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Sussidio Giornata dialogo tra cattolici ed ebrei 2019

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IL LIBRO DI ESTER
dalle cinque Meghillot

Sussidio per la
XXX GIORNATA PER L’APPROFONDIMENTO E LO SVILUPPO
DEL DIALOGO TRA CATTOLICI ED EBREI
17 Gennaio 2019

INTRODUZIONE
Care lettrici, cari lettori, un cordiale shalom a voi!
È bello introdurre questo fascicolo, pubblicato in occasione dell’annuale Giornata di approfondimento del dialogo tra cattolici ed ebrei, condividendo una constatazione positiva: il fatto cioè di poter rilevare come in questi ultimi anni si sia andato rafforzando il comune impegno tra cattolici ed ebrei nel nostro paese. Infatti, l’Ufficio CEI per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso assieme alla Commissione Episcopale ha promosso diversi incontri volti alla mutua conoscenza e soprattutto alla mutua collaborazione. Negli incontri avuti finora sono stati coinvolti soprattutto l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la Comunità Ebraica di Roma, nelle persone del Rabbino Capo Riccardo Di Segni, della Presidente della Comunità Ruth Dureghello e della Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche, Noemi Di Segni.
Negli incontri si è cercato di individuare un campo di collaborazione che potesse aiutare da parte cattolica la conoscenza dell’ebraismo come realtà vivente e non solo come memoria di fatti del passato; si è cercato di porre l’attenzione anche su alcuni documenti della Chiesa cattolica, che hanno certamente segnato profondamente la comprensione dell’ebraismo e la teologia della Chiesa stessa, ma che sono rimasti a volte ristretti a piccoli gruppi.
Così negli ultimi incontri si è individuato come luogo di riflessione l’insegnamento della religione cattolica, guardando soprattutto a quanto viene raccontato dell’ebraismo, della sua storia e della sua attualità. La presenza al tavolo di lavoro è stata così allargata ai responsabili CEI del Servizio Nazionale per l’insegnamento della religione cattolica e dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università, oltre che ad alcuni altri amici, in rappresentanza sia delle comunità ebraiche sia della chiesa cattolica.
Potremmo dire che con questo nuovo orizzonte di impegno ritorna alla mente un interessante documento del 1985 della Pontificia Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo: “Sussidi per una corretta presentazione degli ebrei nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica”.
Pur non trattandosi esplicitamente di un testo che fa riferimento all’insegnamento della religione cattolica, il documento contiene utili suggerimenti, anche se, a mio parere, alcuni di essi sono meglio compresi e in un certo senso superati da documenti e pronunciamenti successivi, come ad esempio il testo della Pontificia Commissione Biblica “Il popolo Ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana”. Ormai comunque il cammino è tracciato, quindi non possiamo che continuare sulle linee indicate con chiarezza dal magistero della Chiesa, il quale sottolinea sempre più il legame profondo e unico tra ebrei e cristiani e quindi anche la necessità di una reciproca conoscenza.
Che cosa concretamente stiamo facendo in questi incontri? Con questo sussidio per la XXX Giornata di approfondimento del dialogo tra cattolici ed ebrei vogliamo aiutare tutti i fedeli delle nostre comunità a riscoprire il legame con l’ebraismo nella sua storia e nel suo presente in mezzo a noi. Auspichiamo dunque che la giornata del 17 gennaio diventi ovunque un’occasione per questo approfondimento. In un tempo in cui sembrano acuirsi le contrapposizioni, in cui il dialogo risulta più faticoso e quasi scelta debole, vorremmo invitare tutti a un impegno rinnovato, perché sia contrastata ogni forma di antisemitismo e di razzismo, e nella mutua comprensione possiamo contribuire a rendere possibile la convivenza e l’arricchimento reciproco delle comunità cristiane ed ebraiche. La diversità non sia mai motivo di inimicizia e di rifiuto, ma una ricchezza da condividere. Il dialogo è l’unica possibilità che abbiamo davanti a qualsiasi forma di inimicizia per vivere in pace. Il dialogo è l’unica via alla pace.

