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Giancarlo Bruni "Da Caino al Samaritano a Gesù"

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ALBA Dal 5 al 9 luglio, anche in Alba si è celebrato il 17° Festival biblico, iniziato a giugno nelle diocesi del Triveneto e con una propaggine albese in luglio.

A partire dal tema “Siete tutti fratelli”, ispirato all’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti, si sono susseguite le relazioni di Battista Galvagno il 5 luglio, quella di Carlo Petrini il 7 e quella di Giancarlo Bruni l’8 luglio. Infine il 9 ha chiuso Piermario Mignone con la proiezione e discussione sul film Il figlio dell’altra di Lorraine Lévy.

A promuovere il Festival biblico in Alba sono stati il Centro culturale San Paolo e la diocesi albese.

Diamo di seguito le relazioni di Battista Galvagno e Giancarlo Bruni, mentre di quella di Carlo Petrini c’è la registrazione audio.

Da Caino al Samaritano a Gesù

di Giancarlo Bruni

Il cammino dell’uomo è un viaggio mai concluso dal disordine, il caos, all’ordine, il cosmos, dalla de-creazione, la disarmonia Dio-uomo-creato, alla creazione, l’armonia Dio-uomo-creato, dal disumano, Caino, all’umano, il samaritano. Lo dice la storia millenaria delle relazioni umane, un intreccio di rapporti volpini, determinati dall’astuzia, lupeschi, determinati dalla prepotenza, alleati, determinati dal riconoscimento e dalla accoglienza dell’altro come altro. Una vicenda pensata e ripensata, una rivisitazione confluita, tra l’altro, in racconti ritenuti fondativi, trasmessi oralmente e affidati allo scritto. A memoria. Pensiamo, in ambito giudaico e cristiano, al Testamento antico di giorni e nuovo, a cui è sottesa una parola che viene incontro alla domanda dell’uomo: perché il fratello uccide il fratello, perché un popolo distrugge un popolo, si può stare altrimenti al cospetto dell’altro? Nasce così un dialogo tra la scrittura e il lettore finalizzato a una duplice resurrezione: il lettore ascoltando dà vita alla pagina, la pagina ascoltata dà vita al lettore illuminandolo e liberandolo, a lui indicazione di pensieri e di vie nuovi. È con questo atteggiamento che ci inoltriamo nelle Scritture, da mendicanti frammenti di luce, a cominciare dal racconto di Caino-Abele a cui seguirà una riflessione su Rut e Noemi e sul samaritano, per approdare a Cristo, il trattato della relazione in verità, egli «che non si vergogna di chiamare fratelli» (Eb 2,11) gli uomini.

