Commento al Vangelo della domenica e delle feste 
di Enzo Bianchi fondatore di Bose

Gesù mostra la sua gloria
13 marzo 2022 
II domenica di Quaresimaanno C

Lc 9,28b-36

²⁸Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. ²⁹Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. ³⁰Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, ³¹apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. ³²Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. ³³Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. ³⁴Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. ³⁵E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!». ³⁶Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

 

Nella prima domenica di Quaresima abbiamo contemplato Gesù nella sua condizione umana, tentato dal demonio nel deserto e durante la sua vita (cf. Lc 4,1-13). In questa seconda domenica il vangelo che ci viene donato, quello della trasfigurazione di Gesù, ci porta a confessare che in quella sua carne mortale spogliata delle sue prerogative divine, perché volontariamente e liberamente egli “aveva svuotato se stesso assumendo la condizione di uomo e di schiavo” (Fil 2,7), la sua identità profonda restava quella di Figlio di Dio e il suo destino era la gloria divina (cf. Fil 2,9-11).

 

Eccoci dunque davanti a questo racconto testimoniato dai tre vangeli sinottici (cf. Mc 9,2-10; Mt 19,2-9), ciascuno con dei particolari diversi e significativi. Luca scrive che l’evento avvenne “otto giorni dopo” il giorno della svolta (Lc 9,28a), cioè quello della confessione di Pietro che ha riconosciuto e confessato Gesù come “il Cristo di Dio” (Lc 9,20), quello stesso giorno in cui Gesù ha annunciato per la prima volta la necessitas della sua passione, morte e resurrezione (cf. Lc 9,22). Proprio in quel giorno Gesù decide di salire sul monte santo per dedicarsi alla preghiera, per vivere più intensamente il rapporto con il Padre e attendere la sua Parola. Porta con sé i discepoli a lui più vicini, Pietro, Giovanni e Giacomo, ai quali aveva promesso la visione del regno di Dio prima della loro morte (cf. Lc 9,27)

 

Gesù entra in quell’incontro con Dio, come sempre faceva nei momenti decisivi della sua vita, esercitandosi all’ascolto della sua voce, della sua Parola, per poterla comprendere, assumere e conservare nel cuore e, di conseguenza, poter dire il suo “amen” a questa volontà di Dio. La preghiera di Gesù sta tutta qui, e tale è anche la preghiera del cristiano: non c’è molto da dire a un Padre che conosce ciò di cui abbiamo bisogno (cf. Mt 6,8) e ciò che abbiamo nel cuore, non ci sono lunghi discorsi da fare (cf. Mt 6,7), ma c’è solo da rispondere al Signore con l’obbedienza, con il “sì” assunto liberamente e con grande fede amorosa. Tante volte – ci testimoniano i vangeli, in particolare Luca (cf. Lc 5,16; 6,12; 9,18) – Gesù ha cercato la solitudine, la notte, la montagna, per vivere questa preghiera assidua al Padre; anche ora, dopo la confessione di Pietro, che ha segnato un balzo in avanti nella fede dei discepoli e gli ha permesso di consegnare loro l’annuncio della sua morte e resurrezione, Gesù entra nella preghiera. Sappiamo bene che la preghiera non muta Dio ma trasforma noi, eppure ce ne dimentichiamo facilmente, perché la forma di preghiera pagana che vuole parlare a Dio, che vuole piegarlo ai nostri desideri, sta nelle nostre fibre di creature fragili e bisognose, pronte a fare di Dio colui che può sempre dirci “sì”. Gesù invece non prega così, perché sa che è lui a dover dire “sì” a Dio, non viceversa.

 

Ebbene, in quell’ascolto del Padre, in quell’adesione a lui, accade la rivelazione indirizzata ai tre discepoli, che così vengono costituiti “testimoni della sua gloria” (cf. 2Pt 1,16): secondo il racconto di Luca il volto di Gesù appare “altro” (héteron), le sue vesti raggianti di luce, scintillanti. Per noi umani questa è la visione della gloria: percepiamo un mutamento di Gesù, contempliamo il cambiamento del suo aspetto, la sua forma “altra”, la sua “trasfigurazione” (“fu trasfigurato”: Mc 9,2; Mt 17,2). A prescindere dall’inadeguatezza delle nostre parole, la realtà è che Gesù viene percepito nella sua alterità: l’uomo Gesù, che i tre discepoli seguivano come profeta e Messia, ha un’identità altra, non ancora rivelata, ma che con questo evento si rivela loro momentaneamente, per allusione, comunque in modo sufficiente a trasformare la loro fede in lui.

