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Ludwig Monti "Come in cielo, così in terra"

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Salmo 24

Di David. Salmo.

1Del Signore è la terra e quanto contiene,
il mondo e quanti vi abitano.
2 È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha reso stabile.
3 Chi salirà sul monte del Signore?
Chi starà nel luogo del suo Santo?
4Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non volge il suo essere agli idoli,
chi non giura con inganno.
5 Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustificazione da Dio sua salvezza.
6 Questa è la generazione di quanti lo cercano,
di quelli che cercano il tuo volto: è Giacobbe.
7Alzate, o porte, i vostri frontoni,
alzatevi, soglie eterne,
ed entri il Re della gloria!
8Chi è questo Re della gloria?
Il Signore forte e potente,
il Signore potente nella lotta!
9 Alzate, o porte, i vostri frontoni,
alzatevi, soglie eterne,
ed entri il Re della gloria!
10 Chi è questo Re della gloria?
Il Signore dell’universo,
egli è il Re della gloria!

Nella solennità dell’Ascensione celebriamo la paradossale tensione tra il “già” e il “non ancora”. L’ascensione, inesprimibile con le nostre parole e non a caso narrata in due modi diversi da Luca (cf. Lc 24,46-53; At 1,1-11), è un altro modo per dire l’evento unico della resurrezione di Gesù. Ormai alla destra del Padre siede per sempre il corpo umano di Gesù e noi contempliamo in questa realtà la prefigurazione di ciò che attende il nostro corpo. Eppure questa assunzione definitiva di Gesù nella vita divina è anche separazione da noi. È una forma di presenza “altra”, ma proprio per questo è “assenza” dalla nostra terra: Gesù non può più essere ascoltato, visto, contemplato, toccato (cf. 1Gv 1,1). Da questa paradossale tensione scaturisce la domanda che da quel giorno non cessa di rinnovarsi in ogni nostro oggi: come restare fedeli alla terra cercando le cose dell’alto? Gesù risorto, nell’atto di separarsi dai suoi, proprio perché non si sentano orfani, manifesta loro il “come” dell’esistenza terrena cui sono chiamati, in fedeltà a lui e nell’attesa della sua venuta gloriosa: essere testimoni e portatori in mezzo a tutti gli umani di gesti di conversione e di prassi di perdono dei peccati (cf. Lc 24,47-48).

È proprio questo che contempliamo in un salmo apparentemente lontano da tali pensieri, il salmo 24, che nella tradizione cristiana è stato associato fin dalle origini proprio all’Ascensione. Per arrivarci bisogna però fare un breve tragitto, che richiede un po’ di pazienza… Si tratta di uno dei due “salmi della porta”, gemello del 15: in esso si esprimono cioè delle precise condizioni etiche per poter varcare la soglia del tempio e celebrarvi la liturgia. Come hanno detto a più riprese i profeti, che senso ha compiere azioni di culto se non si vivono la giustizia e l’amore?

Dopo un’acclamazione cosmica iniziale (cf. vv. 1-2), in occasione di una liturgia che prevede la processione dell’arca (cf. 2Sam 6), dimora del Dio invisibile, il popolo giunge alle porte del tempio di Gerusalemme, “il luogo del Santo del Signore” (cf. v. 3), situato sul monte Sion. Ai pellegrini che domandano chi sia degno di varcare le soglie del tempio, i sacerdoti rispondono indicando alcune norme etiche, riassumibili nell’integrità che coinvolge le azioni (le mani), i pensieri (il cuore puro: cf. Mt 5,8) e le parole (il giuramento; cf. v. 4). Vivere in questo modo significa lottare contro l’idolatria, “non volgere il proprio essere alla vanità”, condizione che risuona con una particolare forza nella versione latina: “qui non accepit in vano animam suam”, ovvero chi non accoglie a vuoto il dono inestimabile della vita (l’unica che ogni umano possiede!), chi non si lascia irretire nelle maglie di un’esistenza vuota, finendo per sprecare i propri giorni… Chi cerca il volto del Signore, cioè la sua Presenza, mediante questa prassi umana, è da lui benedetto e giustificato, grazie alla sua misericordia che salva (cf. v. 5-6).

Segue un ulteriore scambio di domande e risposte (cf. vv. 7-10). Al popolo che invita ad aprire le porte del tempio al Signore, il “Re della gloria”, i sacerdoti dall’interno chiedono per due volte una sorta di parola d’ordine: “Chi è questo Re della gloria?”. I pellegrini replicano fornendo due definizioni successive: è “il Signore forte e potente, potente nella lotta”; è, più in breve, “il Signore dell’universo”. In tale contesto si comprende meglio l’acclamazione di apertura del salmo: colui che entra nel tempio alla testa del popolo è anche il Signore creatore della terra, dell’universo, il quale ha dato un ordine al cosmo, innalzandolo sul caos delle acque primordiali (cf. Gen 1,2.9).

Come dunque si arriva alla lettura cristiana che associa questo salmo all’Ascensione? Il punto di partenza è un particolare apparentemente secondario, la variante attestata dalla versione greca ai vv. 7 e 9: “Alzate, o prìncipi (hoi árchontes), le vostre porte”. Secondo questa lettura, non sono le porte che devono alzare i loro frontoni, ma sono i principati angelici a dover sollevare le porte eterne, le porte del cielo, per consentire l’ingresso al Re della gloria. Dalla terra si passa dunque al cielo, a una liturgia che ha luogo nel tempio celeste. È facile intravedere nel Nuovo Testamento tracce di una rilettura di tale concezione in chiave cristologica:

Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria … manifestò l’efficacia della sua forza e del suo vigore in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni Principato e Potenza (Ef 1,17.19-21).

