Massimo Recalcati "Ogni essere umano è un libro"
La Repubblica,
domenica 15 novembre 2020
Non è troppo forzato rappresentare la vita umana come se fosse un libro, una superficie stratificata
sulla quale si sono scritte tutte le tracce che le hanno dato forma? Non siamo forse tutti delle pagine
stampate? La nostra storia è come un libro scritto alle nostre spalle? Di cosa siamo fatti se non dei
fantasmi del nostro passato, dei suoni, dei profumi, dei ricordi, degli incontri, delle sensazioni, delle
emozioni, delle parole che hanno scritto la nostra vita? Siamo scritti da tutto quello che ci è accaduto
ed è accaduto attorno a noi. Non siamo gli autori del libro che siamo, ma siamo il libro, non siamo il
poeta ma il poema, direbbe Lacan.
Certamente, alcune di queste tracce si sono rivelate più tenaci e resistenti di altre. Alcune di queste
tracce non si lasciano dimenticare. Alcune pagine del libro che siamo non si possono non rileggere.
Risultano indimenticabili; nella luce e nelle tenebre. Pagine di gioia immensa e pagine di angoscia
profonda. Sono le pagine che hanno tracciato con più forza la nostra vita dandole forma. Il libro che
siamo non sarebbe quello che è se non fosse stato tagliato dalle nostre esperienze più traumatiche.
Nessun libro inizia dal nulla. Ogni libro è già scritto invisibilmente prima ancora di essere scritto. La
memoria può essere inesorabile. È quello che Jung definiva il “potere di ieri”. Non siamo gli autori
della nostra storia ma solo gli attori di un copione scritto da altri? I libri che amiamo di più non sono
forse quelli nei quali possiamo ritrovare la nostra parte, il personaggio che siamo stati nel copione
dettato dall’Altro?
Al tempo stesso voltando le pagine dei libri che leggiamo cerchiamo anche quello che non abbiamo
mai visto, né saputo, cerchiamo, voltando la pagina, l’incontro con l’ignoto. È la doppia direzione
che segue la pratica della lettura: per un verso cerchiamo nel libro la nostra stampata originaria — il
nostro copione, il poema che siamo — e, per un altro verso, ricerchiamo la pagina inedita che non
siamo mai stati. In altre parole, per voltare la pagina di un libro bisogna riconoscersi in quello che
leggiamo e, al tempo stesso, perderci in quello che leggiamo.
Il trauma è ciò che ci impedisce di voltare la pagina perché impone la lettura di un’unica pagina,
perché riduce la bellezza del libro a una sola pagina.
Mio padre, ragazzo ai tempi del fascismo, leggeva solo libri della Seconda guerra mondiale. Non
esistevano per lui altri libri. Il trauma aveva ridotto il mondo dei libri a una sola pagina. Ogni volta
che la vita subisce una ferita non tende a passare oltre, a voltare pagina, a dimenticare la ferita, ma
piuttosto a ripetere la ferita. Non nonostante sia una ferita, ma proprio perché è stata una ferita. Siamo
davvero fatti per cambiare, per voltare pagina? Non esiste forse un’attitudine dell’uomo a ripetere
sempre lo Stesso, una resistenza a voltare pagina? Perché ogni volta che si volta pagina qualcosa
muore. Voltare pagina significa morire? Oppure dimenticare? Cancellare il nostro passato? La lettura
non è forse una pratica della memoria?
In qualunque attività umana la creatività non sorge mai dal nulla, ma eredita una storia, un passato.
Si può voltare pagina solo se si sono lette le pagine che hanno preceduto il nostro gesto di procedere
in avanti, di continuare la lettura del libro. Il passato non ha un significato dato per sempre; il
significato del passato dipende da chi lo legge ora, adesso, nel tempo presente. Noi siamo responsabili
non solo di quello che avverrà, ma anche di quello che è già avvenuto. Possiamo, per esempio, negare
l’esistenza dell’Olocausto o assumerne tutto l’orrore. La nostra scelta significa il passato in modo
profondamente diverso. È la responsabilità della nostra lettura che determina il senso del passato e
non il senso del passato già costituito a determinare il senso della nostra lettura. È voltare la pagina
del libro che dà senso alle pagine precedenti.
Ogni libro, come ogni esistenza, non è fatta però solamente dalle pagine già scritte e lette ma da quelle
che devono ancora venire. Sono queste pagine che daranno senso alle pagine che vengono prima. In
questo senso l’ultima pagina è quella che chiudendo la storia, rendendola davvero finita, scritta per
sempre, risignifica tutte le pagine precedenti. Ma allora l’ultima pagina sarebbe quella che renderebbe
impossibile voltarne altre? Sappiamo che tutti i libri che sono già stati letti restano in qualche modo
ancora presenti nei racconti dei libri che non abbiamo ancora letto. Se il nostro libro — il libro della
nostra esistenza — è terminato, se si è definitivamente chiuso, questo non significa che le sue pagine
non possano essere ancora voltate da lettori sconosciuti. Non esiste, infatti, in nessuna parte del
mondo un libro capace di contenere tutti i libri, non esiste per principio il Libro dei libri.
Anche l’ultima pagina non sarà mai allora davvero l’ultima. Le parole resistono al dominio insensato
della morte. Non è mai il tempo dell’ultima parola perché non tutto è morte. Sono solamente le parole
che verranno a resuscitare o a far morire le parole che abbiamo pronunciato. È il nostro modo di
ereditare le parole che vengono dal passato a farle vivere ancora o spegnerle per sempre. Ogni volta
che voltiamo una pagina decidiamo il nostro passato perché facciamo esistere il nostro avvenire.