Caino-Abele

Il racconto Caino-Abele (Gen 4,1-16) appartiene al genere letterario del mito, non un dato di cronaca   avvenuto all’in principio della storia ma una narrazione esemplare posta all’in principio di ogni esistenza umana a memoria del come sia possibile fallire la relazione, e con essa la propria stessa esistenza. Un racconto tipico, riassuntivo della condizione umana nel suo passare dalla fraternità al fratricidio: « Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise» (Gen 4,9). La prima lettera di Giovanni ne offre una spiegazione: «E per quale motivo l’uccise? Perché le sue opere erano malvagie, mentre quelle di suo fratello erano giuste» (1Gv 3,12). Caino è posseduto da un istinto malvagio che è all’origine di un agire facendo il male non gradito a Dio assieme alla sua offerta cultuale (Gen 4,3-5), a un Dio che non «sopporta delitto e solennità» (Is 1,13). Un Dio che irrompe nella vita di Caino con un interrogativo:      «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta: verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai» (Gen 4,7). Un risveglio della coscienza alla consapevolezza che irritazione, abbattimento e vergogna sono il frutto del no non dato e del sì dato alla forza del male, accovacciato, come un animale aggressivo, alla soglia del cuore. Nessuna fatalità, solo il volerlo in libertà gli apre la porta. Male è il non vigilare e il non resistere alla propria animalità aggressiva, è dare spazio all’invidia «che ci fa soffrire di un bene se appartiene all’altro, assaporare un bene se ne priviamo l’altro» (P.Beauchamp), è acconsentire alla gelosia autocentrati su di sé e sulle proprie cose al punto da impedire all’io, ai propri talenti e beni di diventare comunione, condivisione e solidarietà. Caino riassume il peccato-male dell’uomo, l’autoreferenzialità che porta a leggere l’altro, anche se mite e fragile come Abele, il cui nome significa ‘fumo’, in termini di concorrenza, di rivalità e di inimicizia, il fratello convertito in ‘limite’ alla propria volontà di potenza che è occupazione di tutto lo spazio con zone di riserva concesse. Caino-Abele emblema di una storia fondata sulla prepotenza dell’uno, il più forte e il più astuto, sull’altro, la vittima, in nome del primato dell’io personale, nazionale, internazionale e dei suoi interessi, ove l’altro è servo o è nessuno o ostacolo da eliminare. Antidoto a questa logica padronale e alla mano armata che l’accompagna è dire sì al proprio limite, l’altro riconosciuto come fratello gioendo del suo esserci da benedetto da Dio, da amato da una madre, dei suoi beni e della sua riuscita, soffrendo con lui nelle sue disavventure a lui aperto con tutto il mio essere e le mie risorse. Per una storia dal fratricidio alla fraternità che ci vede tutti, alla propria maniera, coinvolti. Questo ricorda il Terzo alla coscienza di Caino, alla nostra, a quella dei popoli: Caino «Dov’è Abele, tuo fratello?. Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello» (Gen 4,9), di certo non nell’orizzonte della mia vita, l’ho cassato; «Che hai fatto?» (Gen 4,10). Lo riconosco: «Troppo grande è la mia colpa» (Gen 4,13); «Sii maledetto» (Gen 4,11). A voler dire che chi alza la mano contro il fratello non coincide con l’uomo benedetto, «molto bello, molto buono a vedersi» (Gen 1,31), l’uomo a immagine di Dio (Gen 1,26), di un Dio il cui «desiderio e la cui gioia sono la felicità degli esseri, un Dio che inventa, in dialogo con loro, una storia di alleanza» (A.Wènin) nel segno del dono. Tutta la storia biblica è una risposta all’interrogativo di Caino, sì, ciò che lo costituisce umano è la custodia, l’essere il luogo attraverso cui il Misericordioso continua ad essere l’angelo custode dell’altro per giorni nella benedizione possibili ove si impone l’orizzonte del dono, l’orizzonte di Dio. Il quale nulla conserva gelosamente per sé e tutto dona: libero dona la libertà, creatore dona la creatività, immortale dona l’immortalità, amore dona il suo amore, forte si ritira nella discrezione per lasciare all’uomo lo spazio necessario per porsi in libertà, in creatività e in amore nei suoi confronti e nei confronti dell’altro. In un clima di dialogo, di alleanza, di custodia e nell’accettazione del limite, nel caso il sapersi da un Altro per gli altri . Sei un generato dall’Amore inviato come fratello all’altro e al creato che ti attendono come custode. Una prospettiva, leggiamo nel racconto della caduta di Adamo ed Eva, sulla quale il serpente getta un’ombra di sospetto insinuando una interpretazione peculiare di Dio e del suo comando: «Non mangiate…non toccate…morirete» (Gen 3,3). È un Dio geloso delle sue prerogative, che vuole conservare la sua superiorità sull’uomo, il suo dominio attraverso la paura e la minaccia, ‘morirete’. Uomo emancipati dalla dipendenza dall’Altro e dagli altri, diventa titolare unico della tua vita e della tua decisione in obbedienza al tuo istinto e alla tua volontà di potenza. L’uomo, maschio e femmina, affascinati da questa interpretazione la assunsero e se ne cibarono. La storia biblicamente viene letta alla luce di questo sì all’Altro e agli altri, ponendo l’alterità al cuore della soggettività, o del no ponendo l’io individuale e collettivo al centro del villaggio umano. Caino rappresenta l’uomo che si è dimenticato di questo: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4, 9). Sì, risponde tutta la Scrittura, sì risponde Dio che, in obbedienza alla sua decisione di custode dell’uomo nonostante l’uomo, pone su Caino un segno di intangibilità, di vita: «perchè nessuno, incontrandolo, lo colpisse» (Gen 4,15). L’onnipotenza dell’amore che ai Caino che disperano di ottenere perdono (Gen 4,13) risponderà con la mai conclusa citazione dei perdoni che reimmettono nel circolo della benedizione, la carovana dei fuoriusciti dal no a Dio, all’uomo e al creato, morti restituiti alla vita della filialità in rapporto al cielo, della fraternità in rapporto all’uomo, della custodia in rapporto alla terra. Figli e figlie di un unico Padre con viscere materne, tutti quindi fratelli e sorelle. Ne è chiaro esempio il racconto di Rut e Noemi.