 

Qui non riusciamo a dire molto di più, balbettiamo, ci sentiamo alla presenza di un evento che chiede soltanto la nostra adorazione. Nel corso dei secoli i cristiani si sono molto interrogati, alla lettura di questo brano. Nella tradizione orientale si è giunti a pensare che in verità Gesù è rimasto lo stesso, mentre sono stati gli occhi dei discepoli a subire una trasfigurazione, fino a essere resi capaci di leggere e vedere ciò che quotidianamente non vedevano (cf. Giovanni Damasceno). Altri cristiani hanno pensato che in questo evento Gesù ha concesso agli apostoli di vedere la sua gloria, di cui si era spogliato nell’incarnazione, gloria non perduta ma solo “messa tra parentesi” nei giorni della sua vita mortale. Altri, recentemente, preferiscono vedere nel racconto della trasfigurazione un’anticipazione pasquale: sarebbe frutto della fede in Gesù risorto, della sua identità svelata nella resurrezione, e dunque letta a posteriori come profezia della Pasqua. Diverse letture, tutte possibili, che non si escludono a vicenda. Noi con semplicità, con occhi semplici, accogliamo il mistero di questo evento come rivelazione:

 

Gesù, quell’uomo di Galilea, che come un profeta aveva dei discepoli e parlava alle folle, quell’uomo precario, fragile e incamminato verso la morte, in verità era il Figlio di Dio e le sue prerogative divine non apparivano perché egli era veramente e totalmente uomo. Sì, quell’uomo era il Figlio di Dio e “in lui abitava corporalmente la pienezza della divinità” (Col 2,9), che nella trasfigurazione si rese visibile ai tre testimoni privilegiati

 

A testimoniare questa identità di Gesù, ecco intervenire Mosè ed Elia, nella loro gloria di viventi in Dio. Gli sono accanto e gli parlano del suo “esodo”, della sua fine, della sua morte che avverrà presto a Gerusalemme, la città verso cui è incamminato: sarà un esodo, un passaggio, perché il Padre lo innalzerà nella gloria (cf. Lc 9,51; 24, 51). Ciò che Gesù aveva annunciato come sua fine prossima a Gerusalemme è confermato come necessitas dalla Legge (Mosè) e dai Profeti (Elia). Vi è qui la convergenza su Gesù di tutte le Scritture di Israele, che solo in lui trovano unità e pieno compimento. Per i tre discepoli questo evento appare come un sigillo su colui che essi seguono: ciò che gli accadrà a Gerusalemme, la città verso cui Gesù sale, è conforme a tutte le Scritture, è secondo la rivelazione di Dio data a Israele, il popolo dell’alleanza.

 

Inadeguati a tale mistero, Pietro, Giovanni e Giacomo sono oppressi dal sonno, ma riescono a vincerlo e a contemplare “la gloria” di Gesù e dei due uomini che parlano con lui della sua passione, morte e resurrezione. Il peso della gloria li invade, così che, in qualche modo, vedono il regno di Dio venire con potenza (cf. Mc 9,1). Pietro allora, in una sorta di estasi, chiede a Gesù di rendere quel momento durevole, in quanto momento di visione e non più di fede, di beatitudine e non più di fatica, di pace e non più di lotta spirituale. Ma mentre Pietro sta ancora parlando in modo estatico, ecco venire la nube della Shekinah, della Presenza di Dio, che li avvolge con la sua ombra, destando nei discepoli timore e tremore. Sono davanti a Dio nella sua sfera di vita, non nella luce che abbaglia ma nella nube che oscura e non permette di vedere: sentono timore ma non vedono nulla, percepiscono la Presenza di Dio ma non la vedono. Però odono, ascoltano il Dio che non si può vedere senza morire (cf. Es 33,20), ma si può ascoltare, proprio come Mosè aveva insegnato ai figli di Israele: “Il Signore vi parlò dal fuoco e voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura; vi era soltanto una voce!” (Dt 4,12).

