Clicca

Enzo Bianchi, Ludwig Monti, Paola Radif "Commenti Vangelo 12 dicembre 2021"

stampa la pagina
Commenti Vangelo 
domenica 12 dicembre 2021 
Terza Domenica di Avvento Anno C


 
12 novembre 2021 Avvento, tempo di attesa. 

****************

 
Commento al Vangelo della domenica e delle feste 
di Enzo Bianchi fondatore di Bose

Alla domanda: che fare? Occorre urgente risposta
12 dicembre 2021
Terza domenica di Avventoanno C

Lc 3,10-18

¹⁰Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». ¹¹Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto».  ¹²Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». ¹³Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». ¹⁴Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». ¹⁵Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, ¹⁶Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. ¹⁷Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». ¹⁸Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

 

Il vangelo di domenica scorsa ci presentava la vocazione di Giovanni il Battista e la sua missione (cf. Lc 3,1-6). Come era accaduto per i profeti, anche su di lui “cadde”, cioè “a lui fu rivolta la parola di Dio” (Lc 3,2), mentre abitava nel deserto. Giovanni è il profeta che non solo porta la Parola (pro-phétes) al popolo, ma è colui che è venuto per indicare la Parola stessa di Dio ormai presente, fattasi carne (cf. Gv 1,14) in Gesù di Nazaret suo discepolo. Nella fede Giovanni sa che la parola di Dio non cadrà su Gesù, non sarà rivolta a lui, perché egli è la Parola stessa di Dio: il precursore annuncia dunque al popolo la conversione in vista di questo incontro e del possibile riconoscimento di Gesù.

 

Cosa chiede Giovanni nella sua predicazione? L’evento che si compie è straordinario, unico in tutta la storia: Dio è tra gli uomini, uomo tra gli uomini, talmente uomo da aver avuto bisogno di un maestro (Giovanni), di una comunità di fratelli (quella del Battista), per “venire al mondo” nella sua soggettività adulta capace di prendere e di rivolgere la parola. Come era stato generato da Maria, educato da lei e da Giuseppe, così aveva avuto bisogno di un “tempo oscuro” nel deserto per essere iniziato alla sua missione. Sì, tutto avviene nella semplicità della vita umana quotidiana, e così anche ciò che il Battista chiede nella sua predicazione appartiene alla vita quotidiana. Affinché il popolo sia preparato all’incontro con il Veniente, Giovanni non richiede di fare sacrifici e olocausti, di recarsi più volte al tempio per partecipare alle solenni liturgie, di rispettare calendari liturgici o di fare particolari digiuni, ma chiede azioni umanissime. Ecco dunque le sue risposte alle domande che le folle gli pongono, domande che ogni essere umano, di ogni generazione, sempre rinnova nella storia: “Che cosa dobbiamo fare? Che fare?”.

 

Innanzitutto egli dice alle folle: “Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto”. Ecco ciò che bisogna fare in vista della venuta del Signore: condividere l’essenziale, cioè cibo, vestito, casa. Questo è sufficiente per dire che uno si è convertito, ha fatto metánoia, ha cambiato la sua vita in vista dell’incontro con il Signore veniente. Giovanni ci stupisce, perché non chiede ciò che ancora oggi una certa predicazione ecclesiastica chiede: liturgie, novene, pii esercizi… Questi infatti sono strumenti, solo strumenti per acquisire una più grande carità, per essere più facilmente capaci di condividere i beni elementari necessari per vivere. Questa l’azione che segue la conversione: dopo aver incontrato Gesù, Zaccheo darà la metà dei suoi beni ai poveri (cf. Lc 19,8) e così la salvezza entrerà nella sua casa (cf. Lc 19,9); i giudei di Gerusalemme, diventati cristiani, condivideranno i beni (cf. At 2,44; 4,32), e così nessuno tra loro sarà bisognoso. Noi cristiani, come tutti gli uomini religiosi, ci preoccupiamo invece così spesso di regole di purità, mentre il Vangelo ci chiede di preoccuparci di condividere ciò che abbiamo in casa, ciò che è nostro, con chi è nel bisogno: allora saremo nella vera purità (cf. Lc 11,41), perché agiremo come puri, retti di cuore.

