Clicca

Rosella De Leonibus "MALATTIA E CURA, un approccio ecologico"

stampa la pagina

“Le malattie, per un essere umano, non sono soltanto un limite del suo potere fisico, sono drammi nella sua storia”
George Canguilhem

Malattia: il più personale e il più sociale tra tutti gli eventi della vita. C’è di più. La salute e la malattia non rappresentano nessuna delle due una situazione statica, sono processi, e come tali si ridefiniscono di continuo, cambiano i confini che le delimitano, cambiano le caratteristiche con cui si manifestano, e gli esiti dell’una e dell’altra non sono automatici: ogni fase della vita ha la sua formula di salute e malattia, e ogni volta l’equilibrio sarà diverso. In più, questo continuum, che oscilla dal perfetto benessere alla fine della vita, è leggibile solo nell’ottica del valore e del rapporto che hanno in quel contesto il campo biologico e il campo psicosociale. Anche la malattia, e quindi la salute, e quindi la cura, sono costruzioni sociali complesse, cariche di significati mediati dal contesto.

Cominciamo con le tre diverse angolature secondo le quali si pone il tema della malattia. La lingua inglese ha tre vocaboli diversi per indicarle: sickness, illness, disease.
Nella angolatura della sickness possiamo cogliere l’atteggiamento culturale che una società sviluppa nei confronti di una data malattia, e come si forma il significato sociale della malattia stessa e come questo influenza il significato e i confini della salute. Potremmo fare molti esempi: dalla obesità alle malattie sessualmente trasmesse, fino alla disabilità.
Nella angolatura della illness possiamo leggere l’esperienza soggettiva che quella persona vive rispetto alla sua malattia, come la malattia viene percepita e come viene elaborata e rappresentata dalla persona. Limitiamoci al territorio delle malattie oncologiche: quanto pesa il vissuto di quella persona nella adesione alle cure, e addirittura nelle statistiche sulla sopravvivenza?

Nella angolatura della disease la malattia viene esaminata sotto il suo profilo oggettivo – dati clinici, parametri, esami di valutazione – e sembrerebbe poter essere questo il campo dell’oggettività e della certezza. Ma quante volte una malattia anche grave non viene avvertita come tale dalla persona? Potremmo fare l’esempio del diabete non diagnosticato, o di una fase iniziale delle malattie oncologiche, oppure di alcune forme di patologia psichiatrica. Ma c’è di più, a ridefinire in modo sfumato anche i confini dell’oggettività: quante forme di malattie organiche o psichiche vengono riconosciute e diagnosticate solo dopo che i parametri che le qualificano sono stati ridefiniti? Stiamo parlando di molti disturbi dello sviluppo, di molte forme di disturbo dell’umore, ma anche di alcune malattie autoimmuni e di alcuni disturbi psicosomatici su base neurovegetativa… Viceversa, manifestazioni del proprio essere che in passato venivano considerate disease, oggi sono state escluse dal campo della patologia, una tra tutte la condizione di persona con orientamento omosessuale.

CURARE O PRENDERSI CURA?

E allora cosa è la cura, se la stessa definizione di malattia è così articolata? Cominciamo con l’affermare che non c’è cura, in senso pieno, se questa consiste solo nel prendersi carico della malattia in senso oggettivo, il disease per gli inglesi, la patologia funzionale o organica che viene “curata” dalle diverse branche della medicina specialistica.
Il mero curare (to cure, per gli inglesi) diventa prendersi cura (to care, per gli anglofoni), se facciamo base sulla illness, sull’esperienza soggettiva dello star male, sul malessere per come lo vive la persona, sulla malattia o il disagio caricati di un vissuto, per come io lo sento, per come intercetta la mia esistenza, per come gli do significato nella mia vita.
Il prendersi cura, in contesti più allargati, diventa la possibilità di far fronte anche alla sickness, la parte del malessere, organico, psichico o relazionale, che intercetta le dimensioni sociali della persona, il suo ruolo nella comunità, le sue appartenenze e la sua vita di cittadina o cittadino.
La cura quindi, come la malattia, non può fermarsi all’area del disease, ma deve diventare attenzione dialogante che include il processo, il vissuto soggettivo e la sua articolazione col contesto di vita, non solo il risultato in termini organici. La cura riguarda anche le possibilità di relazione e cambiamento di una persona rispetto all’ambiente in cui vive e gli adattamenti creativi coi quali continuamente si costruiscono nuove forme di presenza e nuove formule di esistenza.

