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Il latte della madre e la vita nel grembo

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Sui passi dell’Esodo
a cura di 
5 Ottobre 2020

«Non cuocerai un capretto nel latte di sua madre»: è il famoso precetto che Dio dà a Mosè alla fine della narrazione dell’alleanza che Egli rinnova col popolo infedele, ma indissolubile al Suo cuore, sul Sinai. Le parole che Dio pronuncia, nel corso del capitolo trentaquattro dell’Esodo, per formalizzare, con la forza del diritto e del rito, che la Sua alleanza – in precedenza interrotta – è ritornata in vigore, contemplano ancora questo precetto che torna a colpirci per la sua sensibilità. Una caratteristica che l’ha reso capace di segnare la memoria di ebrei e cristiani più di tanti altri comandamenti della Legge mosaica, non solo nei tempi a seguire ma persino nella sua stessa redazione (oltre al nostro anche in Esodo 23,19 e in Deuteronomio 14,21). Ed è proprio da esso che trova origine una legge della cucina Kosher (“consentita”) della religione ebraica, per cui non solo la carne e il latte, con tutti i derivati, devono stare separati tra loro, ma occorre anche separare con cura i piatti e le pentole usati per cuocerli. Gli ebrei osservanti possiedono dei lavandini separati o addirittura due cucine adibite l’una alla carne e l’altra ai latticini. 

Il divieto di cuocere un capretto, da offrire a Dio, nel latte di sua madre, manifesta, in verità, il rispetto verso regole morali universali, custodi della vita, anche in epoche in cui i sacrifici erano parte integrante del culto di Israele, pur se dovevano distinguersi da quelli dei popoli pagani. V’era un confine che non poteva essere oltrepassato nemmeno nel mondo che immaginiamo meno progredito dell’attuale, nell’area del Mediterraneo antico. Esso era costituito dalla percezione dell’inviolabilità della vita che doveva valere in ogni situazione. Il latte della madre era stato, per ogni capretto nato dal suo seno, il cibo da cui il cucciolo aveva preso a crescere, svilupparsi, a correre verso il futuro, verso la pienezza dell’esistenza. Ecco perché non poteva essere usato per dare allo stesso la morte! Il latte della madre non poteva mutare la sua natura vitale e corrompersi in “liquido” avvelenato.  

Un’immagine davvero toccante che fa pensare a quanto sia importante il precetto in questione e fa capire perché la Bibbia lo ripeta tre volte; e altrettanto a quanto, però, esso sia ancora violato in modi diversi e sempre più cinici e crudeli. Pensiamo a come noi sfruttiamo gli animali, a come non ci accontentiamo di mangiarne la carne o di berne il latte o di gustarne le uova ma come interveniamo nello sfruttamento “intensivo” di ogni loro “prodotto” mutando i loro ritmi biologici, forzando i tempi della loro esistenza, profanando il limite sacro della loro di vita. Sono creature di Dio, nostre compagne e sorelle e noi le riduciamo a macchine che vengono distrutte per costruire il nostro benessere. Questo precetto ci fa anche pensare che nessun grembo debba mai diventare una tomba: né quello animale né quello umano. E che un figlio sia mai dato alla morte dalla sua stessa madre è segno che l’anima e la mente, il corpo e il cuore, la terra, il cielo e il mare siano stati sfregiati.
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