Francesco Cosentino "Lo smarrimento del senso di Dio"
La crisi che s’è generata negli ultimi decenni tra fede e sacramenti può rappresentare un’occasione di purificazione e di rinnovamento, per riscoprire la freschezza e l’essenza del Vangelo1. Una tale lettura credente della crisi, però, nasce solo da una incondizionata apertura alla novità perenne dello Spirito e, perciò, dal coraggio di rimettere in discussione certezze e metodologie pastorali acquisite. Occorre interrogarsi, soprattutto, oggi, su cosa significhi tutto questo rispetto alla crisi della vita sacramentale, che segna la vita delle nostre comunità cristiane.
Una crisi sistemica
Si può iniziare col dire che non dovrebbe trattarsi di un restauro di facciata, bensì di un intervento capace di toccare in profondità la metodologia e i contenuti della catechesi e, in generale dell’evangelizzazione. Non si tratta infatti di una crisi particolare, ma di una crisi sistemica: cioè non si tratta (soltanto) di linguaggi desueti, concetti superati, necessità di aggiornamenti e ritocchi pastorali. La crisi sacramentale ha a che fare con un più generale smarrimento del senso di Dio che imperversa in Occidente, con la perdita dei significati simbolici o la sua riduzione a pura emotività, con un certo tramonto della dimensione festiva del tempo e della vita perlopiù ridotto a puro godimento estetico nello stordimento del consumismo, con l’emorragia della pratica credente soprattutto tra i giovani, con l’avanzare di un secolarismo individualista che induce alla dimensione comunitaria, con l’incomprensibilità di cui gesti e parole cristiane, e in generale la stessa ars celebrandi, sono vittime.
Perciò, una riflessione sulla crisi dei sacramenti e sul modello di annuncio e di catechesi, specialmente per i sacramenti dell’iniziazione cristiana, è qualcosa che ha a che fare con la stessa missione essenziale della Chiesa, non con un suo aspetto marginale.
Crisi di fede?
Non a caso, la Commissione Teologica Internazionale (CTI), riflettendo sul tema ha inteso chiamare il Documento pubblicato il 3 marzo 2020, “La reciprocità tra fede e sacramenti nell’economia sacramentale”. Infatti, il primo scopo del Documento è quello di farci entrare in una migliore comprensione della natura sacramentale della stessa fede cristiana, per cui “crisi dei sacramenti” equivale in qualche modo a “crisi di fede”. Certo, non bisogna sottovalutare che sotto il termine “fede” entrano in gioco una serie di aspetti fiduciali e di relazioni intime e personali, che rispondono a una variegata gamma di atteggiamenti e di scelte e che talvolta sfuggono per natura a una “quantificazione”, e quindi a una esplicita confessione religiosa e appartenenza ecclesiale. Tuttavia, la fede cristiana non è apprendere delle teorie su Dio, ma entrare nel dinamismo di una relazione d’amore che Egli stesso – Dio Trinità – inaugura e rivolge a noi; essa, perciò non può darsi senza quella relazione personale, comunitaria ed esistenziale che accade ogni volta che celebriamo un sacramento. Ecco perché – afferma il Documento – “Tra la fede e i sacramenti c’è un ordine reciproco e una circolarità, in una parola: una reciprocità essenziale” (n 2). Da questo punto di vista, la fede è sacramentale e per accedere ai sacramenti, come afferma Sacrosantum Concilium, occorre la fede.
Perché è in crisi il sacramento
Partendo da questo assunto, è evidente che la riflessione sulla crisi dei sacramenti non può esimersi dall’affrontare la più generale crisi di fede, che segna il nostro contesto postmoderno occidentale, e su cui peraltro si dibatte in modo interessante da tempo. I motivi di una tale crisi sono variegati e numerosi e in generale ci riferisce ai modelli culturali del secolarismo occidentale, a quel graduale svuotamento di significati, di domande, di speranze e di sogni cui ci conduce il principio della merce di scambio che regola la nostra società e che – come già affermava il teologo tedesco Metz – ci vuole rendere tutti “analfabeti felici”, “adatti alla routine”2.
Il Documento cita anche altri aspetti riguardanti non solo i mutamenti sociologici esterni a noi, ma anche ciò che è avvenuto, a livello simbolico-culturale, dentro di noi, per esempio il il cambiamento della nostra sensibilità interiore, del modo in cui interpretiamo, la vita e dell’approccio che abbiamo con la verità, immersi come siamo nel paradigma tecnocratico e scientifico. Nondimeno, si deve rilevare che a spezzare il circolo virtuoso tra fede e sacramenti vi sono anche altri due rischi: “un ritualismo privo di fede, per mancanza di interiorità o per costume sociale e tradizione; oppure una privatizzazione della fede, ridotta allo spazio interiore della propria coscienza e dei propri sentimenti” (n.9).
Alla riflessione del Documento, si possono ancora aggiungere tre fattori rilevanti: la crisi dei luoghi tradizionali di trasmissione e generazione della fede come la famiglia, la scuola, il mondo associativo; e la recente pandemia, che ha alimentato alcune angosce e paure esistenziali e che, a livello ecclesiale, ha messo in crisi un impianto pastorale forse troppo fondato su celebrazioni sacramentali “meccaniche” e poco imperniato sull’evangelizzazione e sulla formazione credente.
Rinviare a Gesù
La crisi sacramentale, a ben vedere, è complessa e ha radici profonde e lontane e richiede una riflessione generale e approfondita di tipo ecclesiale e pastorale, che forse potrebbe vedere proprio nel Sinodo appena iniziato un’occasione favorevole.
Si tratta di disporsi con serenità al cambiamento, anzitutto per quanto riguarda i sacramenti dell’iniziazione cristiana che – per l’appunto – dovrebbero introdurre a una vita di fede consapevole e responsabile. Il “come” attuare questo cambiamento è oggetto di discussione, anche se vi sono, pure in Italia, efficaci sperimentazioni pastorali che stanno portando buoni frutti. Un punto-chiave di fondo, però, può essere almeno accennato ed è l’importanza di recuperare la formazione cristiana, da intendersi non come “catechismo da dottrina”, ma come scoperta di Gesù e della Sua Parola. Occorre uscire dall’idea di percorsi e catechismi proposti solo per ricevere il sacramento; c’è una “crisi formativa” più profonda e ciò esige un nuovo catecumenato che sia capace di introdurre a Gesù e al Suo Vangelo. E bisogna perciò interrogarsi su tutte le nostre attività pastorali e sulla loro “reale capacità di rinviare a Gesù”3. E fare delle comunità cristiane, luoghi che affascinano per il loro diventare ponto dell’incontro con Gesù e, così, luoghi capaci di generare altri fratelli e sorelle alla fede e alla gioia del Vangelo. Ciò, probabilmente, chiede una profonda revisione dell’impianto pastorale, chiede di snellire le nostre attività, richiede un nuovo ricentrarsi alla riscoperta della Parola e – in sintesi – ci invita a quel costante dinamismo dell’evangelizzazione che da tempo papa Francesco ci suggerisce.
1 Per una lettura della crisi attuale in tale direzione, mi permetto di suggerire F. Cosentino, Quando finisce la notte, EDB, Bologna 2020.
2 Cfr. J. B. Metz, Memoria Passionis, Queriniana, Brescia 2009, 81-82.
3 A. Matteo, Convertire Peter Pan. Il destino della fede nella società dell’eterna giovinezza, Ancora, Milano 2021.