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Lidia Maggi "E adesso dove andiamo?"

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Per non tornare indietro, 
nessuno sia lasciato indietro 
Fratelli tutti Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale 
Sabato 7 novembre 2020 
Convegno diocesano della 
Caritas Ambrosiana 2020 

Meditazione biblica introduttiva di Lidia Maggi

Salmo 73 (72) 
1 Salmo. Di Asaf. 
Certo, Dio è buono con i giusti, con gli uomini dal cuore puro! 
2 Ma io, per poco non inciamparono i miei piedi, per un nulla vacillarono i miei passi, 
3 perché ho invidiato i prepotenti, vedendo la prosperità (lo shalom) dei malvagi. 
4 Non c'è sofferenza per essi, sano e pasciuto è il loro corpo. 
5 Non conoscono l'affanno dei mortali e non sono colpiti come gli altri uomini. 
6 Dell'orgoglio si fanno una collana e la violenza è il loro mantello. 
7 Esce l'iniquità dal loro grasso, dal loro cuore traboccano pensieri malvagi. 
8 Scherniscono e parlano con malizia, minacciano dall'alto con prepotenza. 
9 Levano la loro bocca fino al cielo e la loro lingua percorre la terra. 
10 Perciò seggono in alto, non li raggiunge la piena delle acque. 
11 Dicono: «Come può saperlo Dio? C'è forse conoscenza nell'Altissimo?». 
12 Ecco, questi sono gli empi: sempre tranquilli, ammassano ricchezze. 
13 Invano dunque ho conservato puro il mio cuore e ho lavato nell'innocenza le mie mani, 
14 poiché sono colpito tutto il giorno, e la mia pena si rinnova ogni mattina. 
15 Se avessi detto: «Parlerò come loro», avrei tradito la generazione dei tuoi figli. 
16 Ho riflettuto per comprendere: ma la cosa mi è sembrata difficile ai mie occhi 
17 finché non sono entrato alla presenza di Dio e ho compreso qual è la loro fine. 
18 Ecco, li poni in luoghi scivolosi, li fai precipitare in rovina. 
19 Come sono distrutti in un istante, sono finiti, periscono di spavento! 
20 Come un sogno al risveglio, Signore, quando sorgi, fai svanire la loro immagine. 
21 Quando si agitava il mio cuore e nell'intimo mi tormentavo, 
22 io ero stolto e non capivo, davanti a te stavo come una bestia. 
23 Ma io sono con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra. 
24 Mi guiderai con il tuo consiglio mi guidi secondo i tuoi piani e poi mi accoglierai nella tua gloria. 
25 Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra. 
26 Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre. 
27 Ecco, perirà chi da te si allontana, tu distruggi chiunque ti è infedele. 
28 Il mio bene è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio, per narrare tutte le tue opere presso le porte della città di Sion. 

“Siamo tutti sulla stessa barca...”: ce lo ricorda il virus, che colpisce indiscriminatamente ricchi e poveri. E tuttavia è proprio la gestione della malattia a sottolineare che, pur sulla stessa barca, c'è una notevole differenza se si viaggia nella stiva o in cabina extra lusso. Comprendiamo che la costruzione di relazioni fraterne richiede la disponibilità a vedere, denunciare e cercare di accorciare questo divario. Come se fosse semplice! quanto lavoro c’è da svolgere per soccorrere chi è aggredito dalla vita ingiusta. E allora diamoci da fare! 
E se invece, una volta tanto, per non tornare indietro e non lasciare indietro nessuno, occorresse fermarsi, pregare e recuperare uno sguardo contemplativo sulla vita? 
Può sembrare una provocazione, ancor di più per una Caritas che, nella propria mission, ha poco tempo per girarsi i pollici e molto lavoro da portare avanti, molti progetti da attuare, sempre nuove urgenze a cui far fronte. 

Il Salmo 73 (o 72, se si segue la numerazione della LXX) dà voce ad una preghiera coraggiosa, per nulla ingessata nella correttezza che ci si attende dal pio credente. Una preghiera dialettica, che prova a discutere l'ordine del mondo, quando questo risulta piuttosto un disordine, quando i conti non tornano e tutto quello in cui si è creduto sembra sgretolarsi. La preghiera è anche questo: uno spazio di discussione, dove si prova a verificare se la Parola di Dio, la promessa ricevuta, regge all'urto della storia. 