Rut-Noemi

La storia delle relazioni nella fraternità-sororità ha nella vicenda di Rut-Noemi una pagina altamente significativa e esemplare, quanto mai attuale in questo tempo di migrazioni. Una vicenda di ordinaria emigrazione-immigrazione, l’una per carestia nel paese di Moab, quella di Noemi, con andata e ritorno, l’altra, quella di Rut, per amore, di sola andata nel paese di Israele. Una vicenda la cui soluzione è iscritta negli stessi nomi: ‘amica’, ‘compagna’ che vede e considera significa Rut, ‘mia dolcezza’, ‘mia piacevolezza’, ‘mia bellezza’ significa Noemi. «Il messaggio è chiaro: la moabita Rut è chiamata ad essere all’emigrata ebrea Noemi amica e compagna, atteggiamento imprescindibile per vedere e prendersi cura. Chi non ama è cieco… Rut diventa l’emblema delle persone, delle nazioni e dei continenti veggenti, e lo sono quanti si fanno ospitale accoglienza dando affetto e spazio all’emigrante perché amico e compagno è il loro cuore. E Noemi diventa l’emblema dell’ebreo errante semplicemente amato, non allo stretto e nel territorio di chi lo ospita. E nell’ebreo errante vedi ogni immigrato, vedi ogni forestiero chiamato a rispondere all’amicizia-compagnia con la sua dolcezza, la sua piacevolezza, la sua bellezza. Rut la moabita e Noemi l’ebrea sono l’indice del come risolvere ad altezza di Dio, in termini umanissimi dunque, il rapporto residente-straniero» (G.B), alla luce di una nuova figura di relazione, l’alleanza nell’amore che dischiude alla condivisione del pane, del territorio, degli affetti. Moab diventa casa per Noemi l’ebrea nel bisogno, Israele diventa casa per Rut la moabita emigrante per affetto, incroci da cui nascerà, dal rapporto Booz-Rut, un discendente del Messia, Obed (Mt 1,5). Una vicenda esemplare che viene incontro alle nostre vicende, occhi illuminati da ciò che significano  nomi Rut e Noemi, nei quali le due donne leggono il loro dover essere: all’altro amicizia e ospitalità, il suo volto è la tua patria  al di sopra di ogni ragione e interesse, compresa l’etnia. Prima di essere ebreo o moabita sei un uomo, a Dio figlio e figlia, all’altro fratello e sorella al servizio del suo bisogno e della sua gioia. Questo è l’umano alla cui sponda approdare, esemplificato dal Samaritano.