AMBROGIO SPREAFICO
Presidente Commissione Episcopale
per l’ecumenismo e il dialogo CEI

COMMENTI AL LIBRO DI ESTER
La voce ebraica
IL ROTOLO DI ESTER

Scopo di queste note è di spiegare l’importanza del rotolo di Ester nella spiritualità ebraica, e dare alcune indicazioni su come venga studiato e interpretato.
La storia raccontata nel rotolo di Ester è alla base di una festa ebraica molto partecipata, la festa del Purìm. Il 14 del mese di Adàr, un mese prima della festa di Pèsach, la Pasqua ebraica, in corrispondenza della luna piena, si ricorda con gioia la data in cui il primo ministro Hamàn aveva deciso che il popolo ebraico vivente nell’impero persiano dovesse essere massacrato e distrutto. Un piano di genocidio diretto alle vite delle persone, senza possibilità di scampo. Il progetto di Haman fu però sventato dalla regina Ester e da suo zio Mordekhài (Mardocheo) e si trasformò nella rovina dei persecutori.
A ricordo di quei fatti si celebra per un giorno la festa del Purìm che si caratterizza per una serie di norme: obbligo di lettura del rotolo di Ester, la sera d’inizio e la mattina dopo; scambio di doni alimentari; offerte ai poveri; ricco pasto festivo, con obbligo specifico di indulgere nel vino (semel in anno …) fino a dimenticare che Hamàn era il cattivo e Mordekhài il buono. È una festa che coinvolge soprattutto i bambini, che in questa occasione (forse per influsso del carnevale italiano) si mascherano. La fisicità delle manifestazioni di allegria è una sorta di compenso del ricordo della minaccia fisica di distruzione. La storia del Purìm rappresenta nelle vicende ebraiche millenarie il prototipo di un clichè drammatico, quello di un popolo disperso nel mondo, sottoposto al capriccio dei governi, che da un momento all’altro rischia di essere massacrato; il lieto fine della storia (raro nelle vicende reali) dà un po’ di speranza, e tutto questo spiega la radicalità del coinvolgimento e dell’identificazione popolare intorno a questo ricordo, in apparenza tutto allegro, in sostanza dolce-amaro.
Quindi il rotolo di Ester assume nell’ebraismo un ruolo liturgico e istituzionale ben preciso e se è vero che anche gli altri quattro rotoli sono legati ciascuno ad una ricorrenza del calendario ebraico, nel caso di Ester il legame è più forte, attestato da un obbligo preciso di lettura ripetuta e preceduta da una formula di benedizione (Benedetto il Signore che ci ha comandato di leggere il rotolo … Benedetto il Signore che ha fatto miracoli ai nostri padri in quei giorni, in questo tempo).
Nell’interpretazione tradizionale del rotolo di Ester vale come un principio essenziale quello di una lettura su diversi piani: quello letterale del racconto dei fatti, e quelli alla ricerca di significati nascosti. E di significati nascosti questo piccolo-grande rotolo è un tesoro tutto da scoprire. A cominciare dai nome dei protagonisti: Ester e Mordekhài non sembrano nomi ebraici, anzi sembrano collegati ai nomi di due divinità dell’universo babilonese-persiano: Astarte e Marduk. Il nome di Ester è collegato a una divinità stellare, con una trasmissione nelle lingue europee: aster- astro, star, stern. Il messaggio che deriva da questi nomi è quello della integrazione e assimilazione originaria degli ebrei persiani alla cultura locale, fino ad assumerne i nomi delle divinità; una delle linee esegetiche del rotolo è quello del recupero forzato in una identità originaria da parte di un popolo che, disperso tra le nazioni, aveva dimenticato chi fosse. Ma l’esegesi rabbinica va oltre, ragionando sul significato della radice s-t-r nell’ebraico biblico: è la radice che indica il nascondere e il nascondersi (in qualche modo come la parola mistero, attraverso percorsi complicati). La storia del rotolo sta tutta nella dinamica tra ciò che appare e ciò che si nasconde, sta dietro ma tira le fila. Nel tipico modo dell’esegesi rabbinica si domanda paradossalmente dove esista un’allusione ad Ester nella Torà, e la risposta è nel versetto di Deut. 31:18 “Io nasconderò (astèr hastìr) il mio volto da loro”; è una profezia terribile, nella quale si dice che a seguito della colpe del popolo il Signore, metaforicamente, si ritrarrà da lui, si renderà inaccessibile. È in qualche modo la chiave per l’interpretazione del negativo e del male nella storia, in cui la provvidenza divina smette di agire direttamente e lascia il corso degli eventi al caso. Ma rispetto alla disperazione che potrebbe cogliere davanti a questo messaggio allarmante, è il nome di Ester a fornire una chiave consolatoria; perché se è vero che il volto si nasconde, questo non significa però che scompare dalla storia. La provvidenza continuerà ad agire, ma in modo nascosto. Tutta la storia del rotolo di Ester lo dimostra. In apparenza c’è l’esercizio del potere statale arbitrario. In realtà tutti i disegni perversi