Allargando in questo modo la prospettiva, si mette in discussione la dicotomia salute/malattia, la contrapposizione benessere/malessere, e l’orientamento del curare e del prendersi cura si aprono verso la complessità. Si fanno evidenti le relazioni tra la salute e il modo in cui le persone vivono e agiscono nel proprio contesto economico e sociale, le condizioni dello sviluppo psicosociale delle persone, le condizioni generali delle relazioni tra le persone e i fattori socioambientali e culturali.
La lezione brutalmente impartita dalla pandemia ci insegna che non è più possibile limitare l’attenzione ai soli livelli clinici o ai soli fattori individuali: serve una visione della salute fondata su modelli che includano parametri sociali e ambientali.

SALUTE, UN MODELLO ECOLOGICO

Occorre ragionare su un nuovo orientamento nell’idea di salute: un modello ecologico o della complessità, dove la salute sia riconosciuta come dipendente da modelli mobili di interazione tra persona e ambiente lungo il corso della vita; dove ogni persona venga vista come parte di un sistema complesso, in cui le dimensioni biologiche e sociali sono interconnesse.
Solo un modello così articolato può sostenere interventi e processi di promozione della salute a livello individuale, familiare, di comunità e a livello societario. Un modello che includa l’attenzione alla qualità della vita e ponga in rilievo le determinanti sociali del benessere.
Da questo punto di vista, l’idea di salute fa riferimento alla prospettiva delle capabilities di Amartya Sen: Persone diverse hanno necessità diverse e diverse capacità o possibilità di trasformare le risorse in “funzionamento”, cioè in conseguimenti reali nel miglioramento della propria salute e delle proprie prospettive nel progetto di vita.
Si manifesta l’esigenza di un modello ecologico della salute, che riconosca l’interconnessione tra le persone e il loro ambiente fisico e sociale, che riconosca la salute come fenomeno multidimensionale, che attiene all’individuo, alla comunità, al contesto.

In questa ottica il concetto di benessere si espande: fattori sociali e ambientali possono far migliorare la salute e i comportamenti sani. L’approccio riconosce la prospettiva sistemica: le azioni di una parte del sistema influenzano il funzionamento del sistema nel suo complesso. Per esempio molte più persone possono trarre beneficio psicologico e organico dall’attività fisica se hanno più possibilità di camminare, se ci sono marciapiedi e percorsi per le passeggiate, dove possano sentirsi sicure.
È diventata evidente, in questa fase della pandemia, la complessa interazione tra dimensioni fisiche, psicologiche e sociali, e la loro stretta relazione con le variabili ambientali e la loro trasformazione. Vengono in luce condizioni che impongono un approccio ecologicamente orientato alla prevenzione della malattia e alla promozione della salute. Lo stesso che era già definito dall’Ottawa Charter for Health Promotion (WHO, 1986) e ha trovato ulteriori approfondimenti nei documenti formulati nei decenni successivi (WHO, 1991; 1998; 2001).

La possibilità che un contesto, e le persone presenti in esso, siano caratterizzati da condizioni di salute o di malattia dipende dall’interazione di molteplici fattori, che interessano sia l’ambiente fisico (p.e. profilo geografico, architettura, strutture tecnologiche) sia quello sociale (p.e. cultura, aspetti economici e politici). Non di meno, lo stato di salute di individui e gruppi risulta influenzato dalle caratteristiche personali di ciascuno (p.e. patrimonio genetico, caratteristiche psicologiche, patterns comportamentali). Soltanto considerando l’interazione tra questi differenti livelli (e non focalizzandosi su uno soltanto di essi) si può comprendere la complessità del fenomeno e quindi attivare strategie di promozione che rispondano alle esigenze di salute della popolazione (Moos, 1979).

