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Enzo Bianchi, Fabio Rosini, Ludwig Monti, Paola Radif "Commenti Vangelo 6 marzo 2022"

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Commento al Vangelo della domenica e delle feste 
di Enzo Bianchi fondatore di Bose

Gesù è stato tentato come noi
6 marzo 2022 
I domenica di Quaresimaanno C

Lc 4,1-13

¹Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, ²per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. ³Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; ¹⁰sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo
affinché essi ti custodiscano;

¹¹
anche:

Essi ti porteranno sulle loro mani
perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

¹²
Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
¹³
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

 

 

 

È la prima domenica del tempo di Quaresima, tempo severo ma “favorevole” (2Cor 6,2) per il cristiano: soprattutto, tempo di lotta contro le tentazioni. Per questo la chiesa all’inizio di questo tempo ci offre sempre il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto, tentazioni che secondo Luca saranno sempre presenti nella sua vita, fino alla fine (cf. Lc 23,35-39). Anche Gesù sapeva che sta scritto: “Figlio, se vuoi servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir 2,1).

 

Gesù era stato immerso nel Giordano dal suo maestro Giovanni il Battista, e durante quell’immersione lo Spirito santo era sceso su di lui dal cielo aperto, mentre la voce del Padre gli diceva: “Tu sei il mio Figlio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Lc 3,22). È stato l’evento che ha cambiato la vita di Gesù, le ha dato una nuova forma, perché da quel momento egli non è più solo il discepolo del Battista, ma è unto come profeta, ripieno dello Spirito. Per questo lascia Giovanni e gli altri membri della comunità e si allontana dal Giordano, inoltrandosi nel deserto di Giuda. Proprio lo Spirito che è sceso su di lui lo spinge a questo ritiro, alla solitudine, per pensare innanzitutto alla missione che lo attende. Lo Spirito lo ha abilitato, lo ha spinto con forza verso questa nuova forma di vita, che vedrà Gesù quale predicatore e profeta, ma egli deve fare opera di discernimento: come attuerà la sua missione? Con quale stile realizzerà la sua vocazione? Come continuerà a essere in ascolto di Dio, il Padre che lo ha generato (cf. Sal 2,7, che secondo alcuni codici costituisce il contenuto della voce del Padre al battesimo)? Come si opporrà a tutto ciò che contraddice la volontà divina?

 

Il ritiro nel deserto è dunque necessario: un ritiro di quaranta giorni, lungo, ma con un limite temporale perché in vista di qualcos’altro. Gesù sa che andare nel deserto significa in primo luogo spogliazione di tutto ciò che uno ha; sa che la solitudine è dimenticare ciò che uno è per gli altri; sa che la penuria di cibo è verifica dei propri limiti umani, della propria condizione di fragilità, dunque di mortalità. Ma solo nella radicale nudità l’uomo conosce la verità profonda di se stesso e del mondo in cui è venuto: e in questa spogliazione la prova, la tentazione è necessaria, da essa non si può essere esenti. Già questo passo di Gesù indica come egli avesse alla base della sua scelta l’adesione alla realtà, alla condizione umana. Quel tempo di quaranta giorni – già vissuto da Mosè (cf. Es 24,18; 34,28; Dt 9,9-11.18.25) e da Elia (cf. 1Re 19,8), già sperimentato nei quarant’anni di Israele nel deserto (cf. Nm 14,33-34; 32,13; Dt 2,7; 8,2-4; 29,4), dopo l’uscita in libertà dall’immersione nel mar Rosso – è un tempo di prova che implica fatica, rinuncia, scelta.

 

