Enzo Bianchi, Ludwig Monti, Paola Radif "Commenti Vangelo 5 dicembre 2021"
5 dicembre 2021
¹Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilene, ²sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. ³Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, ⁴com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate isuoi sentieri!
⁵Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
⁶Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Per l’evangelista Luca l’inizio dell’annuncio del Vangelo si ha con la chiamata e la missione di Giovanni il Battista, che non a caso egli ci presenta già come “colui che annuncia il Vangelo” (cf. Lc 3,18). Gesù, infatti, era nato a Betlemme circa trent’anni prima (cf. Lc 3,23), ma la sua vita era stata caratterizzata dal nascondimento. Quei tre decenni restano per tutti i vangeli “gli anni oscuri di Gesù”, nel senso che sappiamo che egli è stato allevato a Nazaret (cf. Lc 2,51-52), poi è cresciuto ed è diventato una persona matura: non conosciamo però con esattezza dove ciò sia avvenuto, anche se supponiamo che Gesù abbia trascorso quel tempo nel deserto, quale discepolo di Giovanni.
Ecco allora il racconto solenne di Luca, che inserisce nella macrostoria dell’impero romano e del sacerdozio giudaico l’evento decisivo, l’intervento di Dio nel deserto. Vale la pena riportarlo alla lettera: “Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode principe della Galilea, e Filippo, suo fratello, principe dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània principe dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio fu (venne, cadde) su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto”. Ecco l’evento decisivo: la parola di Dio “avviene” su un uomo, Giovanni, appartenente alla stirpe sacerdotale ma dimorante nel deserto di Giuda, e lo istituisce profeta, cioè porta-parola dello stesso Signore Dio. La profezia che da cinque secoli taceva in Israele si rende dunque di nuovo presente in uomo che, reso predicatore itinerante dalla Parola, percorre tutta la valle del Giordano, regione marginale situata tra la terra santa e il deserto, per far ritornare a Dio il suo popolo.
Giovanni predica la conversione, ossia l’esigenza di un mutamento di mentalità, di comportamento e di stile di vita, e chiede che questa volontà, questa decisione che può avere origine solo nel cuore, sia accompagnata da un’azione semplice, umana: si tratta di lasciarsi immergere (questo, alla lettera, il senso del verbo “battezzare”) nelle acque del fiume Giordano. Questo atto è immagine di un affogamento: si va sott’acqua, si depone nell’acqua “l’uomo vecchio con i suoi comportamenti mortiferi” (Col 3,9; cf. Rm 6,6; Ef 4,22), e si viene fatti riemergere dalle acque come uomini e donne in grado di “camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Questa immersione, segno che significa un ricominciare, una novità, ed è compiuto pubblicamente, davanti a tutti e davanti al profeta che immerge, diventa un impegno. Non è una delle tante abluzioni prescritte dalla Torah per riacquistare la purità perduta, ma è un atto compiuto una volta per sempre, che indica una precisa opzione, che dovrà essere guida e criterio di tutta la vita che verrà. Conversione, ritorno sulla strada che porta a Dio, ritorno al Signore, rivolgersi a lui: ecco ciò che questa immersione significa, in vista della venuta del Signore e del suo giudizio (cf. Lc 3,7-9).
Secondo il vangelo (cf. anche Mc 1,4) in questo gesto è contenuta una grande novità: la remissione dei peccati da parte di Dio. Sì, quell’immersione, segno della volontà di conversione, è strettamente legata alla remissione, al perdono dei peccati per opera di Dio. È questa offerta potente di perdono da parte di Dio, è questo suo amore preveniente a causare la conversione, oppure è la conversione a causare il suo perdono? Nessun dubbio: “è Dio che produce in noi il volere e l’operare” (cf. Fil 2,13) e che sempre ci offre, ben prima che noi lo desideriamo o lo cerchiamo, il suo amore, che è misericordia infinita. Se noi predisponiamo tutto per ricevere questo amore, se sappiamo accoglierlo e dunque ci convertiamo, allora il dono del perdono dei peccati ci raggiunge e opera ciò che nessuno di noi potrebbe operare: i nostri peccati, il nostro aver fatto il male è cancellato e dimenticato da Dio, che ci guarda come creature irreprensibili perché perdonate e giustificate dalla sua misericordia. Questo è il Vangelo, la buona notizia che comincia a risuonare tra le dune e le rocce del deserto e il fiume Giordano, per opera di Giovanni. Questo è il messaggio che, dopo la passione, morte e resurrezione del Signore Gesù, dovrà essere predicato a tutte le genti (cf. Lc 24,47). Ormai questo annuncio è dato dal precursore che è un profeta in mezzo al popolo, il quale accorre a lui per ascoltare la parola di Dio annunciata dalla sua voce.