UNA PROSPETTIVA MULTIDISCIPLINARE
La prospettiva che si apre è multidisciplinare: dalla medicina all’urbanistica, dalle politiche sanitarie alle scienze sociali e ambientali (Stokols, 2002). Si tratta di riprendere in mano i principi che governano la complessità del sistema, di leggere a fondo le interazioni tra persona e ambiente focalizzate dalla teoria dei sistemi (von Bertalanffy, 1968) e dall’ecologia sociale (Duhl, 1996).

Sono note le interazioni tra fattori ambientali e personali sulla salute: numerose sono le ricerche che hanno dimostrato come la povertà e le disuguaglianze interagiscano nella distribuzione del reddito, e come la condizione di minoranza influenzi la salute delle singole persone e delle fasce deboli della popolazione (Adler et al., 1994; Bullard, 1990; Kaplan et al., 1996); e sono note e comprovate le dinamiche di mutua influenza tra gli aspetti fisici e sociali dei contesti e le condizioni di salute delle persone che vi abitano.
Ma le persone possono scegliere di modificare, con la loro azione, il contesto in cui vivono, per renderlo più adeguato alle loro esigenze o, al contrario, possono scegliere di subirne passivamente l’influenza.
Comincia da qui il paradigma ecologico della salute: promuovere una relazione positiva tra l’individuo e il suo ambiente, e quindi creare migliori condizioni di salute. Sono i principi e le metodologie dell’ecologia sociale (Duhl, 1996), che mostra la natura multidimensionale dell’ambiente umano (aspetti fisici e sociali, qualità reali e percepite, attenzione per la dimensione individuale o per quella di gruppo) e passa attraverso un’azione trasformativa di tutte queste dimensioni.

Se la pandemia ci avrà almeno insegnato qualcosa, sarà la possibilità di riconoscere il valore dell’ecologia sociale, secondo cui gli ambienti umani vengono concettualizzati come sistemi complessi in cui gli aspetti legati al contesto prossimale devono essere letti alla luce dei contesti sovraordinati che li contengono.
Ci avrà insegnato che non solo la possibilità di non ammalarsi o di essere curate, ma lo stesso benessere delle singole persone non è realizzabile senza prendersi cura del benessere dei contesti e dei gruppi che li abitano.

BIBLIOGRAFIA
Adler N.E., Boyce T., Chesney M.A., Cohen S., Folkman S., Kahn R.L., Syme S.L. (1994), Socioeconomic status and health. The challenge of the gradient, American psychologist, 49, pp. 15-24.

Bullard R.D. (1990), Dumping in Dixie: race, class, and environmental quality, Westview Press, Boulder.

Duhl L.J. (1996), An ecohistory of health: the role of ‘healthy cities’, American Journal of Health Promotion, 10, pp. 258-261.
Kaplan G.A., Pamuk E.R., Lynch J.W., Cohen R.D., Balfour J.L. (1996), Inequality in income and mortality in the United States: analysis of mortality and potential pathways, Bmj, 312, pp. 999-1003.
Moos R.H. (1979), “Social ecological perspectives on health”, in G.C. Stone, F. Cohen, N.E. Adler (a cura di), Health psychology: a handbook, Jossey-Bass, San Francisco, pp. 523-547.
Stokols D. (2002), “Ecology and health”, International Encyclopedia of the Social, Behavioral Sciences, 6, pp. 4030-4035.
von Bertalanffy L. (1968), Teoria generale dei sistemi, Istituto Librario Internazionale, Milano.
World Health Organization (1986), Ottawa charter for health promotion, Geneva.

World Health Organization (1991), Sundsvall statement on supportive environments for health, Geneva.

World Health Organization (1998), Glossario della Promozione della Salute, Geneva.
World Health Organization (2001), Climate and health, Geneva

stampa la pagina

Gli ultimi 20 articoli