Il samaritano

Dalla fraternità-sororità negata, Caino, alla sororità-fraternità riconosciuta, accolta e inserita nel proprio orizzonte di appartenenza, Rut-Noemi, al samaritano, l’icona del prossimo che ogni malcapitato e no vorrebbe incontrare. Un fratello, semplicemente un fratello. Il racconto è la prosecuzione di un dialogo tra Gesù e un dottore della Legge sul che cosa fare per ereditare la vita eterna, amare Dio e il prossimo: «Fai questo e vivrai» (Lc 10,25-28). Risposta che suscita una nuova domanda: «E chi è mio prossimo?» (Lc 10,29). Gesù lo dice con la parabola del Samaritano. Prossimo, vale a dire ‘presso’, ‘accanto’, è il tu che si fa vicinissimo all’altro mosso da un preciso sentimento accompagnato da un puntuale comportamento. Tale sentimento si chiama ‘compassione’, del samaritano si dice che «ebbe compassione» (Lc 10,33) del lasciato mezzo morto al bordo della strada dai briganti (Lc 10,30), termine che traduce il commuoversi delle viscere materne, dell’utero materno. Un sentire da cui sboccia un agire i cui capitoli sono il passare accanto, il vedere, il farsi vicino, il curare le ferite, il prendere il ferito sulle proprie spalle, la cavalcatura, il provvedere al suo bisogno trovando alloggio e pagando spese (Lc 10,33-35), il dare tempo. Uno statuto della compassione, un prendersi cura (Lc 10,34) che nasce da viscere di misericordia, le sole a rendere possibile quello che papa Francesco denomina la ‘rivoluzione della tenerezza’: il fermarsi nel luogo del dolore, il divenire dolore alla vista del dolore caricandoselo sulle spalle, il farsi braccia, piedi, cavalcatura, albergo e denaro a chi è nel dolore. Questi è fratello e sorella, un cuore di carne raccontato in un corpo per l’altro, chi non ama non vede e passa oltre come il sacerdote e il levita (Lc 10,31-32), l’altro non è che ‘paesaggio’ (F. Pessoa). L’altro chi? Il Vangelo ama specificarlo, il ferito è un ebreo, chi se ne prende cura un samaritano, nemici storici. La prossimità fraterna a partire da chi si trova nel bisogno è un compito umano che riguarda tutti e che si rivolge verso tutti avanti ogni se e ogni ma, è la coscienza a suggerire all’uomo che la sua verità di uomo sta nell’assecondare il suo  anelito alla vita buona nella triplice cura di sé, dell’altro e del creato, sono le carte dei diritti umani e le religioni a ricordare all’uomo l’amore del prossimo senza discriminazioni, uomo che l’enciclica ‘Fratelli tutti’ esorta a identificarsi con il Samaritano (n.64) per cui «non possiamo lasciare che qualcuno rimanga ai margini della vita…Questo è dignità» (n.68). «Questa parabola è un’icona illuminante, capace di mettere in evidenza l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena. Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via d’uscita è essere come il buon samaritano» (n.67). «Guardiamo il modello del buon samaritano (n.66), restituiamo alla compassione attiva il ruolo di guida del pensare e del sentire personale e comunitario imparando a leggere la stessa politica come atto di amore. Samaritano introduzione ideale al Cristo il venuto non ad abolire ma a portare a compimento il discorso del ‘fratelli tutti’.

Gesù il fratello

1.Gesù «non si vergogna di chiamare fratelli gli uomini» (Eb2,11), «in tutto simile ai fratelli» (Eb2,17), all’ultimo dei fratelli svuotandosi delle sue prerogative apparendo in forma di servo (Fil 2,6-8): «Non ritenne un privilegio l’essere come Dio» (Fil 2,6). Fraternità è condividere in solidarietà la condizione umana comune, fragile e mortale (Gv 1,14).

2.Gesù il fratello, il primogenito, è via maestra alla sorgente della fraternItà-sororità, la questione della fondazione. Sua origine è la paternità-materna del suo Dio e Padre: «Uno solo è il Padre vostro, quello celeste» (Mt 23,9) e « voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8), figli e figlie dello stesso Padre con viscere di madre. Quando pregate dite: «Padre nostro», come nostro è il pane. L’uomo, in Gesù, è iniziato a una singolare conoscenza di se stesso: i «nati da donna» (Gal 4,4) come lui, principio genetico di identificazione, i «nati sotto la legge» (Gal 4,4) come lui, principio culturale di identificazione, sono i «generati da Dio» a sua immagine e somiglianza, principio cristico di identificazione. Generati a figli di Dio e fratelli ai figli di Dio.