Giovanni, chiamato dalla parola di Dio “venuta” su di lui come “veniva” sugli antichi profeti (cf. Ger 1,2; Ez 1,3), compie una missione ben precisa, preannunciata dal profeta Isaia (cf. Is 40,3-5): una missione, un ministero di consolazione. Non possiamo qui non fare memoria dei “monaci” della comunità di Qumran che vivevano proprio in quella regione del deserto in cui era apparso pubblicamente Giovanni. Essi avevano applicato a se stessi proprio questa profezia di Isaia che chiedeva di aprire una strada nel deserto e di appianarla per la venuta del Signore, assumendola come fonte del loro ministero e della loro missione. Per questo erano venuti nel deserto per vivere secondo la volontà di Dio e per attendere nella preghiera e nello studio perseverante delle sante Scritture la venuta del suo Messia e del suo regno. Giovanni, asceta come loro nel deserto, condivide con loro la stessa missione, e il suo manifestarsi è conforme alla medesima profezia di Isaia: “Com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia, ‘voce che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, rendete dritti i suoi sentieri … Ogni carne vedrà la salvezza di Dio’”. Questa voce – Luca lo sottolinea – vuole raggiungere “ogni carne”, ogni uomo e ogni donna, non solo i figli e le figlie di Israele, in modo che tutti possano ricevere la salvezza di Dio: questa infatti non è rivolta solo al popolo delle alleanze e delle benedizioni, come annunciavano gli antichi profeti, ma Giovanni il Battista proclama che è una salvezza universale, per tutti, proprio per tutti! Dunque buona notizia “non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti”, come ha gridato con gioia papa Francesco (Cattedrale di Firenze, 10 novembre 2015, Incontro con i rappresentanti del convegno nazionale della chiesa italiana).
Tutto ciò avviene ai margini della terra santa, alle soglie del deserto, con il suo vuoto, il suo silenzio, la sua solitudine. Quale contrasto tra la “grande” storia, che vede regnare Tiberio, Erode e gli altri, che registra il sommo sacerdozio di Anna e Caifa, e la storia di salvezza, che si realizza in modo umile, nascosto! Niente di ciò che dà lustro al potere politico è presente; niente di ciò che caratterizza la solenne liturgia sacerdotale del tempio appare: no, semplicemente un fiumiciattolo, dell’acqua in cui immergersi, dei corpi che scendono e risalgono dall’acqua per azione delle braccia di un uomo, Giovanni, il quale è solo voce che nel deserto chiede una vita altra, nuova, chiede agli uomini e alle donne di ritornare al Signore e di ricominciare a vivere secondo la sua volontà. Quello di Giovanni era un battesimo in cui l’acqua era eloquente di per sé, non oscurata o nascosta da tante pretese azioni cultuali: acqua, parola, corpi che sono immersi e poi riemergono, braccia che accompagnano chi discende e poi lo risollevano… piena umanità di quel segno-sacramento dell’immersione. È sufficiente però per molti cristiani definirlo “battesimo”, per comprenderlo purtroppo solo come rito e non come gesto e parola, gesto che parla, parola che agisce segno efficace dell’azione del Dio vivente!
Dunque la salvezza è vicina e “ogni carne”, cioè tutta l’umanità fragile, mortale e peccatrice potrà vederla. Al risuonare della voce che grida nel deserto e che annuncia la venuta del Signore, occorrerà andargli incontro e spianargli la via, raddrizzare i sentieri che portano all’incontro con lui: questa è un’operazione necessaria nel cuore di ogni persona, che deve abbassare i monti del proprio orgoglio e della propria autosufficienza, deve riempire gli abissi infernali e le disperazioni che la abitano. Nel cammino di conversione si tratta dunque di predisporre tutto il cuore, liberando dagli ostacoli che impediscono alla grazia, cioè all’amore gratuito di Dio, di operare. Solo così la preghiera e la vigilanza richieste nell’Avvento diventano operanti in noi, rendendoci capaci di alzare lo sguardo e di andare incontro con parrhesía al Signore che viene!
Lc 3,1-6
Voce che grida nel deserto
Ludwig Monti, biblista
Nel
nostro cammino verso il Signore che viene, in questa II domenica di Avvento
ecco Giovanni il Battista, che apre per noi il sentiero e con la sua obbedienza
radicale alla Parola di Dio ci guida all’incontro con Gesù Cristo. Giovanni è stato il precursore di Cristo
nella storia e lo sarà fino alla fine dei tempi, come aveva compreso con
intelligenza Origene.