Luca esemplifica in numero di tre le tentazioni che in realtà per Gesù devono essere state molte, e con sapienza antropologica le riassume in quelle del mangiare, del possedere, del dominare. Ma mettiamoci in ascolto puntuale del testo. “Gesù non mangiò nulla per quaranta giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: ‘Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane’”. Gesù ha fame, e nel bisogno ecco sorgere la tentazione: sottrarsi alla condizione umana e ricorrere al miracolo, misconoscendo la propria realtà di essere umano. Se sperimento un bisogno impellente, una pulsione forte, quella della fame che morde lo stomaco e provoca le vertigini, come uscirne? Facendo qualsiasi cosa pur di sfuggire al bisogno, si sarebbe tentati di rispondere: una tentazione tanto più forte, quanto più imperioso è il bisogno. Ma Gesù ha digiunato liberamente, non costretto, volendo imparare a dire dei no, a fare una rinuncia. Certamente la tentazione del cibo è unica per Gesù, uomo come noi ma in una vocazione e missione uniche ricevute da Dio, che lo ha appena proclamato suo Figlio amato. Se Gesù può partecipare alla potenza di Dio, perché non ricorrere al miracolo, mutando un sasso del deserto in pane, e così potersi saziare? Con quel miracolo, però, rinuncerebbe a ciò che ha scelto divenendo uomo: spogliarsi degli attributi della sua divinità, condizione che condivideva quale Figlio di Dio, per essere radicalmente in tutto un uomo, un terrestre come ciascuno di noi (cf. Fil 2,6-8). La tentazione è dunque quella di dimenticare l’umanizzazione scelta, di rinunciarvi, e di usare la potenza di Dio per saziare la fame e riempire l’estrema spogliazione. Ma Gesù resiste, perché conosce la parola: “Non di solo pane vivrà l’uomo” (Dt 8,3a). Sì l’uomo non è solo fame di pane, ma anche – come evidenzia il parallelo matteano che cita per intero il passo del Deuteronomio – “di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Dt 8,3b; Mt 4,4). E non si dimentichi: Gesù moltiplicherà il pane per le folle affamate, per gli altri, mai per sé (cf. Lc 9,12-17)!

 

Nella seconda tentazione Gesù vede dall’alto tutti i regni della terra, la loro gloria (dóxa), la loro ricchezza, la loro arroganza, la loro scena mondana. Tutta questa ricchezza può essere a sua disposizione, tutto questo potere (exousía) che è dominio sugli umani e sulla terra può essere da lui esercitato, a una sola condizione: che Gesù adori la ricchezza e il potere, personificati dal diavolo. Se Gesù si sottometterà agli idoli della ricchezza e del potere, questi in cambio saranno nelle sue mani, come strumenti per la sua missione, come garanzia di efficacia: egli riuscirà, riuscirà, in “un’inarrestabile ascesa” (Sal 49,19)… Ma anche di fronte a questa pulsione che abita tutti gli umani Gesù sa dire no. È venuto per servire non per dominare (cf. Mc 10,45; Mt 20,28), è venuto nella povertà, non nella ricchezza (cf. 2Cor 8,9). Ciò non solo non faciliterà la sua missione, ma ne segnerà visibilmente il fallimento secondo l’evidenza mondana; Gesù, però, non pensa alla sua missione come a una conquista, a un grande raduno di credenti su cui dominare. Per questo è libero di rispondere, citando ancora la Torà: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto” (Dt 6,13). Ma qui il diavolo fa anche una rivelazione: a lui sono stati consegnati il potere e la gloria di questo mondo ed egli li può dare a chi vuole, a una condizione: diventare suoi ministri. Dunque, chi ha potere e gloria mondani, lo sappia o no, è un ministro del diavolo!

 

Segue poi la tentazione più alta, per questo l’ultima, la grande tentazione che per pudore non spiego pienamente ma alla quale solo alludo. Non è solo la tentazione di mettere Dio alla prova, forzandogli la mano, ma è anche la tentazione della “nientità”. Dal punto più alto della costruzione religiosa per eccellenza, il tempio, Gesù vede sotto di sé l’abisso, che è anche il nulla, il vuoto, perché la ragione ci dice che nell’abisso non c’è niente, neanche Dio, ma si è abbandonati per sempre, come se non si fosse mai nati: l’abisso dà le vertigini… Cosa deve fare Gesù davanti a questo buco nero? Gettarsi giù, costringendo il Dio che lo ha dichiarato Figlio a fare il miracolo, cioè inviando angeli a salvarlo per impedirgli la caduta, come lo tenta il diavolo citando la Scrittura (cf. Sal 91,11-12)? Oppure accettare la sua situazione, quella di chi vede il fallimento, il vuoto, ma resta fedele a Dio e non lo tenta, non lo provoca (cf. Dt 6,16)? Sì, questa è la tentazione delle tentazioni, già provata da Israele nel deserto quando, di fronte alle difficoltà, alle contraddizioni e all’apparente smentita delle promesse di Dio, si domandava sgomento: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?” (Es 17,7). Ciò avviene anche nei nostri cuori, quando il sentimento del fallimento dell’intera nostra vita ci coglie, ci sorprende e ci confonde, fino a farci dire dentro di noi: “È stato tutto un inganno! Dio non c’era nei nostri inizi, oppure, Dio ci ha abbandonato!”. Questa è la tentazione che vuole contraddire la fede, la fiducia posta in Dio: non bestemmiandolo, non litigando con lui, ma semplicemente negandolo, cioè estromettendolo dal proprio orizzonte e dalla vita.