 

Vi sono poi alcune categorie specifiche di persone, presenti nell’uditorio di Giovanni, che gli pongono la stessa domanda: “Che cosa dobbiamo fare?”. È il caso dei pubblicani, esattori delle tasse in combutta con il potere imperiale e frequentatori di pagani. A loro il Battista non chiede cose straordinarie, non chiede neppure di abbandonare la loro professione, ma di viverla nella giustizia. Per questi funzionari tentati dal sopruso, dalla vessazione finanziaria, dal rubare nell’esigere le tasse, è sufficiente praticare una grande virtù: la giustizia. Anche i militari sono attratti da Giovanni, uomo così inerme, senza difesa, destinato a essere ucciso proprio da loro, esecutori degli ordini dei potenti di questo mondo, di quanti opprimono e dominano la povera gente e si fanno anche chiamare benefattori (cf. Lc 22,25). E Giovanni cosa chiede ai militari? Non di disertare, perché nella loro funzione c’è un compito necessario, quello di garantire la libertà e l’ordine di qualsiasi convivenza sociale. No: chiede di rinunciare alla violenza. Com’è facile la violenza per chi ha armi, com’è facile compiere denunce false, com’è facile – siccome le paghe sono normalmente base – rivalersi sulla gente, usando l’immunità professionale concessa a polizia e forze dell’ordine: quando si è più forti, diventa facilissimo schiacciare i deboli…

 

Giovanni predica dunque una conversione che chiede un mutamento concreto del vivere quotidiano, un mutamento che cambia profondamente i rapporti interpersonali, e nessuno è escluso da questo cammino di conversione. In reazione a queste sue parole, si crea un clima di grande attesa nel popolo di Israele, al punto che sorgono domande su di lui: “Chi è questo Giovanni? È un profeta? È il Profeta (cf. Dt 18,15.18)? È Elia redivivo?”. Non appena Giovanni si rende conto di questi pensieri presenti tra i suoi ascoltatori, subito proclama con chiarezza: “Io sono solo uno che immerge nell’acqua, ma ecco, viene il più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi immergerà in Spirito Santo e fuoco”. Tra le due immersioni, i due battesimi, c’è continuità ma anche differenza. Entrambi significano spogliazione dell’uomo vecchio segnato dalla logica del peccato e rinascita dell’uomo nuovo, ma il battesimo di Giovanni è solo un’anticipazione di quello definitivo: l’uno è immersione nell’acqua, l’altro nel fuoco dello Spirito santo. Quest’ultimo battesimo, l’immersione operata da Gesù, è quello che la comunità dei discepoli riceverà nel giorno di Pentecoste (cf. At 2,1-11), quando sarà resa nuovo popolo di Dio mediante la nuova alleanza, perché la Legge sarà scritta nei cuori (cf. Ger 31,31-33) e lo Spirito nuovo abiterà un cuore nuovo (cf. Ez 11,19; 36,26). E proprio perché annuncia questa immersione nel fuoco dello Spirito santo, Giovanni, in conformità alle Scritture alle quali obbedisce, deve annunciare che questo Veniente, costui che è il più forte, sarà giudice, con in mano il ventilabro del giudizio, della separazione tra grano e pula, tra giusti e ingiusti.

 

E come attesta Luca, “Giovanni annunciava al popolo il Vangelo”: già lui, Giovanni, annuncia la stessa buona notizia di Gesù. Va però detto che questo suo discepolo, Gesù, da lui annunciato e presentato a Israele, lo deluderà nel realizzare la sua missione: sarà diverso e non sarà quel giudice che Giovanni aveva previsto. Giovanni si è dunque sbagliato? La sua predicazione è stata un’illusione (cf. Lc 7,18-19; Mt 11,2-3)? No, ma Dio la realizzerà solo alla fine dei tempi: per ora a Giovanni spetta il compiere ogni giustizia (cf. Mt 3,15), a Gesù l’annunciare e il fare misericordia. E Giovanni, in carcere, accetta ancora una volta, in piena obbedienza, di rinnovare la sua avventura della fede. Sì, come dirà Gesù, “tra i nati da donna nessuno è più grande di Giovanni” (Lc 7,28; cf. Mt 11,11).

 

Non si dimentichi infine che questa domenica, a metà del tempo dell’Avvento, è chiamata “Gaudete”, dalla prima parola che risuona per l’assemblea all’inizio della liturgia eucaristica. “Gaudete”, cioè “rallegratevi”, è l’invito, anzi il comando rivolto dall’Apostolo Paolo ai cristiani di Filippi: “Rallegratevi sempre nel Signore; ve lo ripeto, rallegratevi! … Il Signore è vicino!” (Fil 4,4-5). Dobbiamo dunque rallegrarci perché la venuta del Signore è vicina; perché, se anche egli tarda, non mente, e lo incontreremo al più presto. Se abbiamo questa fede salda, allora la nostra vita è inondata di gioia e di esultanza! C’è forse qualcosa di più gioioso dell’incontro con il Signore Gesù Cristo? No, lui è la gioia, è il nostro futuro, è la vita eterna!


****************

III domenica d’Avvento C

Lc 3,10-18

Rallegratevi nel Signore!