La collocazione di questo salmo, al centro del Salterio, non è casuale: nel mezzo del Libro della preghiera, prima di proseguire il cammino per arrivare infine alla lode cosmica (“ogni realtà che respiri lodi il Signore”: Salmo 150), ci si ferma. In un certo senso, si tratta di una sosta forzata: non si può andare avanti perché si rischia di lasciare qualcuno indietro. Rischia, infatti, di rimanere indietro chi, in base alla propria esperienza di vita, fatica a credere che gli ingiusti e i malvagi non la faranno franca. La storia sembra smentire la giustizia divina. 
Un salmo, dunque, che mette in scena un mondo ingiusto: un mondo che manda in crisi il proprio ordine interiore insieme alle parole d’ordine della fede. 

Il Salterio, un itinerario di fede 

Al centro del Salterio e in apertura del terzo libro. Il Salterio, infatti, non è un’antologia di preghiere, semplicemente accostate le une alle altre; non è un Innario liturgico per cantare e pregare durante le celebrazioni, scegliendo a random questo o quel salmo. Il Libro dei Salmi presenta un preciso progetto architettonico, essendo diviso in cinque libri, come 5 libri della Torà. Nella Bibbia accanto ad una Torà normativa (il Pentateuco: da Genesi a Deuteronomio) vi è una Torà orante. E come nei cinque Libri della Torà è delineato un cammino – dagli inizi, all’Egitto, fino alla soglia della terra promessa – così anche nei cinque libri che compongono il Salterio viene tracciato un percorso. L’itinerario che coinvolge il credente in preghiera si apre con il primo salmo: un testo programmatico, dove viene chiamato felice colui che non cammina seguendo gli insegnamenti dei malvagi, non indugia nel territorio dei furbi, non siede in loro compagnia. Nel Salmo 1 si legge che gli empi sono come pula che il vento porta via, mentre i giusti prosperano come alberi piantati in riva al fiume. Ora, però, a metà cammino, l'orante del nostro salmo osa affermare che quanto detto nel salmo 1 non funziona; anzi, è tutto il contrario: sono i giusti che soccombono, mentre i malvagi hanno successo. Il credente, nel mezzo del cammino, si ritrova nella selva oscura, dove viene meno la luce iniziale e non può avvalersi delle istruzioni per l'uso ricevuto all'ingresso. 
A che punto del cammino insorge una simile situazione di crisi? Il salmo 73 si trova all'inizio del terzo libro dei salmi, ovvero in quel libro dove la comunità di fede si chiede: dov'è Dio? dove sei Dio? Che ne è delle tue promesse, che fine hanno fatto la liberazione, il tuo Regno? Nel cammino proposto dal Salterio, è solo col quarto libro che giunge una risposta a questi interrogativi lancinanti; una risposta che risuona come un ritornello e una confessione di fede: Dio regna! La terra non può essere scossa perché Egli la governa. Tuttavia, non si può giungere ad una simile confessione di fede senza essere passati attraverso il grido: “dove sei?”. Analogamente, per arrivare ad affermare: fratelli tutti, nessuno sia lasciato indietro, bisogna passare attraverso la domanda che nasce dal disorientamento: “e adesso dove andiamo?”. Il titolo di questa meditazione, più che indicare una meta, segnala uno smarrimento che non solo non viene censurato, ma trova piena ospitalità nel salmo. Nel quale prende piede il sospetto che quanto creduto non funzioni, che la mappa con cui orientarsi nel mondo non sia aggiornata. Anche il credente fa esperienza di sentirsi perso: privo della bussola, che precedentemente l’aveva orientato, si domanda: e ora dove vado? E ora dove andiamo? 

