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F. Cosentino "Il tuo Dio è un giudice che castiga?"

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Un’immagine di Dio fin troppo frequente è quella del Dio giudice. Per evitare ulteriori fraintendimenti, è meglio chiarire subito: è vero, Dio è anche un giudice e questa affermazione la troviamo nella Sacra Scrittura. Qual è allora il problema?

Generalmente, il nodo principale consiste nel fatto che applichiamo a Dio il nostro modo di intendere e di pensare la giustizia.
Per noi giustizia significa anzitutto che “se sbagli, paghi” e a stabilirlo, in un aula di tribunale, è un giudice che verificherà in modo minuzioso le colpe e le responsabilità. Questa idea resta troppo limitata e parziale rispetto alla giustizia di Dio, perché si limita a richiedere al colpevole di ripagare il danno causato. Ma, la giustizia di Dio è davvero così?

La Bibbia ci fa vedere che nell’agire di Dio c’è una giustizia che va oltre. Come ha ricordato spesso Papa Francesco, la giustizia di Dio è la misericordia: Egli non vuole che tu paghi in quanto colpevole, ma vuole renderti giusto e liberarti dalla colpa, cosicché tu non debba pagare i tuoi debiti! È un completo rovesciamento di prospettiva, che circola ancora poco nelle nostre Chiese. Con la misericordia, Dio sconfigge il male che ti assedia, cioè “ti rende giustizia”. Noi abbiamo sempre l’idea di dover recuperare l’errore davanti a Dio; in realtà, quando cadiamo nella rete del male Dio si commuove e soffre per noi ed è Lui stesso che interviene a nostro favore “facendo giustizia”, cioè liberandoci dalle prigionie e dalle schiavitù. La sua giustizia non è quella della semplice applicazione della legge (il “se sbagli, paghi”), ma è la misericordia con cui ci trasforma rendendoci nuove creature.

Purtroppo, molti cristiani hanno invece un’immagine di Dio che somiglia a quella di un giudice severo e spietato, al quale interessa solo stabilire le nostre colpe e punirci se siamo colpevoli.

Questa immagine di Dio viene inculcata, a volte senza volerlo, soprattutto nell’educazione religiosa ricevuta durante l’infanzia, a causa della scarsa cautela e attenzione di genitori, educatori e figure religiose di riferimento. Talvolta, purtroppo, nel tentativo di educare, rimproverare o correggere, si fa cenno della punizione di Dio o al fatto che “Dio vede tutto” e “Gesù si offende”. Molti bambini, ancora oggi, crescono con l’idea che davanti a Dio bisogna essere bimbi buoni invece che capricciosi, cioè non bisogna mai sbagliare. Se questa concezione di Dio rimane fissata e non viene scalzata da una buona evangelizzazione, si genera facilmente l’idea del perfezionismo: davanti a Dio non posso commettere errori.

In diversi colloqui spirituali, ho potuto sperimentare che molte persone arrivano come se fossero esauste e interiormente spezzate. Al di là di alcuni motivi “esterni”, il problema è che esse mettono costantemente sotto pressione se stesse, per dimostrare agli altri dei risultati sempre migliori. Hanno avuto spesso dei genitori che esigevano molto e dinanzi ai quali hanno dovuto sempre fornire delle prestazioni eccellenti per ricevere un po’ di attenzione. Sono cresciute con la paura di sbagliare e con i sentimenti di colpa dinanzi ai propri errori. In questo orizzonte, Dio è diventato per loro un giudice dinanzi a quale dover dimostrare ogni giorno la propria innocenza e il proprio valore, per non incorrere nella minaccia di un castigo. Le persone che hanno questa immagine di Dio diventano facilmente rigide, perfezioniste e dure anche con se stesse, spesso sprofondando nei sensi di colpa e negli scrupoli.

Ritornando alla Parola di Dio possiamo trovare una nuova via per rinnovare la nostra spiritualità e liberarla dalla paura di Dio, così da ricostruire anche la fiducia in noi stessi, anche nel mezzo delle esperienze fallimentari della nostra vita.

Il roveto ardente dinanzi al quale si trova Mosè, per esempio, è un luogo arido nel quale, tuttavia, brucia la presenza di Dio; esso rappresenta quell’aspetto o quella situazione della nostra vita che sono diventati secchi e inariditi, eppure in quel fallimento Dio è all’opera col fuoco della Sua presenza. Nella mia debolezza Dio risplende. Posso accogliere anche i miei difetti e i miei errori, senza paura di Dio e senza identificarmi con essi: il mio valore non dipende da essi, ma dal fatto che nel roveto arido della mia vita arde il fuoco della presenza di Dio.

Nella parabola del Padre Misericordioso, Gesù ci mostra che Dio non è un despota da temere o un giudice dinanzi al quale dover riparare il danno; Egli è il Padre di ogni figlio perduto e ama senza porre condizioni. Se il figlio minore ragiona secondo una giustizia umana – cioè “potrò essere riammesso in casa solo chiedendo scusa e ripagando il male commesso” – ecco che Dio, invece, scruta l’orizzonte da lontano e, quando lo vede gli corre incontro per abbracciarlo senza attendere le sue scuse e senza esigere il conto.

Dinanzi all’amore di Dio, manifestato da Gesù e dal Vangelo, ci accorgiamo che un Dio duro e col dito puntato, non esiste. E se esiste non è cristiano.

[Le puntate di questo percorso si ispirano al libro dello stesso autore “Non è quel che credi. Liberarsi dalle false immagini di Dio” (Dehoniane).

Nei giorni successivi pubblicheremo altre tre puntate sulle false immagini di Dio.

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