vengono smantellati, con una concatenazione di eventi che sistematicamente li distrugge. È stato notato che nel libro di Ester non compare mai esplicitamente un nome divino, solo una volta con una tenue allusione (“la salvezza arriverà da un altro luogo” Est. 4:14, con riferimento all’idea che Dio è il “Luogo” del mondo). La prima spiegazione è che il rotolo era destinato a circolazione pubblica con rischio di profanazione, per cui era bene evitare che vi fosse iscritto il nome divino, che rende un testo sacro e da custodire con particolare attenzione; ma la spiegazione vera è che ciò rappresenta l’apparente invisibilità e assenza divina nella storia, in contrasto con quella prepotente del potere umano: nel rotolo di Ester la radice di mèlekh, re, compare ben 251 volte; ma tutto per dimostrare che benché onnipresente il re è solo una marionetta governata da fili invisibili.
Sempre nella ricerca di allusioni nella Torà, la domanda viene fatta anche a proposito del nome di Hamàn. E qui la risposta è ancora più sorprendente.
Come è noto, nei rotoli manoscritti della Torà non ci sono alcune vocali; la sequenza delle tre consonanti di Hamàn, h-m-n, la si trova già in Gen. 3:11, nella frase hamin (scritto h-m-n) ha’ètz, “forse dall’albero”, la domanda che fa Dio ad Adamo dopo la colpa, hai forse mangiato dall’albero che ti avevo proibito? Il primo senso di questo accostamento è il legame del male, incarnato da Hamàn, con la colpa primordiale, e il ruolo dell’albero: è su un albero che Hamàn chiede che Mordekhài sia impiccato, e sullo stesso albero finirà lui impiccato. Da qui nasce una serie di narrazioni leggendarie che in modi strani si intersecheranno con narrazioni cristiane.
Un altro filone fondamentale di lettura, riprendendo da Hamàn, è quello delle sue origini. Un breve accenno (Est. 3:1) collega Hamàn ad Agàg, che è il nome del re amalecita catturato e risparmiato dal re Saul, che per questo atto di discutibile misericordia perse il regno (1 Sam. 15). D’altra parte Mordekhài ed Ester sono della tribù di Beniamino (Est. 2:5). Il senso di questi accostamenti dà una chiave di lettura all’intera storia. Gli Amaleciti rappresentano la malvagità gratuita che si scatena contro il popolo di Israele, che in diversi momenti della storia deve affrontare e combattere; questo ruolo spetta a una discendenza regale nell’ambito del popolo ebraico che risale a una delle due mogli principali del patriarca Giacobbe, Leà e Rachèl. Da Leà nasce Yehudà, che sarà il capostipite di David e della stirpe messianica, da Rachèl (moglie più amata da Giacobbe) derivano Yosèf (primo re, nel senso di vicerè di Egitto) e Beniamino, capostipite della sfortunata linea regale di Saul. Ma proprio a questa linea spetta il compito storico di combattere Amalèq, e la storia del rotolo di Ester non è che l’ultima puntata biblica. A prova dello stretto legame tra Ester e la sua ascendenza materna, e Yosèf in particolare, sta il fatto che numerose espressioni del rotolo di Ester sono la riproduzione letterale delle espressioni usate nella storia di Yosèf negli ultimi capitoli della Genesi.
Un ultimo accenno a questioni femminili, visto che di donne nel rotolo si parla molto. Un primo accostamento è quello tra Ester e Sara. Ne è prova (dato che i messaggi biblici si fanno per allusioni) il fatto che all’inizio del rotolo di dice che l’impero persiano era fatto di 127 stati o province. A proposito di Sara (unica tra le matriarche) è detto che visse 127 anni. Il legame tra Ester e Sara non si ferma qui, di entrambe si parla con espressioni analoghe della straordinaria bellezza, e di entrambe che furono portate via a forza alla casa del re (Sara due volte, dal Faraone e Avimelekh, Ester da Assuero). Vite coincidenti, con una serie di implicazioni da scoprire. Sempre sul piano femminile non può passare inosservata la vicenda della prima regina, Washtì, che viene ripudiata per aver disobbedito all’ordine del marito di comparire davanti ai suoi notabili ubriachi. Questo rifiuto ne fa una eroina femminista, al confronto di Ester che gioca la sua femminilità con un sistema assai più tradizionale e sottomesso. Ma le apparenze ingannano. Per questo la tradizione rabbinica spiega i retroscena: Washtì non è la santerella virtuosa che vorrebbe far credere, era una regina altezzosa che trattava le sue ancelle come il marito trattava lei, esponendole a ogni sorta di vergogna e umiliazione; e soprattutto era la discendente della dinastia babilonese, che era stata sconfitta dai persiani. Il rifiuto di Washtì sarebbe stato solo un’espressione di orgoglio di una dinastia che non si voleva sottomettere ai vincitori, e il ripudio l’occasione per Assuero, una volta ben saldo al potere, di liberarsi di un fardello non più necessario.
Insomma, anche da questi brevi accenni, emerge la ricchezza di un testo tutto da esplorare.