 

La voce di Dio risuona in quella nube come rivelazione dell’identità di Gesù e, nel contempo, come compito per i suoi discepoli: “Questi è il Figlio mio, l’Eletto; ascoltatelo!”. Cosa ascoltano in realtà Pietro, Giovanni e Giacomo? Ascoltano il Profeta promesso da Dio attraverso Mosè, il Profeta al quale deve andare l’ascolto (cf. Dt 18,15), e vedono il compimento della profezia di Isaia sull’anonimo Servo del Signore, figura attesa dai credenti di Israele: “Ecco il mio Servo, il mio Eletto” (Is 42,1). La rivelazione ormai è Gesù stesso, la sua persona, e il grande comando “Ascolta, Israele!” (Shema‘ Jisra’el: Dt 6,4) diventa: “Ascoltate il Figlio, l’Eletto di Dio, ascoltate lui!”. Anche l’ascolto della Legge e dei Profeti deve diventare ascolto di Gesù, il Figlio che Dio ama perché compie la sua volontà, conformemente alla missione ricevuta. I tre ormai conoscono Gesù: è il Figlio amato di Dio, da lui inviato perché fosse ascoltato.

 

Così, nel silenzio, si conclude questo evento non facilmente narrabile: Gesù è di nuovo solo con i tre, i quali, ammutoliti dallo stupore e dall’adorazione del mistero, non parlano, non sanno raccontare ciò che hanno visto, fino a dopo che Gesù sia risorto dai morti. Proprio della resurrezione, infatti, la trasfigurazione è segno e profezia!


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Don Fabio Rosini, direttore del Servizio per le Vocazioni della Diocesi di Roma, 

commenta il Vangelo del 13 marzo 2022, II domenica di Quaresima Anno C.



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II domenica di Quaresima Anno C

Lc 9,28b-36

Ascoltate il Figlio!

Ludwig Monti, biblista

  

Se la prima domenica di Quaresima ci ha mostrato Gesù a confronto con la tentazione, faccia a faccia con Satana nella solitudine del deserto, la seconda ci presenta Gesù che sul monte Tabor, insieme ai tre discepoli a lui più vicini, conosce la trasfigurazione di tutta la sua persona, resa partecipe della luminosa gloria del Padre. Nel cammino quaresimale la trasfigurazione di Gesù indica il fine a cui tende questo cammino: la resurrezione, l’evento della Pasqua di cui la trasfigurazione è anticipazione e profezia. Abbassamento e innalzamento che non vanno però opposti in modo schematico ma si richiamano l’un l’altro.

Subito dopo aver ricevuto la confessione di Pietro che lo ha proclamato con fede Messia, Gesù ha fatto il primo annuncio della necessità della sua passione, morte e resurrezione (cf. Lc 9,18-22). E proprio dopo questa rivelazione, “circa otto giorni dopo”, ecco l’evento della trasfigurazione, che ha una funzione precisa: attestare che Gesù è veramente il Messia, come lo aveva proclamato Pietro; ma attestare anche che la sua messianicità, la sua gloria, contiene come necessitas umana e divina la sua passione e morte. Sempre nella libertà e per amore.

Gesù aveva annunciato la venuta del regno di Dio, aveva annunciato anche che alcuni dei suoi discepoli avrebbero visto il regno di Dio prima di morire (cf. Lc 9,27). E così avviene. Gesù prende con sé tre dei suoi discepoli, Pietro, Giovanni e Giacomo, e sale sul monte per pregare, per trovare luce sul cammino che lo attende. Ed ecco, durante la preghiera, la manifestazione della gloria di Dio nella sua carne, nella sua persona: trasformazione del suo volto che diventa splendente, trasformazione delle sue vesti che diventano sfolgoranti. Gesù è altro? No, è l’uomo Gesù di Nazaret, ma è visto, contemplato nella sua gloria, nel suo legame con il Padre.