3.Gesù, il fratello guida alla fonte della fraternità, è altresì guida alla conoscenza del sentimento primo, del pensiero primo, del volere primo e del desiderio primo richiesti per un agire declinato in termini di fraternità-sororità: la compassione attiva, aspetto sottolineato nei sinottici (Mc 1,40-42; 8,1-2; 20,29-30.32-34; Lc 7,11-15; 10,33; 15,11-20), e l’agape-amore, aspetto sottolineato da Giovanni. Il tutto in sintonia con la volontà del Padre: «Misericordia voglio e non sacrificio» (Mt 9,13; cf Os 6,6). La storia delle relazioni umane diventa storia della fraternità, umanissima, se traduzione, in pluralità di forme e di linguaggi, dell’«amatevi come io vi ho amati» (Gv 13,34), l’amore del Padre visto all’opera nel Figlio e effuso nei nostri cuori dallo Spirito (Rm 5,5). «Un amore ‘senza misura’, fino al dono di sè (Gv 13,1), ‘senza esclusioni’, comprensivo di amici e nemici, di buoni e cattivi, di giusti e ingiusti, di empi e peccatori (Mt 5,39.44-47; 1Gv 4,10; Rm 5,7-8), tutti, ebrei, greci e latini, nell’abbraccio del Cristo in croce (Gv 19,20). E ancora, un amore ‘elettivo’ (Gv 15,16),   ‘libero’ (Gv 10,18), una scelta voluta e non costretta, ‘unilaterale’, non condizionato dalla possibilità dello scacco, il non riconoscimento e la non accoglienza (Gv 1,10-11). Un amore infine ‘gratuito’, lontano dal rispondere a logiche di scambio, ‘sapiente’ (Gv 8,1-11» (G.B), Gesù non identifica l’adultera con il suo male, consapevole che solo l’amore che non condanna può dischiudere a nuovi cammini.

4.La fraternità ha dunque nel Padre la sua origine e dal Padre in Cristo la legge di fondo che ne orienta il cammino in termini singolari, folli e scandalosi, una declinazione «il cui registro è dato dallo stile dell’amabilità (Fil 4,5), della dolcezza, del rispetto e della retta coscienza (1Pt 3,16; Ap 3,20), della grazia e della sapienza (Col 4,5-6), della mitezza e dell’umiltà (Mt 11,29), del non giudizio (Mt 7,1) e della franchezza» (At 4,13.29.31) (G.B). Fraternità il cui frutto è la vita dell’altro, che segna il nostro ingresso nella vita: «Siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli» (1Gv 3,14), e ogni volto lo è, perché li riconosciamo, li accogliamo, gli diamo spazio nel nostro orizzonte, vogliamo il loro bene, in breve li contempliamo come figli e figlie di Dio donati a noi e noi a loro come fratelli e sorelle. Nella consapevolezza che il contrario è sempre possibile, il no all’Altro, il peccato all’origine di ogni peccato: «Come Caino…che uccise il fratello…Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida…la vita eterna non dimora in lui» (!Gv 3,i2.14-15). Chi ama è eterno. L’uomo è anelito alla vita buona, è nostalgia di infinito, Cristo è venuto a portare a compimento questo profondo desiderio. Esci dalla morte, entra nella vita, nell’abbondanza della vita (Gv 10,10): lasciati amare dall’Amore, Dio è amore (1Gv 4,8), ama con l’amore con il quale sei amato dal Padre in Cristo, diventa da nemico e indifferente fratello e sorella all’altro e al creato custode. Per divenire quì e ora, all’istante, cittadino della vita eterna. Questo è vita e questa è la Parola che emerge dalla Scrittura per farci risorgere alla vita, a un esserci in una fraternità reciproca connotata dalla compagnia, il fare strada insieme, dal dialogo, il parlarsi, dal servizio, l’attenzione al bisogno dell’altro, dal dono, il consumarsi nella libertà e nella gioia per il bene dell’altro. Un esserci nello Spirito che spinge verso l’altro a stringervi alleanze di fraternità (2Cor 13,13) e non nella competizione, nella diffidenza, nell’ansia di successo che generano alleanze di guerra (Th. Hobbes).

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