Rosanna Virgili "La vera Giudea"
Costruttori della Pòlis
a cura di Rosanna Virgili
- La vera Giudea
- La forza dell’inerme
- Un culto d’amore
- Autorità e libertà
- Chi sono io per giudicare
- Il bacio santo
Prima Meditazione
La vera Giudea
(Giuditta 8)
Introduzione
Il libro di Giuditta rilancia la figura di una donna come simbolo del popolo di Dio: “la Giudea” significa il suo nome. Essa è una vera figlia di Israele posta a modello per una città che, a sua volta, è simbolo di un’altra: Gerusalemme. Betulia, infatti, non è stata mai identificata sulle cartine geografiche, mentre è abbastanza evidente che dentro l’involucro delle sue mura vengano di nuovo filmate le condizioni della Gerusalemme un tempo assediata da Nabucodonosor, re di Babilonia. Mentre allora ebbero il sopravvento l’insipienza e l’infedeltà del re e dei suoi funzionari, ora ha successo un’altra decisione, quella di Giuditta animata dalla fede e dalla sapienza.
C’è un motivo per cui in un volumetto titolato al suo nome, Giuditta appaia solo a metà del percorso narrativo, quando già molto tempo era passato da quando la situazione si era fatta difficile per la sua città. Conoscere l’evoluzione dei fatti anteriori all’entrata in scena della protagonista serve a illuminare sia l’importanza sia l’intelligenza del suo coraggioso intervento. Betulia è stata presa d’assedio da ben centosettantamila fanti e dodicimila cavalieri che si son messi in marcia contro di essa alla guida del generale Oloferne. Questi aveva fatto ispezionare le sorgenti d’acqua e le aveva occupate, impedendone in tal modo l’accesso agli abitanti. L’enormità della pressione nemica fece languire il cuore di tutto il popolo: dopo trentaquattro giorni il livello delle cisterne dove si raccoglieva l’acqua piovana venne quasi a toccare il fondo e le donne e i bambini venivano meno per la sete. Tutto il popolo, allora, si radunò intorno al re Ozia e a suoi senatori innalzando un desolato grido: Dio ci ha venduti nelle loro mani – essi dicevano - meglio esser preda dei nemici e salvare la vita, piuttosto che vedere la morte con i nostri occhi. Il re fu colpito dall’urlo del popolo e quasi persuaso sull’abbandono di Dio. Ma volle metterLo alla prova: diamo a Dio ancora cinque giorni perché possa dimostrare la sua misericordia. Al contrario, se in questi cinque giorni non si farà accanto a noi per liberarci, vorrà dire che dovremo consegnarci al nemico. La decisione “popolare” dovette piacere a tutti, tranne che a una donna figlia di Merari e ora vedova del ricco Manasse. Ella non aveva nessun ruolo istituzionale in Betulia; né era stata consultata o, tantomeno, incaricata di alcun ministero o sorta di governo. Essendo vedova ella figurava anche in una delle categorie più deboli della società israelitica, accanto agli orfani, agli stranieri e ai poveri di ogni genere. Ma la responsabilità che Giuditta sentì verso la libertà del suo Paese le fece prendere la decisione. Fece chiamare gli anziani della sua città e parlò loro con somma autorità: chi siete voi che vi siete innalzati sopra a Dio stesso? Con quale diritto avete messo alla prova il Signore? Straordinaria fu la nobiltà di Giuditta: nessun re può usare Dio a strumento del proprio governo. Dio può mettere alla prova un popolo ma non viceversa. Perché ciò vorrebbe dire manipolare il Suo nome secondo fini umani e di potere. Il rapporto con Dio dev’essere leale: occorre riconoscere che si ha bisogno di Lui e farsi suoi collaboratori, sicuri che Egli voglia la salvezza del suo popolo. Così Giuditta si mise in gioco con tutto ciò che aveva, per amore della sua città. Uscì dal suo “privato” – ella si trovava in un’ottima condizione economica – per occuparsi del bene comune. Non avendo alcun formale potere politico usò le sue risorse più pregiate: l’intelligenza critica, la sapienza umana, la fede libera e adulta nel Dio d’Israele incatturabile in ogni sua volontà: “non pretendete di ipotecare i piani del Signore (…) attendiamo fiduciosi la salvezza che viene da Lui” afferma con forza Giuditta. Ella chiese fiducia al re Ozia e facoltà di fare quanto il suo cuore le suggeriva in quei cinque giorni che il re aveva dato a Dio. Fu lei a sottomettersi alla prova. E la sua generosa impresa salvò Betulia dai suoi nemici.
Quali elementi della storia di Giuditta ti sembrano straordinariamente preziosi per l’attualità? Ne vorremmo suggerire uno: quello della responsabilità che ogni cittadino ha verso la propria città e il proprio popolo di farsi carico del suo destino. Si tratta del dovere della responsabilità civile da cui nessuno può esimersi quand’anche non avesse titoli, ruoli o cariche, né autorità formalmente o istituzionalmente riconosciuta. Giuditta era una vedova e non aveva nessun “ministero” pubblico, ma sentiva che la sorte della sua città non potesse essere abbandonata ad una gestione populista (= il re che fa quello che il popolo vuole) e irresponsabile (il re e i suoi senatori sono pronti a scaricare sul Signore le loro incapacità di governo) che l’avrebbe consegnata alla rovina e alla schiavitù. Non per nulla il maschile di Giuditta è Giuda, colui che tradisce!
Preghiera
L'anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l'umiltà della sua serva.
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato a mani vuote i ricchi.
(Lc 1,46-53)