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Rosanna Virgili "Autorità e libertà"

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Costruttori della Pòlis
a cura di Rosanna Virgili



  1. La vera Giudea
  2. La forza dell’inerme
  3. Un culto d’amore
  4. Autorità e libertà
  5. Chi sono io per giudicare
  6. Il bacio santo

Quarta Meditazione

Autorità e libertà
(Romani 13)
Introduzione

Il capitolo 13 della Lettera ai Romani è stata una vera pietra d’inciampo nella storia dell’esegesi e, ancor più, in quella della Chiesa. L’invito che Paolo rivolge ai cristiani di “sottomettersi” alle autorità civili sembrerebbe affatto inopportuno nella letteratura autentica paolina - dove Paolo invita più spesso a ubbidire alla giustizia di Dio piuttosto che a quella civile – al punto da far considerare non autentico questo capitolo. Su un’interpretazione letterale di esso si è elaborata, in passato, una dottrina di passiva e acritica sottomissione alle autorità civili oltre che al dovere morale dell’ubbidienza fiscale anche quando essa si dimostrasse evidentemente iniqua.

Per leggere e comprendere

Il tema del rapporto tra le Comunità cristiane e gli Stati dove le stesse vivono, è sempre stato sensibile come un nervo scoperto e per ovvie ragioni. Le Comunità non sono isole e coloro che le formano sono, allo stesso tempo, anche cittadini. I battezzati lavorano, si sposano, usano le scuole e le strade, pagano le tasse, così come tutti gli altri comuni mortali. Ed ecco, allora, un primo messaggio da questo capitolo di Romani: l’invito ai cristiani a non costituirsi in Comunità parallele, dal punto di vista politico, rispetto a quelle delle città di residenza. Condividete la responsabilità di un governo comune, per il quale nessuno dev’essere un estraneo, egli invita. Paolo vuole formare una coscienza politica collaborativa, stimolare a una presenza attiva e costruttiva nelle società di appartenenza, così come al rispetto delle istituzioni (laiche) su cui quelle società si reggono. Nel caso contingente Paolo si rivolge ai cristiani, molti dei quali erano giudei che si riunivano nella domus acclesiae di Roma. L’editto di Claudio era forse lontano una decina d’anni o poco più quando Paolo scrive (49 d.C). Il libro degli Atti riferisce di una fresca fuga coatta di Aquila e Priscilla da Roma, proprio a causa dell’editto succitato, quando la coppia di ebrei riparò a Corinto e si incontrò con Paolo reduce dalla sua disavventura ateniese (cf At 18,1ss). Tutto ciò rende plausibile una reale preoccupazione da parte dell’Apostolo a che non si dessero occasioni alle autorità romane – che Paolo chiama “diaconi” – di ulteriori e perniciosi conflitti che avrebbero potuto ingenerare nuove ondate di ostilità - da parte di Roma - verso i cristiani. Paolo non pensava soltanto all’incolumità fisica degli stessi o all’ostracismo nei loro confronti ma anche alle sorti della Chiesa che, essendo ancora molto giovane, avrebbe potuto rischiare di non sopravvivere in tutte le parti dell’Impero. Oltre a ciò v’era certamente anche lo spirito di unione delle varie componenti – giudaiche e pagane – delle Comunità guidate da Paolo per le quali un buon rapporto con le autorità civili avrebbe costituito un ulteriore elemento di coesione. Sulla specifica richiesta di pagare le tasse, inoltre, si gioca un dato religioso importante: i giudei si rifiutavano di pagare le tasse a Cesare perché per loro era lecito farlo solo per il Tempio; altrimenti quel gesto avrebbe significato un latente riconoscimento del potere divino di Cesare. Paolo vuole che i cristiani superino questo atteggiamento che potrebbe originare una forma pericolosa di integrismo religioso, così come attesta lo stesso Gesù nei Vangeli (“Rendete a Cesare quel che è di Cesare” Mt 22,21). Ma davvero Paolo non mostra alcun senso critico nei confronti del “potere” dell’Impero? Niente affatto! Tutta la seconda parte del capitolo evidenzia come la coscienza del credente sia animata da ragioni ben più alte delle leggi romane e come la stessa sia libera da ogni sottomissione di sorta. “Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso. La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità” (Rm 13,8-10). Ogni gesto anche civile del cristiano è compiuto, dunque, nell’intelligenza della giustizia e della fede.


Domande per attualizzare

La pagina che leggiamo scopre, oggi, una nuova possibilità di attualizzazione: mentre in passato essa poteva esser sfruttata dai governanti a proprio vantaggio, oggi vi troviamo un messaggio critico e di esortazione all’impegno civile. Il cristiano non è un marziano che vive fuori dalla comunità civile, né un semplice censore politico e morale, al contrario, egli fa parte della stessa e deve profondere un grande impegno affinché la società, le sue istituzioni e le sue leggi possano promuovere l’inclusività, la giustizia, la solidarietà verso tutti e, specialmente, la cura dei più deboli. Ci dobbiamo chiedere come possiamo tradurre nella nostra vita concreta un simile urgente impegno. Papa Francesco ha ricordato recentemente come la “Politica” – quella alta! – sia la più grande forma di carità. Come metterla in pratica?

Preghiera

Al cominciar del giorno, Dio, ti chiamo.
Aiutami a pregare e a raccogliere i miei pensieri su di te;
da solo non sono capace.
C'è buio in me, in Te invece c'è luce;
sono solo, ma tu non m'abbandoni;
non ho coraggio, ma Tu mi sei d'aiuto;
sono inquieto, ma in Te c'è la pace;
c'è amarezza in me, in Te pazienza;
non capisco le tue vie, ma tu sai qual è la mia strada.
Padre del cielo,
siano lode e grazie a Te per la quiete della notte,
siano lode e grazie a Te per il nuovo giorno.
Signore,
qualunque cosa rechi questo giorno, il tuo nome sia lodato! Amen.
(Dietrich Bonhoeffer)
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