Erri De Luca "La scelta di Miriam, la forza di Iosef"
L'autore di «In nome della madre» riflette sul mistero della maternità e sul messaggio di Maria per le donne di oggi, migranti e lavoratrici
La maternità è l’origine, la formazione di un corpo dentro un grembo chiuso e poi la sua sorgente all’aria aperta.
È il mistero della vita di ognuno che rinnova la nostra specie sulla terra. Il mistero di Miriam è speciale per le modalità. Già altre volte nella scrittura sacra un messaggero della divinità aveva annunciato nascite a grembi di donna. A Sara moglie di Abramo, alla madre di Sansone: ma i figli destinati erano di seme paterno. A Miriam si annuncia un figlio che non è del suo legittimo, Iosef, Giuseppe. È annuncio di gravidanza fuorilegge. Miriam lo sa e accetta subito e ugualmente. Si mette al di fuori della legge, per la quale lei è un’adultera flagrante. La sanzione è la lapidazione, il primo sasso spetta al suo sposo tradito. Non succede perché Iosef accetta di sposarla così com’è, incinta non di lui. Conviene immaginarselo giovane e innamorato: nessun Vangelo fa sapere che è anziano, vecchio, come risulta invece da ogni immagine di quella famiglia. Il suo nome, Iosef in ebraico significa: Colui che aggiunge. Lo dimostra coi fatti. Aggiunge la sua fede seconda, lui non ha visto messaggeri, ma crede alla versione dei fatti della ragazza amata. È la più strana spiegazione di una gravidanza, la più inverosimile. Però lui crede lo stesso, non per ingenuità né per credulità, ma per la superiore forza dell’amore. Ha un vantaggio: ascolta la versione di Miriam direttamente da lei che lo guarda dritto negli occhi. La verità è spesso inverosimile, sconvolgente, insopportabile, scandalosa. Il primo uomo che osò dire della terra che girava intorno al sole, fu condannato a morte per blasfemia in Atene. Qui, accanto a Miriam, Iosef supera ogni ostacolo e aderisce alla verità per virtù del suo amore per lei.
Si aggiunge poi come sposo secondo della sua ragazza, salvandola dai sassi della legge.
Si aggiunge come padre secondo facendo un gesto anch’esso scandaloso: iscrive quel figlio a suo nome, quel figlio pubblicamente non suo. Gesù/Ieshu sta in fondo all’elenco di nomi con cui si apre il Vangelo di Matteo, che inizia con Abramo e passa per Davide, perché ce lo ha messo Iosef, che lo precede, Iosef che è legittimo discendente di quella dinastia. Il ragazzo Iosef, sposo della ragazza Miriam, si aggiunge a questa storia e le permette di portare frutto. Lui e Miriam insieme sono il mistero e la sua soluzione.
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I profeti sono presi alla sprovvista dalla voce divina che irrompe nelle loro vite. Alcuni vacillano. Mosè obietta di essere balbuziente, Isaia di essere impuro di labbra per poter pronunciare il messaggio, Geremia di essere troppo giovane per poter essere ascoltato, Giona addirittura scappa nella direzione opposta. Poi dovranno piegarsi alla volontà che li ha voluti e scelti. Miriam, ragazza, non ha nessuna esitazione di fronte all’annuncio, lo accoglie subito e il suo spontaneo consenso la fa «piena di grazia», investita cioè dall’energia divina che la rende invulnerabile ai dubbi, alle preoccupazioni per la legge infranta e l’opinione scandalizzata della gente. Miriam poi viaggia incinta e prossima al parto, e in principio di inverno, lungo piste fangose dalla Galilea del nord alla Giudea del sud, poi partorisce da sola in un riparo di fortuna senza assistenza di levatrici. La sua grazia non è un portamento da sfilate in passerella, ma forza di combattimento. La sua calma determinazione, il suo affido totale alla parola che l’ha messa incinta, è il suo salvacondotto. È lei, quella parola, che protegge Miriam, Iosef e la creatura in grembo nelle avversità e nello sbaraglio.
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Sono stato a bordo di una nave salvataggio di Medici senza frontiere nel Mediterraneo centrale. Ho visto salire a bordo per una scala di corda delle donne con figli in braccio. L’istinto di protezione materno nella nostra specie mammifera è il più potente istinto naturale. Allora: cosa era più forte, superiore a quell’istinto, che faceva salire quelle donne su fragili canotti salpati a mosca cieca in una notte, col rischio alto e atroce di naufragio? Quale forza le spingeva a mettere in pericolo, in azzardo la vita della loro creatura? Ho avuto la risposta da un verso di Virgilio, nell’Eneide. Alla regina di Libia, Didone, che ascolta il suo racconto, Enea dice: «La sola salvezza per i vinti è non sperare in alcuna salvezza».
Sembra un paradosso, è invece la formula che spiega i viaggi delle donne e dei loro figli, e i loro naufragi, nelle notti, nelle nebbie e i loro urti contro l’iceberg del respingimento. Non sperare in alcuna salvezza: la disperazione è la forza motrice che afferra una madre e la scaraventa al largo con suo figlio in braccio. Sono state queste madri che mi hanno spiegato cosa siano i viaggi che sfiorano gli abissi e bussano ai miracoli. Sono loro, le madri la prua dei canotti e delle imbarcazioni di fortuna che hanno per rotta in cielo l’ultima stella del Carro dell’Orsa Minore, fanalino che indica il nord. Chi dubita della ragione, delle cause di questi viaggi, chieda a una di queste madri e saprà da loro che sono inesorabili. Non sono passeggeri clandestini, sono destini.
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Oggi molte ragazze, donne, si trovano a esser madri senza essere in due, che non è il risultato di uno più uno, ma l’alleanza di base della vita, che moltiplica le forze, non le somma. Siamo in un’epoca che va sterilizzando le nascite, siamo il paese più anziano del mondo per età media, dopo il Giappone. Oggi la maternità riguarda la società non più soltanto l’individuo. Le madri vanno aiutate con servizi e agevolazioni, asili nido, incentivi. La maternità non deve comportare aggravi di spesa e perdita di lavoro. Deve tornare a essere una benedizione.
di Erri De Luca