 

Gesù ha subito queste tentazioni in quanto uomo come noi. Non ci ha dato una finzione esemplare, ma ha veramente vissuto questi abissi, imparando così ad aderire alla realtà: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5,8). Dopo questa prova del deserto, Gesù ormai sa come svolgere la missione e come portare a termine la sua vocazione, consapevole che lo Spirito santo è con lui e che della forza dello Spirito è ripieno. Questa però non è per Gesù una vittoria definitiva: il diavolo tornerà a tentarlo, “al momento fissato”, cercando sempre di renderlo diviso, in modo che la sua volontà sia in contraddizione con la volontà del Padre. Ma Gesù realizzerà sempre la parola di Dio e sarà sempre vincitore su ogni tentazione! Uguale a noi in tutto, eccetto che nel peccato (cf. Eb 2,17; 4,15): per questo trionferà sulla morte e, quale Risorto, vivrà per sempre quale Signore del mondo.


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Don Fabio Rosini, direttore del Servizio per le Vocazioni della Diocesi di Roma, 

commenta il Vangelo del 6 marzo 2022, I domenica di Quaresima Anno C.



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I domenica di Quaresima Anno C

Salmo 91

Con te io nell'angoscia

Ludwig Monti, biblista

  

Il Signore Gesù Cristo fu tentato dal diavolo nel deserto, ma in Cristo eri tentato tu. Tua infatti era la carne che Cristo aveva preso perché tu avessi da lui la salvezza. Egli aveva preso per sé la morte, che era tua, per donarti la vita; da te egli aveva preso su di sé le umiliazioni, perché tu avessi da lui la gloria … Se in lui siamo tentati, in lui vinciamo il diavolo. Ti preoccupi perché Cristo è stato tentato, e non consideri che ha vinto? In lui fosti tu a essere tentato, in lui tu riporti la vittoria.


Entriamo nella Quaresima, tempo di lotta spirituale (cioè tempo per diventare veramente uomini e donne!), con queste parole di Agostino. Vi entriamo con un testo un po’ diverso: ci lasciamo accompagnare dal salmo 91 (90), quello di cui il diavolo si è servito per tentare Gesù, all’inizio della sua vita pubblica, come ascoltiamo nel vangelo della prima domenica di questo tempo liturgico:


Il diavolo lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti:

‘Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo

affinché essi ti custodiscano’ (Sal 91,11),

e anche:

‘Essi ti porteranno sulle loro mani

perché il tuo piede non inciampi in una pietra’ (Sal 91,12).

Gesù gli rispose: “È stato detto: ‘Non tenterai il Signore Dio tuo’ (Dt 6,16)”.

(Lc 4,9-12).


Satana mette alla prova Gesù citando addirittura la Scrittura, servendosi dell’abbaglio “religioso”; invitandolo a saltare dall’alto del tempio, gli chiede di “saltare” quello che è il segno per eccellenza della condizione umana, il limite estremo, la morte. Ma Gesù non cede al miraggio di un messianismo spettacolare che costringerebbe le folle a seguirlo: mentre è sommamente tentato (si tratta della terza e ultima tentazione, secondo Luca) non cede alla tentazione di tentare Dio, rifiuta ogni scorciatoia magica o miracolistica!

Gesù non fa della promessa di Dio una garanzia, ma la accoglie abbandonandosi a essa. Come? Abbandonandosi al Padre, lottando per rimanere obbediente a lui e alla propria condizione umana. Questa lotta durerà tutta la vita, se è vero che ancora al Getsemani, nella notte estrema, egli sarà tentato (cf. Lc 22,39-46; allora sì che verrà un angelo a confortarlo); anzi, persino sotto la croce sarà tentato per tre volte, in modo speculare agli inizi (cf. Lc 23,35.37.39).

Si comprende dunque perché la chiesa faccia del 91 il salmo responsoriale tipico della Quaresima, a partire dal suo uso nella prima domenica del tempo liturgico in cui stiamo entrando. Ma anche questo è nient’altro che un segno, un invito a estendere a tutto il tempo la lotta di Cristo, “ambiente” del tempo quaresimale. Non solo “la vita del monaco dovrebbe avere in ogni tempo un tenore quaresimale” (49,1) – come scrive Benedetto nella sua Regola – ma quella di ogni cristiano: non in un senso pio e devoto, ma nel senso che dovrebbe essere costantemente immersa nella lotta di Cristo, per rinnovare ogni giorno la vittoria, grazie al suo aiuto, grazie alla lotta di Cristo nel cuore del credente!