Ludwig Monti, biblista

  

Siamo giunti alla III domenica di questo breve tempo di Avvento, quella tradizionalmente definita “Gaudete, dal canto d’introito latino ispirato all’inizio della seconda lettura: “Rallegratevi (Gaudete) sempre nel Signore, ve lo ripeto: rallegratevi … Il Signore è vicino!” (Fil 4,4.5). è la domenica che riassume in sé il senso dell’Avvento: situati tra il “già” della venuta nella carne di Gesù Cristo, della sua morte e resurrezione, e il “non ancora” della sua venuta nella gloria, siamo chiamati a vivere oggi nella giustizia e nell’amore, e a farlo con gioia. A questo ci invitano le parole del grande Giovanni il Battista ma, soprattutto, la vita di Gesù, che ci immerge nello Spirito santo.

Che cosa fare?”: ecco la domanda che ancora oggi ci poniamo, come la ponevano a Giovanni le folle, i pubblicani e i soldati, nel prosieguo del brano di domenica scorsa. A quanti si recano da lui nel deserto per interrogarlo, egli chiede “frutti di conversione”, cioè un concreto mutamento di condotta: fatti, non parole. Chiarissime le sue risposte, che non sono moralistiche, bensì un invito pressante a fare della propria vita una strada per accogliere il Veniente, Gesù.

- Condividere è il vero nome della povertà: ciò che si possiede e ciò che si è, è nostro solo nella misura in cui lo condividiamo con gli altri e per la loro gioia. Come si può essere felici restando chiusi nel proprio egoismo o, peggio, fingendo di non vedere il bisogno di chi ci vive accanto?

- Non pretendere significa non esigere dagli altri ciò che non possono o non devono darci. Si tratta di essere sé stessi consentendo a chi incontriamo di fare lo stesso, vietandoci di catturarlo nella nostra “rete”. Quanto spesso ci comportiamo come se gli altri ci “dovessero” qualcosa… Nel contempo la pretesa si manifesta nella volontà di esercitare su chi ci è accanto la nostra brama di potere, strumentalizzandolo in modi più o meno raffinati! No, l’unico debito esistente tra gli uomini è quello del rispetto per l’alterità e dell’amore reciproco (cf. Rm 13,8).

- Non fare violenza è un corollario del “non pretendere”: significa rispettare l’altro, dunque frenare le pulsioni e i gesti aggressivi con cui si vorrebbe negarlo. Sappiamo bene che non occorre giungere alla violenza fisica per compiere questa triste negazione dell’altro: certe parole, certi silenzi, certi gesti sono peggio delle pugnalate…

Già vivere pienamente queste tre esigenze non sarebbe cosa da poco, anzi!

Ma, appunto, Giovanni non è il Cristo, e lo capiamo nella misura in cui Gesù chiede qualcosa di diverso e di più rispetto a Giovanni. Basta ricordare qualche sua parola e azione. Gesù ha detto: “A chi ti toglie il mantello, non rifiutare la tunica” (Mt 5,40); Gesù non ha preteso dai suoi discepoli neppure di essere pienamente compreso, ma ha detto loro: “Che cosa volete che vi faccia?” (Mc 10,36; Mt 20,32); Gesù ha detto: “A chi ti percuote su una guancia, porgi anche l’altra … Amate i vostri nemici” (Mt 5,39.44; Lc 6,29.35), ed è quello che ha fatto nella sua passione, fino a perdonare sulla croce chi lo uccideva (cf. Lc 23,34). È solo in virtù di questa sua autorevolezza d’amore che egli risponde a un ricco che gli chiede: “Cosa devo fare?”, “Vendi tutto quello che hai, donalo ai poveri, poi vieni e seguimi” (Mc 10,21 e par.); è vedendo come egli viveva che il pubblicano Levi lascia tutto e lo segue (cf. Mc 2,13-15 e par.), che il pubblicano Zaccheo restituisce il quadruplo di ciò che ha estorto (cf. Lc 19,8). E si potrebbe continuare…

Ma l’importante è comprendere che questa è stata l’immersione nello Spirito santo, Spirito che è l’amore, operata da Gesù lungo le strade della Galilea e della Giudea. Un’immersione che noi cristiani possiamo sperimentare già ora, rendendoci conto di un cosa che fatichiamo a comprendere: non è che se non viviamo in questo modo siamo puniti, semplicemente siamo tristi… Ed è questa anche l’immersione che riceveremo alla fine dei tempi, quando il giudizio operato dal Figlio dell’uomo sarà la nostra purificazione nel fuoco dell’amore – quello di cui Gesù ha detto: “Chi è vicino a me è vicino al fuoco” (Vangelo copto di Tommaso 82) –; sarà la nostra immersione totale in quello Spirito che già oggi è per noi remissione dei peccati.