RAV RICCARDO DI SEGNI
Rabbino capo della
Comunità ebraica di Roma

La voce cattolica
LIBRO DI ESTER

Il libro di Ester è un unicum nel panorama biblico per varie ragioni: per la complessità della condizione dei testi antichi, per il suo ricco messaggio teologico, per la storia della interpretazione nelle tradizioni e nelle liturgie ebraica e cristiana.

Un libro in due
Il lettore italiano che prende in mano la Bibbia CEI del 2008 individua facilmente il libro di Ester nella sezione dei libri cosiddetti Storici. Quando apre le pagine interessate, si trova però di fronte ad una situazione inedita: nella stessa pagina sono stampati due testi, il testo greco nella parte superiore e il testo ebraico nella parte inferiore. La Nota editoriale ne dà conto così: «Poiché è convinzione generale della Chiesa che tutte e due le forme testuali del libro di Ester, la greca e l’ebraica, sono ispirate, è parso opportuno conservare, assieme al testo greco, quello ebraico, conosciuto e letto con amore dai fedeli per tanti secoli fino ad oggi. Il testo greco di Ester è stampato nella parte superiore della pagina per segnalare la sua preminenza nella liturgia della Chiesa cattolica».
Per spiegare una tale situazione, unica nella Bibbia italiana, bisogna tornare indietro ai testi antichi in nostro possesso. La tradizione testuale ebraica presenta un testo in dieci capitoli, che contiene una storia ben definita con i personaggi di Ester e Mardocheo come protagonisti. La tradizione testuale greca, invece, offre un testo più ampio di ben sei capitoli. Tra questi c’è la celebre preghiera di Ester (Est 4,17k-u), che la liturgia cattolica offre alla meditazione dei fedeli il giovedì della I settimana di Quaresima.
Quando san Girolamo (347-420) tradusse il libro di Ester in latino, pur volendo dare la priorità al testo ebraico, non potè trascurare queste ulteriori sezioni di testo in greco. La Vulgata, cioè la traduzione di san Girolamo che divenne nei secoli autorevole per i cattolici di rito romano, contiene quindi di fatto le sensibilità di entrambi i testi antichi: ebraico e greco.