Quando le chiavi per interpretare la vita non funzionano 

La mappa mostra nel primo versetto il punto di partenza. Si tratta di una confessione di fede: Dio è buono con i giusti e i puri di cuori. Chi sono i giusti, i puri di cuore? (dove “puro” sta per integro, come l’oro puro, non mischiato ad altri metalli. Per cui, i puri di cuore sono le persone dal cuore integro, non diviso, e non certo gli ingenui!). L’orante conosce la risposta fin dall’inizio del cammino. Come è scritto nel Salmo 1, i giusti sono coloro che non camminano, non si fermano e tanto meno si siedono con i malvagi, ovvero quanti non si contaminano con il male, mantengono le distanze di sicurezza e lo fanno meditando giorno e notte sugli insegnamenti di Dio. 
L’orante ha appreso la risposta ma, nel frattempo, è stato ammaestrato anche dall’esperienza fatta lungo il cammino e non può non chiedersi: tutto questo regge alla verifica della vita? Ecco, allora, che qui si torna indietro! Si ripercorre il primo salmo e lo si discute, lo si corregge. Beato l'uomo che non cammina tra i malvagi? Ma quasi i miei piedi inciampavano, ho rischiato di cadere, perché la sapienza di camminare nella giustizia non funziona e il mondo va al contrario. Sono i ricchi che prosperano e i poveri soccombono. Come a dire: non si può parlare di fraternità senza fare seriamente i conti con lo scandalo della fraternità tradita. 
Le cose poi sono ancora più complesse: non solo il mondo è diviso tra predatori e prede, ricchi e poveri, potenti e sudditi, ed è a questi ultimi che va sempre male; ma anche i puri di cuore, che osservano il benessere dei potenti, vengono contaminati dalla malvagità, cadono nella tentazione di credere che sia desiderabile essere malvagi. Il salmista ce lo racconta con lucidità: sì, sì, sarà pure beato l'uomo che non cammina secondo il consiglio dell'empio, ma io ho rischiato di inciampare perchè sono giunto ad invidiare il benessere degli ingiusti. 
Vogliamo camminare insieme in modo che nessuno rimanga indietro? Allora, rinunciando alla fretta di agire, di farci carico delle ferite causate dalle ingiustizie allestendo un ospedale da campo, dobbiamo fermarci, sostare, prenderci del tempo per capire come si ammala il cuore dei “puri di cuore” di fronte all'ingiustizia trionfante; come può andare in pezzi la fiducia in Dio. C'è un ateismo che nasce dalla superficialità, e persino dall'arroganza; ma c'è anche un ateismo tragico, quello dei disillusi, che nasce dall'aver troppo sperato e aver visto le promesse disattese: invano dunque ho purificato il mio cuore?. Perché nessuno rimanga indietro occorre farsi carico anche di questi cuori spezzati, del cuore delle nostre sorelle e fratelli che hanno creduto, ma si sono dovuti ricredere di fronte alla forza del male. Preghiamo per rafforzare il nostro cuore e il loro, e per invocare la giustizia, fino alla conversione dei malvagi: perché anche loro non devono rimanere indietro, anche loro sono nostri fratelli. Il Dio che ci domanda: dov’è Abele, tuo fratello? È il medesimo Dio che si preoccupa di dove sia Caino. 

La preghiera come spazio di discussione 

Quando ci fermiamo a riflettere e preghiamo con le Scritture, con questo salmo, non stiamo fuggendo da una realtà che non ci piace, ma la portiamo davanti a Dio e la guardiamo con il suo sguardo penetrante. Con la preghiera diamo nome ai sentimenti che proviamo, quei sentimenti che si agitano e che, se inascoltati, ci gettano nel caos e nella disperazione, dividendo il nostro cuore, mischiandovi alla fede il risentimento, la rabbia, la delusione. Come Adamo ha dato un nome ad ogni animale della creazione, così anche noi siamo chiamati a dare un nome alla moltitudine di sentimenti che, come animali selvatici, si scontrano nel nostro cuore. 
La preghiera ha questa funzione: è una pausa per ascoltarsi, per uscire dal caos dei sentimenti e far sorgere quella fraternità che non è mai un dato di fatto ma è creazione, invenzione, scelta etica. Non è un percorso semplice quello che si pone alla ricerca della fraternità; e tutt'altro che lineare: la meta non è neppure indicata in questo salmo. Qui abbiamo soltanto una tappa del lungo itinerario, che si completerà solo con l'ultimo salmo e la lode cosmica, resa possibile dall’aver guardato in faccia la crisi: “tutto ciò che respira lodi il Signore (salmo 150). La meta è questa fraternità che abbraccia il cosmo intero, dove all'unisono ogni essere vivente, ogni creatura umana, in una fraternità ritrovata, ogni amico e nemico riconciliato, lodi il Dio della vita. Il nostro salmo sta nel mezzo; il suo obiettivo è costringerci ad una pausa, perché solo così, facendo i conti con il tragico della storia, possiamo successivamente ritrovare la fiducia in quel Dio che farà svanire il malvagio come si dissolve un incubo al risveglio. 
Il salmo 73 ci mostra che la preghiera è spazio di discussione, è una pausa che non annulla il cammino ma ne fornisce l’energia necessaria, è un avanzare proprio mentre ci fermiamo. Se riuscissimo a ritrovare questa forza della preghiera, questa dinamica della sosta orante, liberata dalla sua aurea sacrale o magica e recuperata alla sua natura dialogica, di invito alla discussione, alla riflessione e al confronto con visioni del mondo differenti. 

