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Daniel Attinger: Predicazione 30 giugno 2019

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Predicazione di domenica 
su Matteo 16,13-20 
a cura di Daniel Attinger

RICORDANDO PIETRO E PAOLO

Testi delle letture : Gal 1,11-20; Mt 16,13-20


Mt 16 13 Gesù andato dalle parti di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” 14 E quelli: “Alcuni Giovanni il Battista, altri invece Elia, altri ancora Geremia o uno dei profeti”. 15 Dice a loro” “E voi, chi dite che io sia?” 16 Rispose allora Si­mon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che vive”. 17 Gesù gli disse: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18 Io allora ti dico che tu sei Pietro e su tale pietra edificherò la mia Chiesa: le porte dell’Ade non prevarranno su essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli: ciò che leghi sulla terra sarà legato nei cieli; ciò che sciogli sulla terra sarà sciolto nei cieli”. 20 A quel punto dà ordine ai discepoli di non dire ad alcuno che egli è il Cristo.

Care sorelle e cari fratelli,
I testi che abbiamo appena letto ci parlano di due figure importanti della Chiesa. Le chiese ortodosse come anche quelle cattoliche celebravano ieri – lo sapete – la festa dei due apostoli Pietro e Paolo, colonne della Chiesa di Cristo. Da noi non è abitudine celebrare le feste di santi; non lo farò quindi nemmeno io. Ritengo tuttavia importante di non tacere semplicemente que­ste memorie, sotto il pretesto che l’onore vada tutto al solo Cristo. Il Nuovo Testamento con­tiene molti testi che parlano di queste figure; questi testi ci devono interpellare come gli altri. Ci dovrebbe comunque interrogare il fatto che dal iv secolo almeno, cioè da più di 1500 anni (!), si faccia memoria, in Oriente e in Occidente, del martirio di Pietro e di Paolo il 29 giugno. Si trat­ta forse della cristianizzazione di una festa pagana romana che ricordava i fondatori di Roma, Romolo e Remo. Quando Roma divenne cristiana, si pensò di non celebrare più i fondatori del­la Roma pagana, ma Pietro e Paolo, fondatori della Roma cristiana, non con la loro predicazio­ne, poiché vi erano già dei cristiani a Roma quando essi vi arrivarono, ma con il loro martirio.

Il testo che più c’interpella è quello che abbiamo appena riletto nell’Evangelo secondo Matteo. È stato l’oggetto di molte interpretazioni e polemiche sul ruolo di Pietro nella Chiesa. Vi ho aggiunto il testo che ricorda la vocazione di Paolo che mostra l’importanza dell’opera di Dio in questa vocazione. Se dunque la vocazione, il ministero e la morte di questi due apostoli sono importanti per Dio, essi non devono lasciarci indifferenti. Non ci parlano di un potere dato a loro, ma la loro vita, dalla chiamata alla morte, ci racconta Dio che li ha chiamati, cia­scuno a suo modo.

Siccome conosciamo solitamente meglio Paolo, a causa delle sue numerose lettere e per­ché è stato privilegiato nelle chiese della Riforma, mi fermerò oggi su Pietro sul quale siamo più sospettosi a causa del ruolo che ha assunto nella Chiesa cattolica e nella costruzione della figura del papa, in cui, non dimentichiamolo, alcuni riformatori non esitarono a vedere il diavolo in persona.

Vorrei soprattutto rilevare un grande paradosso. Se esaminiamo la vita di Pietro, com’è descritta dagli evangeli, dobbiamo riconoscere che non fa bella figura. Più volte gli viene rinfac­ciata la sua poca fede, una volta, addirittura, Gesù lo riprende severamente dandogli del “Sata­na” perché si era opposto all’annuncio che Gesù dava della sua passione. Qualche volta, mentre qualcosa di Gesù gli è rivelato, come in occasione della Trasfigurazione o al Getsemani, anziché restare ben sveglio, dorme. È pure lui che lo rinnega davanti a gente di cui non ha gran che da temere. E quando le donne annunciarono che Gesù era risorto, non lo credette e davanti alla tomba vuota rimase perplesso.

Sappiamo ancora che ha avuto una lite forte con Paolo a Antiochia, dove si era compor­tato in modo ipocrita, facendo credere a cristiani di origine ebraica, piuttosto tradizionalisti, che non si era mescolato a cristiani di origine pagana, mentre in realtà aveva abbandonato l’assem­blea in cui si trovava appena aveva saputo dell’arrivo di quei cristiani tradizionalisti.