Un libro per due racconti
Chi considera in parallelo questi due testi antichi riconosce facilmente le somiglianze e le differenze nelle rispettive trame. Il racconto ebraico è dinamico e ricco di suspense. Esordisce nel clima sfarzoso della corte persiana, quando il re Assuero depone la moglie Vasti dalla carica di regina (Est 1).
Allora Ester, una giovane giudea allevata dal cugino Mardocheo, conquista il cuore del re che decide di sposarla, senza che questi conosca le sue origini giudaiche (Est 2). A corte fa capolino però la sinistra figura del primo ministro Aman, che cova una spietata vendetta contro Mardocheo, reo di non prostrarsi ai suoi piedi. Trama pertanto di uccidere Mardocheo e di sterminare tutti gli ebrei residenti nel regno di Persia e tira a sorte il giorno per lo sterminio: il 13 del mese di Adar (Est 3). Mardocheo trasmette la notizia alla regina, che decide di incontrare il marito per intercedere a favore dei giudei (Est 4). Ester chiede al re di poter dare un primo banchetto per lui e per Aman (Est 5,1-8). Tornato a casa euforico per l’invito, Aman fa innalzare un palo nel cortile di casa con l’intento di chiedere l’indomani al re di farvi impiccare Mardocheo (Est 5,9-14). Nella notte, però, Assuero apprende che Mardocheo ha sventato una congiura ai suoi danni (Est 6,1-3; cfr. 2,19-23): il mattino successivo, comanda quindi che Mardocheo sia portato in trionfo per la città proprio da Aman (Est 6,4-14). Durante il nuovo banchetto Ester chiede al re di fermare il piano perverso di Aman, che minaccia ingiustamente la vita sua e del popolo giudaico. Assuero la asseconda e comanda che il primo ministro sia impiccato al palo che egli stesso aveva fatto innalzare nel suo giardino (Est 7). Tutti i poteri di Aman vengono trasferiti a Mardocheo, mentre ai giudei viene consentito di rivalersi sui nemici (Est 8). Così, in ricordo di questi eventi, si celebrerà annualmente una festa: Purim (Est 9).
Il racconto ebraico si chiude con un ultimo elogio di Mardocheo (Est 10).
Il racconto greco, oltre a questo racconto condiviso con il testo ebraico, presenta sei cosiddette aggiunte (Est 1,1m-r; 3,13a-g; 4,17a-z; 5,1a-f; 8,12a-v; 10,3a-k), che ne arricchiscono la trama. Ad esempio, la prima aggiunta (Est 1,1m-r) offre subito una determinata chiave di lettura all’intera narrazione: Mardocheo vede in sogno uno sconvolgimento cosmico e la lotta tra due draghi spaventosi. A questa visione corrisponderà l’ultima aggiunta (Est 10,3ak), con l’interpretazione del sogno. Il caos e la violenza verranno trasformati in pace e nel trionfo dei giusti: così, i giorni inizialmente destinati allo sterminio diventeranno giorni di festa, nei quali celebrare la salvezza divina. La terza aggiunta poi contiene due raffinate preghiere: di Ester (Est 4,17a-i) e di Mardocheo (Est 4,17k-z). Mardocheo esalta la potenza insuperabile del Creatore e Signore della storia: la terribile minaccia che il popolo si trova a fronteggiare in definitiva è la conseguenza della volontà di non adorare altri dèi (Est 4,17d-17e). La preghiera di Ester costituisce probabilmente il vertice teologico dell’intero libro greco: qui Dio è l’unico in grado di comprendere il dolore dei suoi e di trasformarlo in gioia (Est 4,17k-l). Anche Ester, come Mardocheo, rivendica di essersi mantenuta fedele e di non essersi compiaciuta del suo ruolo di prestigio (Est 4,17r-y). A nome dei giudei, potrà quindi elevare la sua ultima supplica: «O Dio, che su tutti eserciti la forza, ascolta la voce dei disperati, liberaci dalla mano dei malvagi e libera me dalla mia angoscia» (4,17z).