Gesù ha vissuto in questo modo, radicalizzando in bellezza e bontà le richieste di Giovanni, proprio per insegnarci che nella vita cristiana, dietro a lui, sta la possibilità di una grande gioia, la gioia del Vangelo. Questa è stata la sua prima venuta, via e verità della nostra gioia di oggi, anche nei giorni dove rallegrarsi appare un miraggio; questa sarà la sua venuta nella gloria, speranza della gioia per tutti, della vita eterna per Cristo, con Cristo e in Cristo.


****************


SULLE VIE DELL'AVVENTO

Terza domenica di Avvento

Vangelo: Lc 3, 10-18 

 

                          INTERROGARSI

 

Anche in questa domenica il vangelo ci parla per bocca di Giovanni Battista. Dopo l'ascolto di parole insolite pronunciate dal nuovo, e ultimo, profeta della Bibbia, ora il popolo interviene. Il discorso proposto da Giovanni è inaudito e nello stesso tempo apre orizzonti inesplorati, finora nascosti. Chi lo segue vuole anzitutto sapere che cosa comporta questa scelta, lasciando le vie percorse fin qui. Ed è lecito chiederselo, prima di buttarsi a capofitto in un'avventura che sembra capovolgere ogni certezza.

Le prime a pronunciarsi sono le folle, entità generica che racchiude in sé chiunque, e interrogano Giovanni: “Che cosa dobbiamo fare?” Le sue parole sono belle, nuove ed entusiasmanti ma le persone vogliono indicazioni concrete. Ad esse il Battista dà un criterio semplice, universale, valido per tutti i tempi ed è quello di condividere ciò che si ha, non compiendo qualche gesto isolato, o porgendo doni saltuari ma si tratta piuttosto di fare a metà di tutto: cioè due tuniche, il cibo, qualunque cosa, tutto sia condiviso nel vero senso della parola. Seguono poi altri interlocutori, elencati per categorie: ai pubblicani, esattori spesso disonesti dei tributi, si indica la via della giustizia senza prevaricazioni a danno dei più deboli. Infine i soldati, anche loro toccati dalle parole di Giovanni, ricevono la risposta richiesta: intraprendere la via della carità misericordiosa che rifugge dai maltrattamenti e la via della sobrietà che li invita a essere contenti di ciò che hanno, senza lamentarsi.

Dunque, ormai sono tanti quelli che si sono incamminati al seguito di Giovanni, lo hanno interrogato, il suo modo di ragionare piace e coinvolge. A questo punto però Giovanni è costretto a rivelare la sua identità e soprattutto il suo ruolo. Non è lui il Cristo, come tutti – dice il vangelo - “si domandavano in cuor loro” - egli ne è solo il precursore, l'inviato che deve preparare i cuori perchè la venuta del Messia possa toccarli nel profondo. Ora, in pochi tratti il Battista passa in rassegna ciò che accadrà con l'avvento del Cristo. Egli battezzerà in Spirito Santo e fuoco, conferirà un battesimo che non sarà certo un piccolo segno di appartenenza né un gesto di conversione, ma un marchio eterno su chi vorrà seguirlo. Il Messia sarà inoltre estremamente giusto, non farà sconti: il frumento andrà nel granaio e la pula nel fuoco. Un'immagine forte, come solo da Giovanni si poteva aspettarsi.

A tu per tu con se stessi e con gli altri

In famiglia o a scuola ai ragazzi si pongono delle domande e anche loro ne hanno altrettante da porre. Abbiamo tutti bisogno di risposte e non vogliamo accontentarci di vivere alla giornata. Ma è ancora più costruttivo “interrogarsi”, interrogare noi stessi, chiedersi il perchè di ciò che facciamo, vediamo, ascoltiamo. Interrogarsi significa fare chiarezza, significa approfondire. Tanto più un cristiano può trovare tanti spunti per andare al cuore dei propri problemi, ma anche per condividere le giornate difficili di un amico, per offrire almeno la propria presenza, anche silenziosa, come risposta a ciò che talvolta non gli è materialmente possibile risolvere.

Infine, interrogarsi con l'aiuto della preghiera è il modo più efficace per avere risposte attendibili perchè nessuno più del Signore può spiegare noi a noi stessi e indicarci, passo dopo passo, la via.

                                                                                  

                                                                                                   Paola  Radif

pubblicato su Il Cittadino - Settimanale della diocesi di Genova del 12 dicembre 2021 

stampa la pagina



Gli ultimi 20 articoli