La preghiera come cammino 

Il salmista si ferma, prega e, in retrospettiva, intravvede la strada percorsa. 
La partenza: la fede nel Signore, che è buono con i giusti, messa alla prova di una storia che attesta il contrario: eppure io ho rischiato di inciampare perché guardando il benessere degli empi, la loro pace, e sono arrivato ad invidiarli 
Prima tappa: allora mi sono detto: farò come loro… ma qualcosa mi ha trattenuto. Parlare come loro avrebbe significato tradire tutto quanto mi è stato insegnato. 
Il nostro sguardo sul mondo ha una propria storia, è l’esito di un confronto educativo che l’ha plasmato. È importante fare memoria della nostra storia, degli incontri che ci hanno segnato. È una mossa decisiva per sottrarci alle reazioni immediate, alle sensazioni a fior di pelle. C’è una sapienza dello sguardo, maturata nel corso degli anni grazie alle esperienze vissute, di cui, nel momento della sosta, è bene fare memoria. E tuttavia il salmista ci dice anche che ci sono momenti in cui questa sapienza educativa, l’eredità ricevuta in dotazione dalle persone che ci hanno formato, viene messa radicalmente in discussione dalla realtà. Certo, nel momento della crisi, quando il cuore vacilla, è un buon anticorpo il sentimento di non dover tradire le generazioni che ci hanno consegnato una sapienza del vivere a lungo maturata (v. 15). Ma neppure la realtà deve essere tradita. In fondo, anche per il credente l’ordine del giorno lo detta la realtà. E quest’ultima arriva a mettere in discussione quanto appreso fino a quel momento. Impossibile vivere di rendita e continuare ad agire come prima, come se niente fosse. Del resto, ciò che abbiamo ricevuto, alla stregua di un’eredità, non deve essere conservato sotto vuoto spinto ma andrà investito, usato in modo creativo nella nuova situazione. Il salmista non scioglie questo nodo del rapporto tra fedeltà e cambiamento, Lo evoca e lo consegna a noi, perché nella sosta orante ce ne facciamo carico, cercando nuove sintesi. 
Seconda tappa: Se, dunque, non è possibile procedere in automatico, fare come si è sempre fatto., come hanno fatto le generazioni precedenti, che pure ci hanno lasciato in eredità una preziosa sapienza, allora occorre battere strade inedite, pensare e ipotizzare nuovi cammini. A questo fa riferimento il salmista quando dice: ho riflettuto per comprendere (v. 16), mi sono preso del tempo per ragionare, per capire la situazione, individuare le cause, i nodi problematici e per immaginare una possibile fuoriuscita dalle difficoltà. La fede innesca un’intelligenza critica e un’immaginazione creativa. 
Siamo figlie e figli di Dio, ma non alla stregua di bambini chiamati ad un’obbedienza cieca. Siamo figlie e figli maggiorenni che, ad immagine e somiglianza del loro Creatore, sono chiamati ad essere creativi, ad usare la testa, a mettersi in gioco in prima persona. In questo nostro presente, in cui prevale l’abbandonarsi all’emozione del momento, dove è la “pancia” a dettare reazioni e comportamenti, la preghiera interrompe il flusso autoreferenziale delle sensazioni, ci strappa dall’immediatezza e sollecita uno sguardo pensoso, un discernimento intelligente del tempo. 
Una fede adulta deve mettersi al riparo di regressioni infantilizzanti, sempre possibili, scegliendo di darsi del tempo per la preghiera e la riflessione. 
Ma, ancora una volta, dopo aver suggerito un percorso che il salmista ha vissuto in prima persona, eccolo mettere in luce anche la sua insufficienza: ma la cosa mi è sembrata difficile. Perché nella crisi non si è spettatori del naufragio altrui, nella crisi si è tutti naufraghi. Ed anche l’intelligenza sembra bloccata, incapace di pensare e di immaginare. 
Se, dunque, né l'educazione ricevuta, né il ragionamento sulla situazione riescono a far superare l’impasse, che fare?. 
Terza tappa: il cambiamento avviene solo quando l’orante entra alla presenza del Signore. Non dimentichiamo, però, che bisogna attraversare le tappe precedenti per giungere a questo punto. La logica del cammino, del passo dopo passo, ci mette in guardia dalle semplificazioni, dall’illusione di saltare troppo in fretta entro il recinto protetto del Tempio. Il Dio biblico non agisce in modo magico; è compimento dell’esperienza, non sua negazione. Il salmista, che ha svolto un cammino critico, che non ha rimosso ma ha affrontato le sfide poste dalla storia, ora giunge alla presenza del Signore (v. 17). 
Che cosa questo significhi, non ci è dato di saperlo. Cosa gli è accaduto? Ha parlato con un padre spirituale, che l’ha introdotto al mistero di Dio nella storia? È andato al Tempio? Il salmo è reticente su questo punto. L'orante ci dice che ha fatto l'esperienza di un incontro diretto con Dio, senza dirci nel dettaglio come questo sia avvenuto. Per noi che leggiamo questo testo è frustrante non sapere; ma, allo stesso tempo, questa reticenza ci chiama in causa, come se ci venisse detto: ti suggerisco un percorso, ma sei tu che devi compierlo. Tu, con la singolarità della tua storia, diversa da quella di chiunque altro. Perché la Parola è lampada per il tuo personalissimo piede, chiamato a procedere in modo creativo, e non semplicemente a sovrapporre i passo alle impronte già tracciate sul terreno. In ogni caso, quanto solo accennato dal salmista a proposito di questo punto di svolta è sufficiente per cambiare prospettiva e guardare le cose da un altro punto di vista. Il linguaggio, da qui in poi, cambia: diventa amoroso, mistico:

