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Lidia Maggi "La Bibbia ci invita a lavorare speranzosi per un’economia che libera"

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Maggio-Giugno 2021
di Lidia Maggi Pastora battista 

L’esperienza di salvezza, nelle Scritture sacre, è prima di tutto esperienza concreta, politica.

Non ha immediatamente a che vedere con la sfera religiosa; o meglio, è la dimensione religiosa che non può essere separata dall’esistenza.

L’epopea dell’esodo, che segna l’intera esperienza biblica, prende avvio da un modello economico perverso, che porta morte al paese invece che vita, che crea condizioni lavorative disumane fino a ridurre alla condizione di schiavitù gli operai di una fabbrica. Nell’azienda di un padrone sfruttatore, il faraone, gli operai si organizzano intorno ad un leader per contrattare condizioni lavorative migliori, ad iniziare dalla richiesta di una pausa di soli tre giorni, che non viene loro concessa. Perché non è permesso il riposo nella fabbrica di mattoni a ciclo continuo del faraone. Ogni richiesta non solo viene respinta, ma mette in moto ritorsioni e scatena ripercussioni sulla vita degli operai. Il Dio che chiama Mosè, prima ancora di un progetto religioso, ne ha in mente uno politico, che prevede un mutamento economico: sottrarre quegli operai dal tritacarne umano del faraone. Mosè deve muoversi come un sindacalista chiamato a contrattare per i suoi il prezzo migliore d’uscita. Il popolo liberato, prima ancora del dono della terra, riceve il diritto al riposo con il sabato, non più un lavoro alienante e a ciclo continuo, ma vissuto in un tempo interrotto dal riposo.

 Terra e povertà

Il secondo elemento che permette agli schiavi di pensarsi liberi è il diritto a possedere la terra. Uno schiavo non è padrone di nulla: non possiede la sua vita, i suoi affetti, il proprio tempo, la sua casa. Ma un popolo libero, assieme alla sua libertà, possiede la terra che occupa. Il possesso della terra, tuttavia, è continuamente rivisitato inserendo, di volta in volta, quei correttivi necessari ad impedire che un diritto si trasformi nel suo contrario. Gli schiavi hanno diritto a possedere la terra, ma questa non gli appartiene totalmente, perché gli è stata donata da Dio. Una sorta di comodato d’uso, a scadenza. È anche così che possiamo leggere l’istituzione del giubileo. Una riforma agraria, voluta da Dio, per far ripartire l’economia e ristabilire la giustizia. Il possesso della terra prevede la possibilità che questa sia ceduta, venduta, ereditata. In poche generazioni, senza correttivi, si ricreerebbero situazioni di disparità tra chi si ritrova a possedere terre in abbondanza e chi non ne ha a sufficienza per vivere. Il giubileo mette un limite all’accumulo. La terra, ogni 50 anni, deve essere restituita. Anche il divieto di lavorare la terra, alla fine di un ciclo di sei anni, rappresenta un correttivo per impedire uno sfruttamento del suolo che, sull’immediato, sembra portare benefici, ma, sui tempi lunghi, impoverisce la terra.
Infine, il dono della terra viene accompagnato da un’altra promessa: «Non vi sarà nessun povero in mezzo a voi, poiché il Signore senza dubbio ti benedirà nel paese che il Signore, il tuo Dio, ti dà in eredità, perché tu lo possegga: Non vi sarà nessun povero in mezzo a voi» (Dt 15,04). Tuttavia, l’esperienza della disparità economica, che prende piede anche nella terra promessa, porterà sempre più a rimandare in un tempo messianico il compimento di una tale realtà. Allora, per arginare i disagi della povertà, viene offerto un altro correttivo sociale, il comandamento della generosità verso le categorie più fragili: «Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese, io ti do questo comandamento e ti dico: apri generosamente la tua mano al fratello povero e bisognoso che è nel tuo paese» (Dt 15,11).