È lui il protagonista, è lui che possiamo invocare con le parole di altri salmi: “Nella mia lotta sii tu a lottare!” (Sal 43,1; 119,154). Solo Cristo, che vive in ciascuno di noi, può vincere il male che ci abita, e la lotta spirituale è lo spazio nel quale la vita di Cristo trionfa sulla potenza del male, del peccato e della morte. In definitiva, questa lotta ha come unico scopo quello di “rivestire il Signore Gesù Cristo” (cf. Rm 13,14), fino a poter ripetere in verità con Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20). Così, con il realismo di chi sa che questa lotta ricomincia sempre e spesso ci vedrà sconfitti, si potrà continuare a confidare in Cristo, nella sua vittoria in noi. Questo salmo, infatti, è una sintesi di tutta la vita di Cristo, come scriveva magnificamente un altro padre, Eusebio di Cesarea:


Il salmo 90 (91) annuncia tutto lo stile della vita umana del nostro Salvatore. Prima parla della tentazione, poi degli eventi della passione, poi dell’assalto contro le potenze avverse dopo la sua morte … Questa profezia fa allusione alla tentazione nel deserto …; in secondo luogo, mostrando gli angeli al servizio del suo corpo, allude alla sua vita come uomo; in terzo luogo, quando dice come egli abbia camminato sulle bestie feroci, mostra la vittoria che egli ha riportato dopo la morte. Quindi aggiunge: “Lo libererò e lo glorificherò, lo sazierò con lunghi giorni e gli mostrerò la mia salvezza” (Sal 90 [91],15-16), indicando così la salvezza con la resurrezione dopo la morte, la gloria divina, l’onore e il regno da parte del Padre.


Dalle tentazioni di Cristo alla sua resurrezione: detto con le nostre povere parole umane, sempre la Quaresima sfocia nella Pasqua. Ovvero, la nostra lotta ci potrà vedere anche sconfitti, anche abbattuti; ma mai – o almeno si spera – “quali reduci mutilati e pronti a mutilare gli altri” (Enzo Bianchi), bensì pronti a ricevere la salvezza promessa sotto forma di fedele misericordia, ricevuta e dunque donata. Confidando con tutte le nostre forze, anche e soprattutto al di là del visibile, nella promessa di Gesù Cristo. Tante volte l’ha sentita su di sé, sempre la dona a noi: “Con te io nell’angoscia”. Questa, infatti, la conclusione del salmo, che mette in bocca al Signore Dio le seguenti parole:


Lo metterò in salvo perché si è legato a me,

lo innalzerò al sicuro perché conosce il mio Nome.

Mi invocherà e io gli risponderò,

con lui io (sono) nell’angoscia,

lo libererò e lo glorificherò.

Lo sazierò con lunghi giorni

e gli farò vedere la mia salvezza.

(vv. 14-16)


Non è dunque un caso che nella tradizione ebraica e cristiana il salmo 91 sia proposto ai fedeli come preghiera prima di coricarsi. Pregandolo e meditandolo, l’amico di Dio ringrazia per essere stato liberato dai pericoli nelle ore diurne; consegna la sua vita nelle mani del Signore, ripercorrendo davanti a lui il frammento della giornata che si conclude, una giornata colma della lotta invisibile, una giornata con ombre e luci; rimette a lui ogni angoscia, ogni incubo, e si affida a lui per le ore notturne che lo attendono, nelle quali non ha più alcun potere conscio sulla propria vita. In attesa di ricominciare l’indomani, “di inizio in inizio attraverso inizi che non hanno mai fine” (Gregorio di Nissa).

Per una volta ci bastano pochi versetti di un salmo, che sprigionano tanta luce, in grado di illuminare ogni tenebra che ci assale. O meglio, di aiutarci a lottare contro le diverse forme di angoscia che ci assalgono, e ognuno conosce le proprie. Proviamo a tenere nel nostro cuore questa promessa del Signore: “Con te io nell’angoscia”.

Tre parole nell’originale ebraico… un programma di vita che va ben oltre quel “sacramento del tempo” che è la Quaresima!