21 Quando si agitava il mio cuore e nell'intimo mi tormentavo, 
22 io ero stolto e non capivo, davanti a te stavo come una bestia. 
23 Ma io sono con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra. 
24 Mi guiderai con il tuo consiglio mi guidi secondo i tuoi piani e poi mi accoglierai nella tua gloria. 
25 Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra. 
26 Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre. 

L'orante ha sperimentato nell'incontro con Dio una conversione dello sguardo. Ha acquisito uno sguardo contemplativo (alla lettera: uno sguardo maturato nel Tempio, ovvero grazie allo stare alla presenza di Dio), che gli permette di vedere oltre. Sente la presenza di Dio e riconosce che proprio lui, che si sentiva povero e fragile, ora si riscopre ricco e forte perché ha trovato il vero tesoro, la sua eredità (fuori di te non desidero più nulla). Gesù racconterà questa esperienza con le diverse parabole della gioia: la perla rara, il tesoro nascosto… Con questa gioia ritrovata si riprende il cammino. La memoria e l’intelligenza critica e creativa necessitano del fuoco della passione, che solo Dio può accendere. Lo sguardo rammemorante e quello critico rimangono bloccati ad un passato improponibile nell’oggi e ad un futuro che rimane oscuro, se accanto a loro non si accende lo sguardo contemplativo, che ci disloca dal nostro piccolo io e ci fa guardare la realtà con gli occhi di Dio. 
La fraternità, uccisa con Caino per uno sguardo sbagliato, perverso, invidioso (e, dunque, un non sguardo: in-video), può essere ritrovata solo grazie a quello sguardo contemplativo, che vede la storia con gli occhi di Dio. Uno sguardo che può essere acquisito solo stando alla Sua presenza, ascoltando la Sua Parola e, dunque, forzando le nostre vite in affanno a fermarsi e a scommettere sulla luce che sorge dalla preghiera. 
Nel Salterio, la strada da percorrere è ancora tanta: siamo solo a metà cammino; ma ora, in questa conversione di sguardo, sono poste le premesse per non lasciare indietro nessuno, per arrivare a sentirsi responsabili, custodi di Abele, ed anche di Caino, perché anche l'empio, il malvagio è destinato alla salvezza, perché siamo fratelli tutti. Anche del Caino che abita il nostro cuore, tentato di mollare il colpo sulla fraternità, di escludere l’altro dal proprio orizzonte o, al più, di sopportarlo. 
Quella pausa che Caino non ha saputo compiere, quella sosta in cui fare i conti con la bestia accovacciata alla porta del cuore che, a dispetto dell’iniziale caos dei sentimenti, è possibile dominare (cfr. Genesi 4,7), quella sosta necessaria per procedere insieme nel cammino della vita, è quanto viene proposto dal nostro salmo come chiave di volta per la creazione di una fraternità che regga la prova della storia. Ed è questa sapienza del sostare, del riflettere e del guadagnare un altro sguardo che è più che mai necessaria, oggi, per abitare la terra con fede, sospinti dalla carità di Gesù.
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