In quella luce che Dio dona a Gesù e ai discepoli appaiono Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti, le Sante Scritture contenenti la Parola di Dio, quale conferma per il cammino di Gesù e luce per i discepoli. Mosè ed Elia narrano la necessità dell’esodo di Gesù: in mondo ingiusto, se il giusto vuole rimanere nella logica della giustizia e dell’amore, non può che accettare di essere rigettato. Se dunque il discepolo ha visto con gli occhi della fede la luce di Cristo, allora è equipaggiato alla resistenza, a vivere il paradosso del Vangelo. E tutto questo nella dinamica della preghiera, dimensione su cui proprio il vangelo secondo Luca tanto insiste.

Gesù e i discepoli sono saliti sul Tabor e saliranno sul monte degli Ulivi (cf. Lc 22,39-46) insieme e per pregare insieme. I discepoli hanno visto la gloria di Gesù sul Tabor perché sono rimasti in preghiera; non hanno invece saputo contemplare Gesù sul monte degli Ulivi e seguirlo al Golgota perché quella notte non sapevano pregare. Luca scrive che in entrambe le situazioni i discepoli erano oppressi dal sonno (cf. Lc 9,32; 22,45), ma sul Tabor si tennero ben svegli per pregare e videro la luce, la gloria di Gesù; sul monte degli Ulivi, al contrario, non riuscirono a vegliare, nonostante Gesù li avesse chiamati a pregare con lui, e così decisero l’interruzione della loro sequela, la fuga e il rinnegamento del cammino percorso insieme a lui.

In questo cammino quaresimale la nostra preghiera sia quello che è stata anche per Gesù: ascolto della parola di Dio contenuta nelle Scritture, che diviene colloquio con chi è vivente in Dio, Mosè ed Elia. In questa preghiera Gesù trova conferma al proprio cammino, ormai orientato verso la passione, morte e resurrezione, e lo coglie in continuità con la storia di salvezza condotta da Dio con il suo popolo. In questa preghiera, ci sia dato di rinnovare la nostra fede nella voce di Dio che ripete ogni giorno al nostro cuore: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”.

Il grande comandamento consegnato a Israele: “Ascolta, Israele!” (Dt 6,4), ormai risuona come: “Ascoltate lui, il Figlio!”, la Parola fatta carne in Gesù (cf. Gv 1,14), l’uomo in cui le Scritture trovano il loro compimento (cf. Lc 24,44). Ecco l’essenziale della nostra fede! Questa la via per restare alla sequela di Cristo, certi che la nostra lotta quotidiana, sostenuta dalla preghiera, si aprirà sulla luce della resurrezione e della vita eterna. E fidandoci della promessa di Gesù: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Lc 9,24).

Lasciamoci infine guidare da una riflessione di Origene (prima metà del III secolo a.C.):


Vuoi sapere se i discepoli, quando Gesù fu trasfigurato davanti a loro, lo videro sotto la forma di Dio, quella che era la sua prima, avendo egli preso quaggiù la forma di schiavo (cf. Fil 2,6-7)? … Nota: non è detto solo “fu trasfigurato”, bensì “fu trasfigurato davanti a loro”. Dunque è possibile che Gesù davanti ad alcuni sia trasfigurato, davanti ad altri no.


Possiamo partecipare al mistero di Cristo trasfigurato e conoscere qualcosa della sua luce divina, cioè umanissima? Paolo scrive che “il Signore trasfigurerà il nostro corpo di miseria, per conformarlo al suo corpo di gloria” (Fil 3,21)? Ma qui e ora?

Ripetiamolo: al centro di questa pagina risuona per ciascuno di noi – come per Pietro, Giacomo, Giovanni, Mosè ed Elia – l’offerta del Padre: “Questi è il mio Figlio, l’eletto; ascoltatelo!”. La vita di Gesù è la grande gioia di Dio, dunque anche la nostra gioia, a caro prezzo: l’ascolto. Non difficile, ma esigente: vivere da discepoli e discepole di Cristo significa ascoltarlo. Ossia fare memoria del suo detto e del suo non detto, della sua voce e del suo silenzio, dei suoi gesti e dei suoi incontri. Assumere il suo stile. “Ascolta, chiunque tu sia: l’uomo Gesù è il Signore nostro Dio, l’unico Signore”. A te, a me scegliere se ascoltarlo o no; se cogliere il bagliore delle sue vesti bianche come la luce, soprattutto in mezzo alla nostra tenebra, oppure no. Del resto Gesù stesso, lampada ai nostri passi (Sal 119,105), ce l’ha detto tante volte: “Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!”.


