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Rosanna Virgili "Raffaello e Miriam"

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Rosanna  Virgili
8 marzo 2020

Auguri alle donne in questo otto marzo in cui ci svegliamo e sentiamo della Lombardia in zona rossa. Anche per chi, come me, abita al centro-sud è una notizia che tocca la carne, come una ferita profonda.
In Italia è impossibile ragionare per regioni, siam davvero un “unico corpo”. Non c’è famiglia che non abbia un figlio, una nipote, un amico, un collaboratore fuori città e se quella città è Milano è quasi impossibile non esserne in qualche modo tutti coinvolti. Lo scombussolamento è radicale e quasi non riusciamo ad adattarvi la mente, a capire cosa stia accadendo. Ma stimiamo la scienza e anche un po’ la sapienza di chi decide e ci poniamo in un atteggiamento di attiva fiducia.

La medicina ha fatto immensi progressi e siamo innanzitutto grati a chi presta in questo campo il suo servizio. Scrive Yubal Noah Harari: “Dopo la carenza di cibo, il secondo grande nemico dell’umanità erano le pestilenze e le malattie infettive. Vivaci centri urbani connessi da un flusso continuo di mercanti, funzionari di governo e pellegrini erano sia il fondamento della civilizzazione umana sia l’ideale luogo di coltura degli agenti patogeni (…). Nel 1330 da qualche parte dell’Asia orientale o centrale le pulci, che erano portatrici sane del batterio Yersinia pestis, cominciarono a infettare gli umani con i loro morsi. Da qui, trasportata da un esercito di topi e pulci, la peste rapidamente si diffuse su tutta l’Asia, l’Europa e il Nord Africa (…) perirono tra i 75 e i 200 milioni di persone” (Homo Deus. Breve storia del futuro, Bompiani, Milano 2015). Per quanto impetuoso sia il vento distruttivo del Coronavirus i numeri dell’attuale epidemia non sono nemmeno lontanamente paragonabili - almeno sino ad ora - a quelli delle passate “pesti” che l’umanità ha subìto. V’è da considerare, inoltre, l’immenso impulso della tecnologia che ci permette già di fare molte cose in prossimità ma anche “a distanza”, come un vantaggio altrettanto incalcolabile. Ma, certo, il cuore del mondo “vivace di flussi e di mercati”, ricco, benestante, attrezzato in ogni campo e armato di dispositivi protettivi, è ben scosso.

Raffaello
Il 5 marzo si è aperta a Roma – alle Scuderie del Quirinale - una delle mostre più attese e preziose del mondo: quella su Raffaello. Un nome che - per un casuale gioco etimologico – significa: “Dio guarisce”, Dio è medico! Purtroppo oggi apprendiamo che anch’essa resterà chiusa, ancorché fossero ben ottantamila le prenotazioni di visita. Raffaello che ha dipinto occhi e volti di donne davvero pieni di grazia, sublimi. Che ha dato visione al mutamento del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo. Che è stato il “pittore di Dio” come dicono i critici d’arte. Chissà se lui - che morì a trentasette anni per una febbre! - mentre dipingeva, pensava alla filologia del primo nome che la Bibbia dà a Dio, dopo il passaggio del Mar Rosso del popolo ebraico in fuga: “Io sono il Signore, Colui che ti guarisce” (Esodo 15,26).

Miriam
E c’è una ragione. Mentre la Bibbia pone a motivo del grande esodo degli ebrei dall’Egitto la voglia di liberarsi dalla schiavitù di Faraone, lo storico romano Paolo Orosio (375-420 circa d.C., discepolo di Agostino) ci stupisce adducendo un’altra causa: gli ebrei sarebbero stati infettati dalla lebbra e per questo Faraone voleva scacciarli dal proprio territorio, considerandoli dei pericolosi untori. Tale reale condizione vissuta dagli israeliti viene attestata dagli storiografi latini – come Tacito e Plinio il Giovane, secondo Orosio – ma anche dalla Bibbia, seppure in maniera implicita: la mano di Mosè che da lebbrosa diventa sana e, soprattutto, la figura di Miriam, sorella di Mosè, che si ammala di lebbra tanto che: “rimase isolata fuori dall’accampamento, sette giorni”. Ma il popolo non si separò da lei, non la lasciò da sola a morire nelle steppe di Moab, al contrario: “il popolo non riprese il cammino finché Miriam non fu riammessa” (Numeri 12,15). Finché Dio non la guarì.

Contagi e migrazioni, malattie fisiche e ferite sociali: come non pensarci anche noi italiani e europei, oggi stesso? È così facile passare da infettati a untori… Quindi, giustamente combattiamo contro il Coronavirus, ma non altrettanto giustamente e persino in maniera più violenta ci “proteggiamo” dalle centinaia di migliaia di profughi siriani, dai loro adulti e dai loro bambini. Un’inquietante commistione, antica come la Bibbia e nuova come la realtà che ci circonda, ci ferisce, ci “infetta”. Di cui Miriam si fa ancora voce profetica. Dobbiamo, allora, riconoscere il “virus” per la morte e quello per la vita e acquisire una sapienza ulteriore. Siamo preoccupati dei danni alla nostra economia e ci rendiamo conto che, in realtà, abbiamo bisogno degli “stranieri”, di chi visiti le nostre bellezze, di chi coltivi con noi commerci e relazioni, per costruire insieme quella vera e piena “salute” che tutti vogliamo. Siamo davvero un’unica famiglia e solo insieme potremo essere guariti, noi tutti, cittadini del mondo. Ci vuole una “medicina” che non separi ciò che Dio ha unito: il corpo dall’anima! La politica, l’economia globale, la giustizia, la cultura debbono mettersi in gioco per preparare una terapia “inclusiva” e intensiva che consenta il pieno respiro.

Lavarsi le mani
Ai cattolici, che si apprestano a leggere il Vangelo di Matteo, creerà perplessità un testo in cui Gesù viene chiamato in causa perché i suoi discepoli non si lavavano le mani (cf Mt 15,2). Chi potrebbe non essere dalla parte di chi lo criticava, specialmente adesso? Un terreno ghiotto per i fanatici religiosi che, accogliendo ogni male come “dono” di Dio (!) rifiutano, invece, di curarsi. Sembra che proprio da sette religiose così miopi siano usciti i primi contagi in alcuni Paesi ora colpiti dal Coronavirus. In verità Gesù non dice di non lavarsi le mani, anzi, invita a non trascurare di farlo, ma chiede di più: di “lavare” prima di tutto la sorgente della persona, il suo “interno”, il suo “cuore”. Perché da lì vengono i mali che infettano l’umano nella sua completezza e non solo le nostre singole membra. Tutti abbiamo bisogno di curare le malattie del corpo unitamente a come abbiamo bisogno di libertà, di dignità, di fratellanza e d’amore. La scienza ci ha dato quel che le religioni ci hanno promesso - dice ancora l’israeliano Harari - in merito alla lotta contro le malattie e tutti gliene diamo atto con incondizionata gratitudine. Ma la fede e la Parola continuino anche a ispirare indispensabili e provvidenziali sconfinamenti per la vita dell’umanità e del mondo.
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