Nella
persona di Giovanni avviene l’incontro tra la storia, sempre fallibile e
problematica (come attesta la lista di nomi redatta dall’evangelista: si pensi
solo ai due sommi sacerdoti in contemporanea!), e la Parola potente di Dio, qui
contenuta in un famoso oracolo del profeta Isaia (cf. Is 40,3-5), ripreso da
Baruc (prima lettura: cf. Bar 5,1-9). La Parola non cessa di risuonare nella
storia, giorno dopo giorno, e chi si mette seriamente al suo ascolto deve
essere consapevole di una sua condizione permanente, perenne: sempre la Parola
giunge a noi attraverso una “vox
clamantis in deserto”, “voce di uno che grida nel deserto”. La Parola e il deserto, binomio
inscindibile. Il deserto personale è la condizione necessaria affinché
l’umano sia reso servo della Parola, facendo tabula rasa di idee preconcette, facendo tacere dentro di sé le
immagini idolatriche. Nel deserto siamo tentati, come Gesù fin dall’inizio del
suo ministero (cf. Lc 4,1-13), di fuggire dalla comunione con il Dio invisibile
per cedere alle suggestioni di Satana, suggestioni ben visibili, scorciatoie
verso una vita che pare più felice e invece è semplicemente disumana. E il
deserto avanza anche intorno a noi, se abbiamo il coraggio di “discernere con
sapienza le realtà terrene” (orazione dopo la comunione) e osservare la realtà
per quella che è.
In
questo deserto non dobbiamo però disperare: la Parola di Dio continua a
risuonare, il Vangelo continua a brillare come luce che non può essere
sopraffatta dalle tenebre (cf. Gv 1,5). Certo, Giovanni morirà martire,
decapitato in carcere dall’arroganza di un potente di questo mondo; ma proprio
lui, che Luca ci presenta come “colui che annuncia il Vangelo” (cf. Lc 3,18),
proprio lui è voce che continua a gridare, che non può essere messa a tacere da
niente e da nessuno. E cosa grida? “Ogni
carne vedrà la salvezza di Dio”: salvezza gratuita, che dipende solo
dall’accogliere la misericordia preveniente di Dio, misericordia che rimette i
peccati e causa la conversione, conversione segnata da un gesto puntuale, fatto
una volta per tutte, l’immersione nell’acqua. Ma qui appare il paradosso
inesauribile del Vangelo: “Voce che grida nel deserto: Ogni carne vedrà la
salvezza di Dio”. Gridare nel deserto è
già un paradosso; gridare nel deserto la salvezza offerta gratuitamente a tutti
mediante la remissione dei peccati è un doppio paradosso!
Ma
proprio qui, e non altrove, sta la potenza crocifissa del Vangelo. Questa, del
resto, è stata anche la dinamica interiore della vita di Gesù, Vangelo fatto
carne. Dall’inizio alla fine, come ci testimonia Luca. Gesù apre la sua
predicazione, nella sinagoga di Nazaret, facendosi eco di un’altra parola di
Isaia, quella che annuncia la buona notizia della liberazione di tutti i
prigionieri e proclama l’anno di grazia del Signore (cf. Is 61,1-2); eppure già
allora i suoi concittadini fanno il deserto attorno a lui e cercano di
ucciderlo, non sopportando tale annuncio (cf. Lc 4,16-30). Poi Gesù dice al
capo dei pubblicani Zaccheo: “Oggi per questa casa è avvenuta la salvezza … Il
Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”;
eppure al vedere ciò tutti mormorano e lo disprezzano (cf. Lc 19,7.9-10).
Infine Gesù muore su una croce, solo e abbandonato da tutti, dicendo: “Padre,
perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34); eppure, proprio
mentre prega in questo modo, tutti lo scherniscono, con quella che agli occhi
del mondo suona come una ridicola sconfitta e invece agli occhi di Gesù è la
grande vittoria: “Ha salvato altri e non può salvare se stesso!” (cf. Lc
23,35.37.39)… Non ha voluto salvare se stesso!
