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Rosella De Leonibus "Speranza, la trama profonda della resilienza"

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«Non sapendo quando l'alba arriverà, tengo aperta ogni porta.» (Emily Dickinson)
Anna ha alle spalle una storia familiare con un padre alcolista e una madre schiacciata dalla depressione. Si è tirata fuori faticosamente da queste sabbie mobili impegnandosi nello studio, davvero “matto e disperatissimo” come diceva Leopardi, perché l’unico luogo in casa dove poteva stare tranquilla era il sottotetto, tre metri quadri dove poter stare solo seduta a terra sotto al lucernaio, a cui si accedeva con una scala a pioli e una botola. Si portava la lampada di sicurezza per leggere, d’inverno quando fa buio presto, quella che si accende quando la corrente elettrica si interrompe, la luce durava giusto il paio d’ore in cui riusciva a stare sola senza doversi occupare di mamma e papà.
È stata una sua insegnante di educazione motoria a guidarla fino al diploma, a sostenerla mentre attraversava questi inferni familiari. Invano erano stati allertati più volte i servizi sociali, la madre e il padre erano sempre riusciti in un modo o nell’altro a sottrarsi ai provvedimenti che sarebbero stati necessari per tutelare Anna. È stato lo sport a farle le spalle larghe che le sono servite per uscire di casa e guadagnarsi da vivere come istruttrice per bambini, il titolare della palestra che ha creduto in lei, il servizio psicologico pubblico per i giovani che quando studiava la ha sostenuta gratuitamente. Il suo progetto di vita comprende oggi la possibilità di riprendere gli studi con la formazione universitaria.
Anche ora ha un supporto psicologico, che la aiuta a stare alla larga dai sensi di colpa e dalle profezie negative sul futuro che l’eredità familiare le ha implicitamente consegnato.
Luljeta è appena uscita da una casa di accoglienza per donne vittime di violenza. Porta dentro di sé le ferite profonde che la sua psiche, non solo la sua pelle, ha dovuto subire, e sta cercando un nuovo lavoro in una città diversa dalla sua. Il suo percorso è stato lungo, ha impiegato anni a riconoscere le violenze a cui il partner la sottoponeva, ha raccontato, ha pianto e qualcuno ha asciugato le sue lacrime. Il giorno del processo aveva le gambe che tremavano, voleva solo scappare via, voleva nascondersi e non esistere più per nessuno.
La sentenza di primo grado ha riconosciuto la violenza, poi è stato presentato il ricorso, e lei ha deciso di cambiare città. Sta seguendo ancora on line il suo percorso psicologico, e le operatrici del centro antiviolenza della nuova città la stanno aiutando a radicarsi nella sua nuova vita.
Si è iscritta a un corso di formazione professionale per pasticcera, la sua passione da sempre, e riesce a seguirlo mentre lavora.
Ha solo 25 anni, e già conosce troppe cose dell’amaro della vita, tuttavia è stata aiutata a guardare oltre il suo presente e a sperare, passo passo, dando fiducia a se stessa.
Giorgio ha 38 anni, ha appena ricevuto una diagnosi di sclerosi multipla.
Non sa fino a quando sarà in grado di svolgere il suo lavoro di educatore professionale, lui si occupa di persone con problemi psichici, e sa bene quanto sarà importante poter rispondere adeguatamente alle domande che gli ospiti della struttura per cui lavora gli porranno, quando lo vedranno assentarsi, o avere problemi di equilibrio.
È single, Giorgio, e se fino ad ora ha un po’ giocato con le relazioni affettive, si chiede se nel suo futuro di persona con una disabilità importante ci sarà ancora la possibilità di essere amato e di amare. Dopo una fase fisiologica di disperazione profonda, Giorgio ha dolorosamente accettato il fatto che dovrà lavorare per trasformare la sua vita, per includervi l’incertezza e la fragilità che la malattia gli regala, e adesso vuole guardare avanti, vuole impegnarsi con le persone giovani come lui malate di sclerosi multipla per creare presidi e sostegni per tutti.
NON È ATTESA, PROIEZIONE, UTOPIA

