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Rosanna Virgili "Chi fermerà la musica?"

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Ezio Bosso parlava di musica come della vita, che non finisce mai. Il vivere, quello sì, si può interrompere, diceva, ma la Vita no: essa rinasce, ritorna, ricomincia, si trasforma senza mai acquietare il suo sussurro alato.
Ogni incontro è musica e ad un concerto anche chi ascolta suona il suo strumento: il silenzio. Che stupore di parole! La musica è una confessione di vita: è toccarla, sentirla irrompere, scorrere, esserci irreparabilmente. Traccia sublime che si scopre “insieme”. E a chi gli ha chiesto, nei suoi ultimi giorni, di cosa avesse bisogno la musica, Bosso ha risposto: “ha bisogno di poco. Siamo noi ad aver bisogno di lei”!

È vero, ci manca immensamente il suo corpo di musica.

Qualcuno ha detto che mai si è trovato un Maestro, un direttore d’orchestra che abbia parlato come Ezio Bosso della musica. Lo faceva col sorriso, le mani, la sua bacchetta “magica”, l’anima che usciva dalla bocca, aperta a liberare la brama, a cercare il bacio della pienezza, dell’estasi, di un gioco casto e ineffabile. Il suo corpo era riva del mare, confine che si apre ed evapora per valicarne altri, che si protende, s’apre e scompare, pura visione e nuoto nel sub-lime. La Quinta di Beethoven.

Il sigillo degli attimi in quel vivere che è lo strappo tra il buio e la finestra, l’impotenza e la corrente, simultaneamente. Rivelazione che il corpo è terra d’anima, d’affetti, insonnia di bisogni, bagno di nostalgia, prima tra tutte: quella di “te”, di noi, di voi, di pasteggiare le note e l’amicizia, indispensabili davvero alla vita. “Non voglio parlare di distanziamento sociale” – son state le sue ultime parole pubbliche - l’isolamento non è, in effetti, per gli umani i quali sono, al contrario, giacigli d’abbraccio, sinfonie di simboli.

Il corpo, il legno, il soffio è strumento della musica che porta la vita nella storia, così come ognuno di noi la sperimenta: ricca, diversa, molteplice. C’è musica nel rugby: nel passaggio indietro che lascia la palla al compagno; nel terzo tempo che è l’occasione perché i giocatori in campo si conoscano e si ristorino insieme. Laddove vincere vuol dire avanzare uniti, proteggere la squadra. Proprio come vorrebbe la vita: essere custodita. Per poter esser condivisa. E viceversa. Per fondersi alla musica. Per salvare i colori, indossandoli tutti, trovandogli spazio senza cancellare nessuna sfumatura. La musica emoziona, letteralmente: mette in movimento, quindi non solo batte il tempo ma apre accoglienze, case, prati, teatri per tutti. Il giallo degli ebrei, il rosso degli oppositori politici, il nero dei disabili e delle prostitute: “io ne ho memoria. Io non dimentico”, ha scritto. “Erano triangoli. Erano i miei fratelli e le mie sorelle”. Custodirli, prendersi cura, salvarli: l’ha fatto con la musica. La sua orchestra sembrava davvero un caleidoscopio. Spazio di storie, di tutte le più fragili, sospese e luminose esistenze del mondo. Sembrava il palmo di una piccola mano che, piano piano, si dilatava risuonando di dita: dall’ottavino al violino, al controfagotto. E i timbri dei suoni, conversando tra loro, formavano legami, si scambiavano sguardi, diventavano intrecci, creavano prodigi di bellezza, d’incanto; le tensioni e il dolore si traducevano in conforto. Strappando schizzi di gioia pura. Come si fosse in una fenditura nella roccia, dove l’eco di una voce divina era perpetuo tirocinio d’ascolto, occhi chiusi sull’Oltre.

Lo abbiamo sentito dire: “non ho paura che la malattia mi tolga la musica perché lo ha già fatto”. E anche della morte non aveva paura perché: “è una parte della vita” diceva. Ma io continuo a domandarmi il perché! Fa così male la tua notizia, ancor più adesso che stiamo ricominciando a uscire, a vedere i negozi di fiori riaperti e la promessa di nuovi concerti. Dovremo fare come te che avevi smesso di domandarti il perché… perché – dicevi: “Ogni problema è un’opportunità”.

Per la Musica, che non si fermerà. E per la Vita.


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