Parrocchie “liquide” e in uscita”
Francesco Cosentino
Vita Pastorale
luglio 2019
Per introdursi a un’attenta lettura della città contemporanea, si possono prendere a prestito le parole del filosofo francese Jean-Luc Nancy, secondo il quale «la città è innanzitutto una circolazione, un trasporto, una corsa, una mobilità, un’oscillazione, una vibrazione. Da ovunque essa rimanda ovunque e fuori da sé» (J.-L. Nancy, La città lontana, Ombre Corte, Verona 2002, 43).
Ciò implica l’urgenza di un ritorno alla riflessione sul tema della parrocchia. L’antica istituzione parrocchiale, infatti, è stata pensata e strutturata su un modello che, per secoli, ha prediletto e incoraggiato la stabilità: luogo di culto al centro del villaggio, spazio di relazioni attorno al quale si edificava l’identità religiosa e culturale, punto di riferimento del paese o del quartiere in un tempo in cui le persone della comunità cristiana erano pressoché le stesse che potevano frequentarsi nella vita ordinaria.
La discrepanza è oggi sotto gli occhi di tutto: questo modello di stabilità, tuttora strutturato in una forma di “solidità immutabile” poco incline alla flessibilità e alla provvisorietà, mal si sposa con i notevoli cambiamenti della società, che hanno impresso alla città e a coloro che la abitano uno stile di vita caratterizzato dall’eccesso di movimento, di ritmi e di stimoli, in cui tutto diventa transitorio, le occasioni e le opportunità si moltiplicano, le persone sono continuamente sospinte “altrove” e, alla fine, la vita stessa diventa “di passaggio”. Davvero la parrocchia, così come l’abbiamo conosciuta e “vissuta” per secoli, può continuare a essere significativa in ordine all’annuncio del Vangelo?
Uno sguardo alla città
La città odierna si presenta come lo specchio dei cambiamenti sociali e culturali degli ultimi decenni, segnati tra l’altro da una crescente secolarismo, che orienta le persone a vivere qualsiasi ambito della propria vita personale e sociale senza un chiaro riferimento a Dio, alle istanze della fede e all’orizzonte del Vangelo.
Osservando l’organizzazione della vita quotidiana della metropoli è possibile cogliere come essa, da una parte, è spazio di permanenti cambiamenti, luogo di relazione e di scambio, ambito di dialogo tra le diversità, e realtà capace di offrire un ampio ventaglio di possibilità e opzioni culturali, sociali ed esistenziali; dall’altra parte, però, essa moltiplica il rischio dell’isolamento e della solitudine, mentre i suoi ritmi frenetici rischiano di rendere sempre più deboli i legami e il senso di comunità.
Né si può dimenticare, poi, che la città produce per molteplici ragioni anche emarginazione e solitudine, situazioni di povertà e ambiti in cui cresce la rabbia, il rancore o la paura.
Come afferma Papa Francesco in Evangelii gaudium, «La città produce una sorta di permanente ambivalenza, perché, mentre offre ai suoi cittadini infinite possibilità, appaiono anche numerose difficoltà per il pieno sviluppo della vita di molti […] Non possiamo ignorare che nelle città facilmente si incrementano il traffico di droga e di persone, l’abuso e lo sfruttamento di minori, l’abbandono di anziani e malati, varie forme di corruzione e di criminalità» (PAPA FRANCESCO, Esort. Ap. Evangelii gaudium, n. 74-75).
Quale parrocchia per la città?
In questa situazione inedita, il cristianesimo deve interrogarsi anzitutto sulla pastorale parrocchiale, magari iniziando da una riflessione ecclesiale che prenda (finalmente) sul serio quella conversione pastorale in chiave missionaria tanto auspicata da Papa Francesco, «capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (PAPA FRANCESCO, Esort. Ap. Evangelii gaudium, n. 27).