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PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA

Vangelo: Lc 4, 1-13


Tra le dune del deserto di Giuda che sfumano in distanza si colloca l'episodio odierno delle tentazioni di Gesù da parte di Satana, come ce lo racconta il vangelo di Luca. E' una scena di grande impatto emotivo proprio per la sua scarna descrizione, su cui possiamo solo fantasticare e tentare di immedesimarci. Chi avrà raccontato ai tre evangelisti che ce ne riferiscono questo fatto clamoroso, e quando? Possiamo immaginare: avvicinandosi il momento della Croce, forse Gesù ha svelato poco alla volta i particolari della sua vita che non ebbero, o quasi, testimoni, chissà, forse nell'ora estrema del drammatico epilogo, nel Getsemani, quando ormai il tempo a disposizione si dissolveva per sempre... Tutte ipotesi, in realtà tanti contorni restano velati ma il contenuto è ciò che ci guida.

Nel deserto, luogo aspro, essenziale, arido, è più facile mettersi in ascolto di Dio che parla. Tanti monaci ed eremiti dei primi secoli dell'era cristiana privilegiarono questo tipo di ambiente, proprio per sentire Dio più vicino e di conseguenza sentirsi più vicini ai fratelli, come figli di un unico Padre. Ma non per tutti il deserto ha questo forte richiamo. Occorre prima di tutto creare un deserto interiore, quella disponibilità del cuore che genera la volontà di un vero cambiamento. Ed è questo che la Chiesa in Quaresima chiede al popolo di Dio in cammino: l'ascolto di una Parola che possa creare i veri presupposti per una conversione.

Ma torniamo al vangelo. Gesù – dice l'evangelista Luca – dopo il battesimo al Giordano si pone in uno stato di totale penitenza: digiuno e preghiera, a colloquio col Padre. Perchè fa questo? Lo leggiamo nella Lettera agli Ebrei: “Nel rotolo del libro di me è scritto: Ecco io vengo per compiere, o Dio, la tua volontà”. Quindi, accettata la missione di realizzare la salvezza dell'uomo dal peccato, la via è segnata: espierà tutte le colpe delle creature addossandole su di sé. S'immolerà al loro posto, costi quel che costi, come potremo constatare sul Calvario. Per un inaudito gesto come questo, è evidente che Gesù avrà sempre, come uomo, tanto bisogno del Padre, con cui dialoga in preghiera e da cui riceverà, copioso, lo Spirito Santo. In questa atmosfera quasi oppressiva, avvolta nella solitudine, si presenta Satana, il diavolo, che fin dall'inizio della sua carriera di angelo ribelle ha fatto della tentazione il suo cavallo di battaglia. Ha esordito nell'Eden convincendo Adamo ed Eva a seguire i suoi consigli e lungo i millenni non ha perso – né perderà – questa abitudine. La sua presunzione lo porta a tentare Dio stesso nel Figlio e, da teologo qual è, non utilizza parole approssimative, bensì la stessa Parola di Dio. Ma Gesù non crolla. Ha la forza del Padre su di sé, ha la corazza di una preghiera di quaranta giorni alle spalle, ha lo Spirito Santo che veglia su di lui e lo accompagna. La lotta tra il Bene e il Male per ora sembra subire un rallentamento ma, come preannuncia il vangelo, si riaccenderà. Lo stile del diavolo mostra una grande capacità psicologica: in tutti i tempi Satana non agisce a vanvera, ma studia le sue vittime tentandole a partire dalle loro stesse debolezze.

Interrogarsi

Se ad essere tentati siamo noi?

Vogliamo provare a dialogare coi ragazzi durante l'incontro di catechismo.

Gesù non ha parlato solo per i suoi contemporanei, né per alcuni momenti storici. La sua parola oltrepassa i confini spazio-temporali.

Allora proviamo a scavare nelle sue parole per trovare qualcosa che davvero tocca il nostro presente.

Le tentazioni, non sono un fatto superato. Sono diverse le modalità in cui si manifestano oggi.

Visivamente, possiamo raffigurarle come un bivio: da una parte una proposta, dall'altra un'altra.

E possiamo essere certi che la via da scartare è sempre quella più allettante. Però, ogni volta che riusciamo a deciderci per la via migliore per noi, avremo dentro di noi la consapevolezza di un successo personale, interiore, che ci rende più responsabili e più maturi.

Proviamo, tutti insieme a immaginare qualche situazione in cui, arrivando a un bivio, si tratta di scegliere. Valutiamo i pro e i contro e poi...discutiamone.

                                                                                  

                                                                                                   Paola  Radif

pubblicato su Il Cittadino - Settimanale della diocesi di Genova del 6 marzo 2022 

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