Come allora è proprio a questo discepolo che Gesù dice: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’Ade non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli…”?
Questa parola, l’abbiamo sentito, è detta a Pietro subito dopo che ha confessato che Gesù era il Cristo, il Figlio di Dio, per cui è interpretazione tradizionale, da Giovanni Crisostomo ai riformatori, e spesso fra i commentatori protestanti, il dire che la “roccia” su cui Gesù costrui­sce la sua Chiesa non è Pietro, ma la sua fede, fede che gli è stata data da Dio: “Beato te, Simo­ne figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli” (Mt 16,17). Molti commentatori però, fra i quali anche protestanti, sottolineano che Gesù non dice: “sulla tua fede edificherò la mia Chiesa”, bensì: “su di te, Pietro”, giocando anche sul suo nome: Kefa che, in aramaico, è nome proprio o nome comune per “roccia”, gioco di parole un po’ più debole in greco e in italiano, tra Pietro e “pietra”.

Ritorna allora la domanda: perché proprio lui? Vorrei sottolineare tre elementi.

Il primo è che Gesù non fa di Pietro il costruttore della chiesa. Gesù rimane l’autore di questa costruzione. Dice infatti: “Su di te io edificherò la mia Chiesa”. È quanto conferma il libro degli Atti degli Apostoli dove si legge più volte che “il Signore aggiungeva alla comunità quelli che trovavano la via della salvezza”. È dunque chiaramente il Cristo che costruisce la Chiesa, non Pietro, non gli apostoli e neanche noi. Questo è importante, soprattutto quando, come noi in questi tempi, si fa parte di una comunità estremamente minoritaria che rischia di essere presa dalla disperazione nel vedere le sue file assottigliarsi. La costruzione è in mano al Signore, fac­ciamogli fiducia, saprà guidare la sua Chiesa là dove la vuol condurre. Notiamo però che non è affatto detto che quella meta corrisponda all’idea che ci facciamo del punto dove dobbiamo andare: potrebbe anche darsi che il Signore non voglia che perduri eternamente la divisione fra i cristiani, e che allora dobbiamo trovare il modo di vivere la nostra fede cristiana insieme con gli altri, che ora non professano la nostra stessa identica fede, ma con i quali, comunque, ciò che possiamo vivere insieme è di lunga più importante di ciò che ci divide.

La seconda cosa che vorrei sottolineare è che Gesù parla del solo Pietro, non di successori! A Cesarea di Filippo Gesù non ha fondato il papato! Ciò che invece il Signore dice è che ogni Chiesa, in ogni tempo e in ogni luogo, e dunque anche la nostra comunità di Biella, come pure la diocesi di Biella, o ancora le comunità copta o ortodossa che vivono qui, tutte queste comu­nità sono state edificate dal Cristo su Pietro. Ancora qui abbiamo di che riflettere: se siamo edi­ficati dal medesimo Signore sullo stesso apostolo Pietro, perché mai continuiamo ad essere divi­si? Forse perché vorremmo una Chiesa perfetta, mentre Gesù ci ricorda che ci costruisce su Pietro, quel apostolo di cui dicevo che non fa bella figura!

Questo ci conduce al terzo elemento che volevo sottolineare: Pietro, dicevamo, fa brutta figura. Non sembra un modello convincente. Ma proprio per questo Gesù ha scelto di edificare la sua Chiesa su di lui, il timorato, preso dal panico, rinnegatore, di poca fede: perché, propria a causa di questi suoi difetti, farà la grande esperienza di non poter vivere se non grazie al per­dono di Cristo. Questa fu la sua grande esperienza pasquale. Questo fatto ci deve ricordare che la Chiesa può vivere solo del perdono di Cristo e che quindi non ha altro messaggio da annun­ciare al mondo in cui vive se non quello della misericordia e del perdono senza confini di Dio.

Proprio in questo perdono, accolto e annunciato, la Chiesa, le Chiese trovano la loro gioia. È anche in esso che troveranno la loro unità. Il Signore ci conceda il suo Spirito perché sappiamo trovare la strada sulla quale il Signore vuol farci camminare. A lui la gloria e la lode, ora e sempre.

Amen
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