Sì,
anche Gesù, come Giovanni, è stato “voce
che grida nel deserto”. Non si è ribellato alla contraddizione manifesta
tra il contenuto gioioso e liberante del suo annuncio e la durezza di cuore di
chi non voleva accoglierlo, vicino o lontano da lui. “Ha proseguito nel suo
cammino” (cf. Lc 13,33), nel suo stile di vita evangelico, senza disperare per
la sconfitta a cui andava incontro agli occhi del mondo. Ha cercato tenacemente
di far fiorire il deserto, a beneficio di tutti. E il fatto che ancora oggi ci
riuniamo insieme per fare memoria del gesto sintetico dell’intera sua vita
conferma che il Vangelo di Cristo non può essere incatenato (cf. 2Tm 2,9) e che
la sua salvezza ha già avuto inizio, nonostante noi e nonostante il poco che
possiamo vederne, un inizio del quale attendiamo il compimento alla sua venuta.
Se ci fidiamo di Gesù e del suo Vangelo, ecco dunque delinearsi il compito che
spetta a noi suoi discepoli e discepole, quel compito in cui si riassume
“l’essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo” (Fil 1,10, dalla
seconda lettura). Compito semplicissimo:
continuare a essere anche noi, con la nostra vita – nonostante tutto! –, “voce
che grida nel deserto”, in ogni deserto: “Ogni carne vedrà la salvezza di Dio”.
****************
Seconda
domenica di Avvento
Vangelo:
VIVERE IL PROPRIO TEMPO
La
liturgia del tempo di Avvento è caratterizzata dalla presenza di personaggi che
hanno incarnato in sé il senso dell'attesa. L'evento annunciato era per loro
ben più di una speranza: nella fede esso era certezza. Osserviamo Giovanni
Battista, che incontriamo nel vangelo di oggi. A lui si accompagnano nei vari
momenti e nei diversi cicli liturgici che precedono il Natale, altre figure,
come ad esempio Elisabetta e Maria colte agli inizi del grande progetto di Dio
sull'uomo, oltre a numerosi riferimenti messianici nelle parole dei profeti che
più ricorrono durante l'Avvento.
S.
Giovanni Battista è davvero al centro di questa storia di riconciliazione che riesce a riunire per
sempre il cielo e la terra: tutto sembrava perduto ora che l'uomo col suo
rifiuto di Dio se ne era volontariamente
allontanato ma....come nelle parole dell'angelo a Maria, “nulla è impossibile a
Dio”. Agli occhi superficiali del mondo, un nuovo profeta che si presenta con
le vesti interiori ed esteriori della più rigida severità non sembrerebbe la
persona ideale per suscitare interesse e disponibiltà all'ascolto. Non ha
niente di attraente, eppure affascina. Rovescia il metro di giudizio che porta
a valutare positivamente ciò che promette bellezza, benessere, successo, gioia
terrena e indica tutto il contrario come via alla vera felicità.
Il
Battista lo vediamo così: sulle strade, nel deserto, sempre in cammino. Non
solo deve, come le immagini profetiche lo prefigurano, appianare i colli e
colmare le valli del cuore per preparare le strade del Signore, ma così facendo
diventa lui stesso via per tutti quelli che verranno dopo di lui. Traccia un
cammino che ancora oggi ci interpella riproponendo gli stessi interrogativi
esistenziali dei suoi contemporanei. Ha annunciato Gesù, via, verità e vita, e
prendendo le mosse da questa sua missione, lo ha anticipato in se stesso col
suo rigoroso stile di vita, essenziale ma denso di contenuti. Giovanni Battista
ha vissuto il suo tempo pur breve, in una tale pienezza che neppure una vita di
centenario avrebbe potuto dargli di più e indica a tutti di vivere il proprio
tempo con altrettanta volontà di abbracciare il modello evangelico. Il vangelo
di Luca inquadra la venuta di Giovanni in un preciso contesto, ne dà le
coordinate di tempo e di spazio, dimostrandone la piena storicità. Anche noi
siamo collocati nel nostro tempo, per essere oggi, proprio qui, come
dall'eternità siamo stati pensati.
Un
Giovanni Battista in ogni ragazzo
A
prima vista, le nostre città sono ben diverse dal deserto in cui Giovanni
attirava tanta gente. Ma in realtà, tra le nostre strade c'è del deserto in fatto
di comunicazione, di relazioni vere, di calore umano sincero.
Un
prete salesiano aveva scritto anni fa un libro dal titolo: “Nel deserto
metropolitano” : dunque già allora si avvertiva la realtà o la prospettiva che
sotto le luci e il frastuono si nascondesse un deserto di sentimenti e di
valori. Ci sarebbe davvero, anche da parte dei più giovani, la necessità di
vivere alla ricerca di un impulso nuovo che susciti in loro la capacità di
costruire amicizie vere, relazioni fondate su verità condivise e durature per
intraprendere insieme grandi progetti.
Paola Radif
pubblicato su Il Cittadino - Settimanale della diocesi di Genova del 5 dicembre 2021