Oggi, infatti, la mobilità, la frammentazione e il dislocamento che caratterizzano la città e la vita metropolitana vanno lentamente dissolvendo i nuclei di appartenenza e di comunità (del paese, del quartiere, della piazza, della parrocchia) e, perciò, sfidano la stessa idea di parrocchia; mentre essa appare ancora statica e immobile nella centralizzazione delle sue attività, nel contenuto delle proposte e nei linguaggi, le persone della città vengono a contatto, per il loro stesso muoversi quotidiano, con altre proposte pastorali e spirituali che appaiono più efficaci, sia perché si incastrano meglio con gli orari della loro giornata che per il fatto di rappresentare un nutrimento spirituale diverso e, dunque, una via sorprendentemente nuova di incontro con il Vangelo.
Che fare, allora della parrocchia? Naturalmente occorre riflettere sulla sua evoluzione futura, non sulla sua soppressione; certamente essa possiede un bagaglio di proposte pastorali utili all’iniziazione cristiana e una serie di servizi ben strutturati che possono essere ancora utili per la pastorale ordinaria. D’altra parte, però, la spinta evangelizzatrice di una Chiesa che voglia davvero essere “in uscita” verso il mondo, implica che la comunità parrocchiale si apra meglio all’incontro con il territorio e, soprattutto, con l’insieme della Chiesa locale. Nella città non è più possibile progettare e attuare una pastorale parrocchiale indipendentemente dal resto, cioè considerare la città come un aggregato di paesi, ciascuno con la propria parrocchia, il proprio parroco e i propri organismi; al contrario, la città deve essere considerata come una realtà unica e organica, a partire dalla quale concepire una progettazione pastorale d’insieme (cfr. G. FROSINI, Babele o Gerusalemme? Teologia delle realtà terrestri 1. La città, 11-12).
Si tratta di pensare l’azione pastorale nell’ordine di una effettiva comunione con le altre comunità cristiane, cioè in funzione della missione della Chiesa nella città (cfr. J. COMBLIN, Teologia della città, 414-416), sulla scorta di sperimentazioni già avviate come quella delle Unità Pastorali o delle Comunità di parrocchie, purché esse non siano impiantate solo a motivo della scarsità numerica dei preti, col rischio che si riducano alla somma di singole parrocchie diverse.
Ciò che è auspicabile è una Chiesa locale capace di pensare e programmare la pastorale d’evangelizzazione della città attraverso la sinergia delle singole forze parrocchiali; così, a partire da contenuti e obiettivi comuni, potrebbero essere generate iniziative e proposte più grandi da offrire alla città nel suo insieme, che verrebbero ad affiancarsi alla pastorale ordinaria di ogni singola parrocchia (si veda la riflessione di A. JOIN-LAMBERT, «Verso parrocchie “liquide”? Nuovi sentieri di un cristianesimo “per tutti”», in La Rivista del Clero Italiano 3 2015). Tali proposte, elaborate con criteri pastorali e linguistici nuovi ed efficaci, potrebbero coinvolgere più comunità parrocchiali, favorire l’interazione tra operatori pastorali oltre la frequente frustrazione dei ristretti contesti parrocchiali, far nascere relazioni umane significative e, nondimeno, potrebbero dar vita a un annuncio creativo del Vangelo capace di intercettare i lontani e i “diversamente credenti”. La parrocchia, in tal caso, non sarebbe il punto di partenza di un’attività pastorale organizzata attorno a se stessa, ma una comunità al servizio di un’unità pastorale e di un progetto d’insieme più grande.
Tale conversione pastorale della parrocchia sarà possibile, però, solo a partire da tre condizioni preliminari: una maggiore consapevolezza della Chiesa come mistero di comunione, che abitui i credenti a uscire dal “piccolo mondo antico” della loro parrocchia; una conversione degli organismi di raccordo tra il centro diocesano e le periferie (vicariati, foranie, ecc), attualmente ridotti a pura formalità e che, invece, dovrebbero essere luoghi di elaborazione della pastorale a servizio dell’annuncio del Vangelo; infine, un’attenzione speciale nel campo della formazione dei preti, ancora troppo abituati a pensare il proprio ministero in modo solitario e autoreferenziale.