Chiesa messianica e pure umana

È all’interno di questo entroterra storico-salvifico che dobbiamo leggere l’affermazione riferita alla prima comunità cristiana: «Non c’era nessun bisognoso tra di loro» (At 4,34).
La Chiesa, come realtà messianica, è chiamata a portare a compimento la promessa divina attraverso uno stile comunitario che attua la comunione dei beni e la ridistribuzione secondo le esigenze di ognuno. Non un modello formalmente egualitario, ma una condivisione che mette al centro i bisogni individuali senza omologare, proprio come avveniva con la manna dove ognuno  raccoglieva in base alle proprie necessità. Il poco basta per tutti! La condivisione dei pani e dei pesci rappresenta l’icona sintetica di questa “economia messianica”, nella quale, come testimonia il libro degli Atti degli apostoli, «tutti quelli che possedevano poderi o case li vendevano, portavano l’importo delle cose vendute e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi, veniva distribuito a ciascuno, secondo il bisogno» (At 4,34s). Che la comunione dei beni si manifesti con la vendita dei terreni non è casuale nel contesto biblico dove il possesso della terra è uno dei primi segni della libertà ricevuta. I cristiani sono disposti a rinunciare a quel bene pur di garantire il bene di tutti. Ormai la terra promessa non è più un luogo in una mappa geografica. Il Regno di Dio è laddove i bisogni di tutti sono garantiti e non si agisce come predatori nei confronti dell’altro.
La Chiesa, però, seppure realtà messianica, non è esente dalle fatiche comuni: anche lei vive e affronta le contraddizioni di ogni gruppo sociale. E proprio perché le Scritture non permettono una narrazione ideologica, ecco che, dopo averci offerto l’esempio luminoso di Barnaba, che vende il suo terreno per mettere il ricavato a disposizione di tutta la comunità, ci raccontano la triste vicenda di una coppia di sposi, Anania e Saffira (cfr. At 5,1-11). Anche loro hanno un terreno e si accordano per venderlo; ma decidono di mettere a disposizione della comunità solo una parte del ricavato, nascondendo il prezzo della vendita. Un vero imbroglio dove, apparentemente, agiscono da cristiani devoti, come Barnaba, mentre, in realtà, trattengono una parte delle loro ricchezze. L’episodio assume i contorni di una parabola, un racconto primordiale, molto vicino al mito antico della coppia primordiale, incapace di fidarsi della parola divina. Pietro, come Dio con Adamo ed Eva, interroga separatamente la coppia; ne segue un verdetto che porterà i due alla morte, quando costoro prendono coscienza della gravità della loro azione a danno della collettività. La morte fisica ben rappresenta la morte simbolica, spirituale e sociale, che colpisce coloro che agiscono con animo doppio. Come la coppia primordiale rappresenta l’intera umanità, così la coppia di sposi della prima comunità cristiana rimanda alla Chiesa tutta, sempre soggetta al rischio di agire con animo doppio: voler vivere secondo modelli economici alternativi, centrati sulla ricerca del bene comune, ma agire per proprio guadagno a danno dell’altro.

 Non gettiamo la spugna

Ciò che la Chiesa primitiva sembra aver capito fin dagli inizi, ovvero che i modelli economici che mettiamo in atto testimoniano la fede che ci abita, noi lo abbiamo dimenticato. Pensiamo all’economia come una disciplina che ha poco a che vedere con la vita della Chiesa. Percepiamo i modelli economici come qualcosa di statico, immutabile su cui non possiamo intervenire operando scelte di vita differenti. L’economia è una scienza dalle leggi ferree; appartiene al mondo del potere, dei palazzi, delle banche, delle finanze. La Bibbia intende strapparci da questa resa rassegnata, offrendoci il controcanto di un’economia guidata dal sogno di Dio: quello di liberare dalla schiavitù ogni donna e ogni uomo, così da poter gustare la vita buona, nella condivisione e nella custodia della terra.

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