Cosa hanno in comune Anna, Luljeta e Giorgio, oltre l’evidenza di un processo di resilienza?
Da cosa è stata sostenuta la loro spinta a rinascere?
Se c’è un elemento che non è mancato in nessuna di queste storie è la possibilità di guardare oltre il presente e sperare.
Ma di quale speranza parliamo?
Non certo di una esortazione, né di una promessa di trascendenza.
Parliamo di una trama sottile di pensieri, parole, azioni, presenze esterne che hanno sostenuto in loro lucida consapevolezza e impegno.
La speranza che ha supportato queste persone non è quella ingenua, pura, impassibile e serena, quella delle scritte e degli arcobaleni dove “andrà tutto bene”.
La loro capacità di sperare ha attraversato la paura, il conflitto, il senso dell’abbandono, la confusione, i dubbi e le crisi, la precarietà, la sofferenza, la profonda incertezza del futuro, la stanchezza.
Non è stata schiacciata dalla pietra tombale del realismo, non si è abbigliata con uno stupido ottimismo evasivo e minimizzante.
Non ha inquinato la lucidità delle scelte con una utopia esasperata, suscettibile di delusioni altrettanto totali.
Sperare è stato il motore della loro resilienza, un motore tenuto acceso da loro stessi, insieme a figure e contesti esterni.
Per loro, sperare è stato il contrario della passività, il contrario della rassegnazione.
È stata la passione del possibile e l’apertura al divenire.
È diventata progetto, la loro speranza, aperta a ciò che accade sullo sfondo, provvisoria, disomogenea, un tendere verso, anche nelle piccole speranze, anche punteggiate dalla delusione.
La vita può rinascere fino a che c’è un ancora, un divenire, una possibilità di apertura al mondo, una messa in gioco con il grande mondo là fuori, che spesso viola le regole, le riscrive in corso d’opera, e ci espone a naufragi, ad allontanamenti rispetto alle nostre mete, a veder dissiparsi e svanire ciò che ci sosteneva.
La speranza è diversa dall’ attesa, come sottolinea Eugenio Borgna citando E. Minkowski: “…la speranza va più lontano nell’avvenire dell’attesa. Io non spero nulla né per l’istante presente né per quello che immediatamente gli subentra, ma per l’avvenire che si dispiega dentro”, e ancora: “…la speranza sopprime la morsa dell’attesa e mi consente di guardare liberamente lontano nello spazio vissuto che si apre adesso davanti a me”.
Non può limitarsi ad essere una proiezione dei nostri desideri sul modo esterno, il mondo esterno non è Babbo Natale, a cui mandiamo una letterina, resterebbe sospesa nel vuoto e senza fondamento, senza azioni possibili, perché ogni proiezione ci depotenzia e ci sottrae la consapevolezza di noi stessi e del mondo e ci sottrae l’energia per agire.
Speranza allora, non come impaziente anticipazione dell’avvenire, come anticipazione mentale di singoli eventi che appartengo al mondo e alla illusione che i desideri possano realizzarsi, ma come apertura verso il tempo, tempo aperto che vive del futuro, dell’avvenire, e non si arena nelle immagini statiche e nell’inerzia del passato, come una opzione attiva sul divenire e l’avvenire, come manifestazione concreta del principio di autoregolazione organismica e della tendenza attualizzante. Scriveva Kurt Goldstein, ripreso da Fritz Perls: "L'organismo sano raccoglie tutte le proprie potenzialità per la gratificazione dei bisogni in primo piano. Immediatamente, appena un compito è terminato, recede sullo sfondo e permette a quello che nel frattempo è diventato il più importante di venire in primo piano. Questo è il principio dell'autoregolazione organismica"; e ancora: “ogni individuo, ogni pianta, ogni animale, ha solo una meta implicita, un ruolo obiettivo innato: attualizzarsi per quello che è!”
È UN RISULTATO RELAZIONALE

“Ogni organismo è animato da una tendenza intrinseca a sviluppare tutte le sue potenzialità e a svilupparle in modo da favorire la sua conservazione e il suo arricchimento", scrivevano Carl Rogers e Marian Kinget.
La speranza allora non è che il risultato relazionale della fiducia nella tendenza attualizzante, come la definisce la psicoterapia umanistica, la forza motivazionale intrinseca che opera in modo costruttivo per conto delle singole persone quando incontrano ambienti e relazioni facilitanti.
Nelle attuali condizioni di vita, sempre più faticosamente manteniamo una apparente normalità, e invece siamo sempre più distanti dall’Altro, sempre più chiusi nelle bolle delle relazioni prossimali, nella sospensione di quasi tutte quelle relazioni che trasformano, che possono spaventare, ma aprono esperienze, allargano i confini dell’io, aprono orizzonti di senso e progettualità inimmaginabili.
Reimmettere speranza come nostalgia di un futuro, ecco il nostro nuovo compito come persone e professionisti che si occupano di sostenere gli altri. Contagiare speranza in chi è immerso nell’angoscia, riaprire i sentieri del possibile, alzare il piano dello sguardo su un avvenire, togliere lo sbarramento verso il futuro. Restituire una immagine della sofferenza come qualcosa di dinamico, una lotta per ritrovare il fluire della vita e liberarsi dagli ostacoli che lo impediscono.
Avere una idea di futuro è fondamentale per sostenere lo sforzo e l'impegno, per agganciare la motivazione, per attraversare l'attesa e la lenta costruzione di un percorso. Se il futuro scompare dagli orizzonti psicologici delle persone e delle collettività, allora è facile smarrirsi, è facile disperdersi e mollare.
Ma se il futuro sembra svanito, se ha perduto i paradigmi già noti su cui poteva essere immaginato, allora bisogna fare lo sforzo di reinventarlo. Allora bisogna crearlo, evocarlo, coltivarlo anche a partire da piccolissimi semi. Anche se la costruzione di un'idea di futuro che possiamo realizzare è precaria, incerta, ne abbiamo comunque bisogno, come un ponte tibetano per attraversare il vuoto.
Perché camminare con una mappa provvisoria e imprecisa è meglio che vagare a caso.
Perché abbiamo bisogno di una ipotesi, di una speranza, per poter rialzare lo sguardo e guardare di nuovo oltre l'orizzonte.
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Nel pensare e scrivere questo articolo ho attinto a
Borgna E., L’attesa e la speranza, Feltrinelli, Milano, 2005
Perls F., L’approccio della Gestalt. Testimone oculare della terapia, Astrolabio, Roma, 1977
Perls F., Hefferline R., Goodman P., Gestalt Therapy, La terapia della Gestalt: eccitamento e accrescimento nella personalità umana, Astrolabio, Roma, 1971
Rogers C., Kinget M., Psicoterapia e relazioni umane, Bollati Boringhieri, Torino, 1977
Sebastiani L., Speranza sovversiva, “Rocca”, 15 luglio 2006, pagg. 48-50

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