Clicca

Enzo Bianchi Meditazione per il sabato santo 2020

stampa la pagina
Commento al Vangelo della domenica e delle feste 
di Enzo Bianchi fondatore di Bose

Meditazione per il sabato santo 2020 
11 aprile 2020


Sabato santo, giorno dopo la morte, tempo in cui davanti ai discepoli c’era solo la fine della speranza, un’aporia, un vuoto su cui incombeva il non senso, l’insopportabile dolore, la lacerazione di una separazione definitiva, di una ferita mortale: Dov’è Dio? E’ questa la muta domanda del sabato santo. Dov’è quel Dio che era intervenuto al battesimo di Gesù, aprendo i cieli per dirgli: “Tu sei mio figlio, di te provo molta gioia” (Mc 1,11)? Dov’è quel Dio che era intervenuto sull’alto monte, nell’ora della trasfigurazione con Mosè ed Elia e aveva esclamato: “Ecco mio figlio, l’amato!” (Mc 9,7)? Nell’ora della croce Dio non è intervenuto, a tal punto che Gesù si è sentito abbandonato da lui e glielo ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34). Ecco, un giorno intero passa e non c’è intervento di Dio… Eppure Dio non ha abbandonato Gesù: se l’abbandono appare l’amara verità per i discepoli, Dio in realtà ha già chiamato a sé Gesù, anzi, lo ha già risuscitato nel suo Spirito santo e Gesù vivente è agli inferi ad annunciare anche là la liberazione. “Discese agli inferi” confessiamo nel Credo. Ecco ciò che nel nascondimento avviene al sabato santo: giorno vuoto, silenzioso per i discepoli e per gli uomini, ma giorno in cui il Padre – che “opera sempre” (cf. Gv 5,17), come ha detto Gesù – attraverso di lui porta negli inferi la salvezza. Come Giona nel ventre del pesce per tre giorni e tre notti (cf. Mt 12,40), così anche Gesù dalla croce fu deposto nella tomba e, da lì, discese ancora, agli inferi, allo sheol dove dimorano i morti.

Mistero grande, sul quale oggi la chiesa sembra preferire tacere, quasi fosse afona. Eppure i padri della chiesa, e soprattutto la liturgia antica, hanno voluto cantare anche questa “azione” di Gesù dopo la sua morte. In un’omelia attribuita a Epifanio sta scritto: “Oggi sulla terra c’è un silenzio grande: Il Signore è morto nella carne ed è disceso a scuotere il regno degli inferi. Va a cercare Adamo, il primo padre, come la pecorella smarrita. Il Signore scende e visita quelli che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte”. E un inno di Efrem il Siro così canta: “Colui che disse ad Adamo ‘Dove sei?’ è sceso agli inferi dietro a lui, l’ha trovato, l’ha chiamato e gli ha detto: ‘Vieni, tu che sei a mia immagine e somiglianza! Io sono disceso dove tu sei per riportarti alla tua terra promessa!’”. Gesù, disceso agli inferi con la sua morte – una morte diventata “atto”, una morte assunta e vissuta – ha distrutto la morte stessa in un mirabile combattimento, come ricorda anche la liturgia siriaca: “Tu, Signore Gesù, hai combattuto con la morte durante i tre giorni del tuo dimorare nella tomba, hai seminato la gioia e la speranza tra quelli che abitavano gli inferi”.

Così la discesa agli inferi diventa estensione della salvezza a tutto il cosmo, salvezza dell’essere umano nella sua interezza: Cristo scende nel cuore della terra, nel cuore della creazione, nelle zone infernali che abitano ogni uomo. Che ne è, dunque, degli inferi dopo la “visita” del Cristo glorioso? Cirillo di Alessandria afferma che questa predicazione di Cristo agli inferi – di cui parla l’apostolo Pietro: “messo a morte nella carne, ma reso vivente nello Spirito… andò ad annunciare la salvezza agli spiriti che attendevano in prigione” (1Pt 3,18-19) – ha significato la spoliazione dell’inferno: “Subito Cristo, spogliando l’intero inferno e spalancandone le impenetrabili porte agli spiriti dei morti, vi lasciò il diavolo solo!”. Dov’è, o inferno, la tua vittoria?

Il cristiano oggi non dovrebbe dimenticare questo mistero del grande e santo sabato, vero preludio alla Pasqua ma anche lettura della discesa di Cristo nelle regioni infernali che abitano anche ogni cristiano, nonostante il suo desiderio di sequela di Gesù. Chi non riconosce in sé la presenza di questi inferi? Regioni non evangelizzate, territori di incredulità, luoghi dove Dio non c’è e nei quali ognuno di noi nulla può se non invocare la discesa di Cristo perché le evangelizzi, le illumini, le trasformi da regioni di morte assoggettate alla potenza del demonio in humus capace di germinare vita in forza della grazia. Così il sabato santo è come il tempo della gravidanza, è un crescere del tempo verso il parto, verso il trionfo della vita nuova: il suo silenzio non è mutismo ma tempo carico di energie e di vita.
stampa la pagina



Gli ultimi 20 articoli