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La vostra vita tra i non credenti sia bella

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Lisa Cremaschi
 
OTTOBRE-NOVEMBRE 2020 

Scrive l’apostolo Paolo a Tito: “Si è manifestata infatti la grazia di Dio che ci insegna a vivere con sobrietà, giustizia e pace in questo mondo” (Tt 2,11-12). Ѐ difficile vivere, a volte è una gran fatica e abbiamo bisogno di imparare a vivere. Gesù ce lo insegna e ci indica una via dentro la quale stare nella vita e quella via è Lui stesso. Ha dichiarato infatti: “Io sono la via, la verità, la vita” (Gv 14,6). Essere cristiani precede dunque il “fare cose cristiane”, devo lasciarmi plasmare dalle mani di Dio che trovo nella Parola e nell’Eucarestia. 
In At 2,42 leggo: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nello spezzare il pane e nella preghiera”. Queste perseveranze alimentano la mia fede, la mia speranza, la mia carità e possono trasformare la mia esistenza in una vita bella, in una vita che lascia trasparire la bellezza di Dio. Queste perseveranze alimentano la fede/fiducia in Gesù che mi ha mostrato il volto di Dio, un Dio che mi ama, che vuol bene a me, proprio a me. Alimentano la speranza che, nonostante tutto, la mia vita ha un senso; la vita di quelli che amo, la vita di ogni essere umano sulla terra ha un senso, è salvata. 

Pietro dice: “Rendete conto della speranza che è in voi” (1Pt 3,15), ma questo rendere conto non avviene a parole, o meglio, non avviene soltanto attraverso le parole, ma innanzitutto con la vita. Se non abbiamo in noi la speranza come possiamo renderne conto agli altri? I non credenti vedono in noi cristiani uomini e donne che sperano? 
O siamo affetti da lamentosi cronica dentro e fuori la chiesa? A volte si guarda la realtà, si guardano gli altri dall’esterno senza sentirsi implicati. Si vede tutto ciò che non va, che spesso si identifica soltanto con ciò che non corrisponde ai nostri desideri, alle nostre aspettative. E sorge la critica deresponsabilizzata nella quale una sola cosa è certa: che comunque ciò che “gli altri” fanno non va bene. Non è detto che la critica sia necessariamente errata, a volte coglie nel segno; ciò che è profondamente errato è porsi quali spettatori che giudicano e condannano senza sporcarsi le mani. 

“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto” (Mt11,17). Non entriamo nella danza della vita quotidiana accordando il passo su quello del vicino; non condividiamo il dolore di chi soffre o piange il proprio peccato, non ci facciamo carico di ciò che non va…; è una reazione di insoddisfazione profonda a priori. Il non voler entrare nella danza della vita rende incapaci anche di gioire di ciò che vi è di bello e di buono in un capriccioso rifiuto che, alla fin fine, altro non è se non un alibi per non rispondere alla chiamata di Gesù a seguirlo ora, in questo mondo, dentro questa storia ferita e lacerata dal peccato. 
Gesù non ha avuto paura di lasciarsi giudicare mangione e beone, amico di pubblicani e peccatori, Gesù non ha avuto paura di contaminarsi con donne impure e malati di lebbra. Ha seminato il grano buono del vangelo, semi di compassione, misericordia; sapeva che nel campo accanto al grano cresce anche la zizzania, sapeva che la sua fedeltà all’amore fino alla fine l’avrebbe condotto alla croce, ma questo non gli ha impedito di gioire, di godere delle amicizie, di vivere pasti condivisi, in uno spirito di ascolto e rispetto reciproco. Gesù ha posto dei segni forti, potenti (dynàmeis), molti non hanno voluto riconoscerli. Gesù pone dei segni forti, potenti, ora in questa nostra realtà a volte così povera, in queste nostre storie collettive e personali ferite e distorte, ma non vogliamo riconoscerli. 

Affetti da lamentosi cronica diventiamo incapaci di gioire dei segni del Regno che già ora possono rallegrare le nostre vite. 
L’amore “brutto” perché egoistico, idolatrico, è vinto da un amore “bello”, gratuito, libero da ogni pretesa di dominio e possesso. Ѐ questo amore che rende la vita bella. A questo amore cerchiamo di tendere. La vostra vita tra i pagani dice Pietro, tra i non credenti diremmo noi, sia bella (non esemplare, è detto: anastrophèn… kalèn) perché vedano le vostre opere belle/buone e diano gloria a Dio. Nessuna illusione, nessun idealismo. Il nostro amore è sempre impuro e sempre, almeno in parte, ipocrita. 

Siamo in cammino, non siamo ancora nel Regno. Le nostre relazioni devono essere profonde e larghe, dobbiamo consentire all’altro di essere quello che lui è e non pretendere di trasformarlo a nostro piacimento. Dobbiamo fare spazio all’altro, con i suoi giorni neri, i suoi limiti, le sue impazienze. La carità è larga, frutto del cuore dilatato, è pronta ad accogliere tutti, ad aprirsi alla novità. La carità è larga, sa perdonare, non si rinchiude sul passato, sulle piccole ferite che nella vita ci infliggiamo a vicenda, non serba rancore. 

Come è possibile tale carità? È possibile se, riconoscendo l’impurità del nostro amore, ci lasciamo creare di nuovo dalla Parola. La Parola ha sempre il potere di creare vita. 
All’inizio della creazione c’è la Parola; Dio dice una parola e crea. Ogni giorno possiamo essere creati di nuovo dalla Parola. 
Ogni giorno dovremmo cercare di trovare un momento per metterci in ascolto della parola del Signore, per rinnovare le forze del nostro cuore. La Parola ci permette di fare l’esegesi della nostra vita, di comprenderla, di leggerla; ci fa da specchio. Da un lato, in ogni sua pagina, ci mostra il volto di Cristo, dall’altro ci fa vedere quello che noi siamo. Vediamo riflesso il volto di Cristo e vediamo riflesso il nostro volto; vedo ciò che sono chiamato ad essere e non sono, vedo il volto di Cristo che mi attrae a sé e lavora il mio cuore trasformandolo a immagine del suo.
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