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SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA

Vangelo: Lc 9, 28-36


Tre pescatori sulla vetta di un monte. Il loro Maestro, incontrato sulle rive di un lago, li ha condotti qui e ora assume caratteristiche celestiali, mai viste prima. L'evangelista Luca, come gli altri due che raccontano l'episodio, fatica a trovare un verbo, che la traduzione ha reso con “trasfigurare”, per spiegare approssimativamente ciò che si è presentato ai loro occhi. Un'esperienza di cielo, un anticipo di ciò che sarà di noi nell'abbraccio di Dio. Questo lo possiamo dire a posteriori, lontani millenni da quel giorno, interpretando quel momento già nella prospettiva della resurrezione di Gesù. Ma siamo assolutamente dalla parte di Pietro che, preso da una visione così coinvolgente non si fa troppe domande, solo desidererebbe prolungare il più possibile quello stato di beatitudine.

Gesù parla con Mosè ed Elia, personaggi biblici che rappresentano la legge e i profeti, coloro che hanno preparato e annunciato la venuta del Messia. Ora Egli è lì, conversa con loro finchè una voce, quella del Padre, sovrasta parole e silenzio per apporre, diciamo, la sua firma sulla missione del Figlio. Come già al Battesimo sulle rive del Giordano, Dio certifica la totale fiducia nel Figlio a cui garantisce sostegno in ogni delicato passaggio del Suo progetto di salvezza.

I tre vangeli sinottici concordano nel riferire tutte le fasi dell'evento sul Tabor: nessuna variazione, non sta a loro togliere o aggiungere particolari all'essenziale. L'unico elemento decisamente “umano” che Luca inserisce è quando dice che i tre apostoli erano “oppressi dal sonno” tuttavia si sforzarono di stare svegli. E certo, aggiungiamo noi, si sarebbero rammaricati di non aver goduto di una visione così eccezionale.

Scendendo dal monte, l'esortazione di Gesù a non parlare a nessuno di ciò che avevano vissuto quel giorno, pone un interrogativo per loro che in effetti si domandano il perchè di tanta segretezza. E soprattutto, non riescono ad accettare quella decisione di Gesù, che Luca riporta pochi versetti più avanti (Lc 9, 51) di dirigersi “decisamente” verso Gerusalemme, dove tutto dovrà drammaticamente compiersi.

Ora che hanno visto, devono tacere. Un'altra volta capiterà, sempre a loro tre, di trovarsi vicini al loro Maestro, nel Getsemani. Lì, sì, che avrebbero potuto stringersi a Lui in preghiera per l'ultima volta. Ma il sonno avrà la meglio. E Gesù sarà solo, a tu per tu col Padre.


Interrogarsi

Immaginiamo la scena.

Sul Monte Tabor ci sono tre apostoli con Gesù. Gli apostoli rischiano di addormentarsi.

Ma ecco una visione incredibile: Gesù parla con due personaggi vissuti circa mille anni prima. E poi si trasfigura, cioè da uomo come tutti noi, diventa luminosissimo, splendente, angelico.

Poi tutto sparisce e si sente la voce di Dio Padre che dichiara: ascoltate quello che mio Figlio vi dice.

La nostra fede non si aspetta visioni eccezionali. E' sufficiente ascoltare e far tesoro delle parole di Gesù, applicandole al nostro presente, a partire da quello che il vangelo riferisce della sua vita terrena che per noi diventa un modello a cui ispirarsi.

Vogliamo provarci ogni giorno, nelle nostre incertezze, scelte, atteggiamenti?

                                                                                  

                                                                                                   Paola  Radif

pubblicato su Il Cittadino - Settimanale della diocesi di Genova del 13 marzo 2022 

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