Cristo … entrò una volta per sempre nel Santo … procurando una redenzione eterna (Eb 9,11-12).

In virtù della resurrezione Gesù Cristo è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze (1Pt 3,21-22).

La tradizione patristica, e di conseguenza quella liturgica, ha dunque applicato il nostro salmo innanzitutto all’ascensione di Cristo, come mostrano, per esempio, queste parole di Giustino (metà del II secolo):

La profezia che dice: “Alzate, o principi, le vostre porte, sollevatevi, o porte eterne, ed entrerà il Re della gloria” (Sal 23 [24],7.9 LXX), va interpretata in riferimento a Cristo, “apparso senza bellezza né gloria” (cf. Is 53,2), come detto da Isaia, da David e da tutte le Scritture. Egli è “Signore delle potenze” (ibid., 10) per volontà del Padre che gliel’ha concesso. Egli è risorto dai morti ed è salito al cielo, come rivelavano il salmo e le altre Scritture che lo proclamavano anche “Signore delle potenze”.

Ben presto però i padri hanno interpretato il salmo 24 in relazione ad altre due “entrate” di Cristo: il suo ingresso nel soggiorno dei morti attraverso la sua discesa agli inferi (cf. 1Pt 3,18-20), parte dell’unico e indivisibile mistero pasquale, e il suo ingresso in questo mondo mediante l’incarnazione. Quest’ultima lettura è strettamente intrecciata a quella relativa all’ascensione, i due estremi della vicenda umana di Cristo. Lo illustra bene lo stesso Giustino:

“Alzate, o principi, le vostre porte, sollevatevi, o porte eterne, ed entrerà il Re della gloria” (Sal 23 [24],7.9 LXX) … Si tratta del nostro Cristo: quando risorge dai morti e ascende al cielo i principi a ciò preposti da Dio in cielo ricevono l’ordine di aprire le porte dei cieli perché entri costui che è il re della gloria e, asceso al cielo, “si sieda alla destra” del Padre “finché ponga i nemici come sgabello ai suoi piedi” (cf. Sal 109 [110],1 LXX) … Ma quando i principi celesti lo vedono senza bellezza, non riconoscendolo chiedono: “Chi è questo Re della gloria?” (Sal 23 [24],8.10 LXX). Allora lo Spirito santo risponde loro sia a nome del Padre sia a nome proprio: “Il Signore delle potenze, questi è il re della gloria” (ibid., 10).

Infine, il salmo 24 viene utilizzato da numerose liturgie occidentali, compreso quella romana, come salmo processionale proclamato la domenica delle Palme, prima dell’ingresso dei fedeli in chiesa. Incarnazione, ingresso a Gerusalemme, discesa agli inferi, ascensione: questo salmo a prima vista così lontano da tali concezioni ci fa percorrere l’intera traiettoria del mistero della persona di Gesù Cristo.

Ebbene, l’interpretazione letterale del salmo e la sua ampia rilettura cristologica trovano un punto d’incontro proprio nello stile di vita di Gesù: egli è sempre entrato nel tempio con mani innocenti e cuore puro, grazie a una condotta risolutamente anti-idolatrica, cioè al non aver accolto invano dal Padre il dono della sua vita (“Tutto mi è stato dato dal Padre mio”: Mt 11,27; Lc 10,22). Con lo stesso stile ha fatto il suo esodo da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1), varcando le soglie del tempio del cielo. Così ha testimoniato che la terra e quanti la abitano appartengono a Dio; così ha cantato il salmo 24 indirizzandosi a quanti lo amano, invitandoli a conoscere la giustificazione e la salvezza della loro vita, già ora e poi per l’eternità, nella “via” (At 9,2, ecc.) da lui aperta, “la via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso … la sua carne” (Eb 10,20). È Gesù Cristo il Re della gloria che bussa alla porta delle nostre vite affinché gli apriamo (cf. Ap 3,20): gloria paradossale, non nella forza o nell’abbaglio mondano, ma in quella debolezza così forte che nasce dalla potenza dell’“amare fino alla fine” (cf. Gv 13,1).

In altre parole, aderendo a Gesù siamo collocati tra un passato che lo ha visto camminare su questa terra e un futuro rischiarato dalla promessa che egli stesso camminerà dal cielo verso di noi: “Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto camminare verso il cielo” (At 1,11). In mezzo c’è il nostro presente, in cui siamo chiamati a “camminare sulla terra come Gesù ha camminato” (cf. 1Gv 2,6). È ciò che ha espresso in modo mirabile Dietrich Bonhoeffer, in una sua omelia del 1932:

Sta scritto: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù” (Col 3,1). Potremmo parafrasare, oggi: Rimanete fedeli alla terra, pensate alle cose della terra. Questo è il sano intento di infiniti uomini e donne … Oggi è decisivo che noi cristiani testimoniamo al mondo che non siamo viandanti delle nuvole, che non siamo indifferenti all’andamento delle cose, che la nostra fede non è l’oppio che ci rende contenti in mezzo a un mondo ingiusto. E invece che noi, proprio perché pensiamo alle cose dell’alto, tanto più appassionatamente e consapevolmente viviamo su questa terra.

Benedetto sei tu,
Signore Gesù Cristo,
che hai vissuto la nostra esistenza:
salito in cielo hai portato con te la nostra umanità,
l’hai resa santa, gloriosa, immortale.
Purifica il nostro cuore
e ispira i nostri pensieri, parole e azioni,
affinché il nostro camminare sulla terra
abbia lo stile del tuo amore intelligente.

Ludwig Monti,
Monaco di Bose

Leggi la recensione di Pietro Pisarra, in Jesus, maggio 2019 al libro "I Salmi: preghiera e vita"
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