I messaggi
Se il messaggio fondamentale del libro si può ricondurre alla massima sapienziale secondo cui l’empio cade nella fossa approntata per il giusto (Pr 26,7), in realtà il racconto è gravido di molti spunti tematici.
La narrazione è ad esempio attraversata dalla delicata dialettica tra obbedienza e disobbedienza all’autorità e alle leggi umane: la lesa maestà di Vasti (Est 1,12-22), l’ascolto di Ester delle direttive di Mardocheo (Est 2,10.20), il rifiuto di Mardocheo di prostrarsi ad Aman (Est 3,2; cfr. Est greco 4,17d-e), l’eccezione di Ester alle regole di corte (cfr. Est 4,11; 5,1-2), l’arrendevolezza del re alle richieste della regina (Est 5,3.6; 7,2), l’osservanza dei giudei della celebrazione annuale di Purim (Est 9,23; cfr. Est greco 9,20).
Nel contesto del regno di Persia, i protagonisti si muovono poi in un clima segnato da serpeggiante sensualità e violenza: l’avvenenza di Vasti e di Ester (cfr. Est 1,11; 2,17) si affianca all’indole vendicativa di Aman (cfr. Est 3,5) e all’esercizio del potere di un re troppo facilmente manipolabile.
Affiora qua e là anche la questione della valutazione morale degli attori.
Per via della sua ribellione al sopruso maschile, Vasti può essere considerata un personaggio positivo: la vera “femminista” del libro. Nella stessa ottica, ad Ester andrebbe riconosciuto il merito di aver saputo convincere il re per il bene del popolo, conquistandosi a ragione il titolo di mediatrice del suo popolo. Ma resta aperta la domanda sulla vendetta dei vincitori sui vinti (cfr. Est 8-9).
Il libro di Ester si attesta così come uno spaccato di vita precaria, ma non impossibile né detestabile, nella diaspora. A differenza di altri scritti biblici del post-esilio, non propone il recupero delle istituzioni classiche quali il sacerdozio, la Torah, la Terra, la Città santa di Gerusalemme (cfr. Esd 1,2-5; 6,1-18; Ag 1,2-11; Zac 5,1-5). Nel solco di altri libri come Rut e Giona, sviluppa piuttosto l’idea di un’appartenenza al popolo d’Israele anche in terra straniera, senza ripiegamenti o rigidi nazionalismi. In questo senso, il libro di Ester può essere definito “politico”. Se la vita dei credenti in mezzo alle nazioni pagane è incerta, fino al rischio del pogrom (cfr. Est greco 3,3a-3g), questo libro biblico propone una sorta di programma di vita realistico: non serve sognare il ritorno alla Terra promessa, perché si può costruire un presente felice anche in terra d’esilio (cfr. Ger 29,1-23). Così, mentre lo sguardo sulla storia e sui potenti di turno è disincantato e persino sarcastico, si fa clemente il giudizio sulla moralità di quanti nei contesti di crisi si assumono la difficile responsabilità di agire per il bene.
Una tale visione dell’identità giudaica nella diaspora e di ogni comunità credente che viva in un contesto pagano ne coinvolge quindi anche la religiosità. In particolare, la natura religiosa del libro ebraico dipende anche dall’assenza di Dio, oltre che di atti cultuali. Tuttavia, la sua azione può essere riconosciuta in alcune “coincidenze salvifiche”. Il termine stesso “pur” lo suggerisce: Purim è la festa che celebra non un caso fortuito, ma l’inatteso sovvertimento della sorte compiuto da Dio. A Purim la gioia si fa irrefrenabile: non a caso già il Talmud prescriveva che durante la festa si bevesse fino a non distinguere più il bene dal male, il “benedetto Mardocheo” dal “maledetto Aman” (b. Megh. 7b).
Il libro di Ester suggerisce di non accontentarsi della superficie degli eventi, ma di imparare ad andare oltre, fino a scorgere la creatività d’amore del Dio provvidente. Accorda inoltre ai personaggi concreti un ruolo decisivo: i benefici divini sono cioè strettamente legati alla responsabilità umana.
Il Dio biblico non abbandona i suoi che scelgono con coraggio la giustizia e la vita: l’opera salvifica divina si coniuga con la collaborazione da parte del l’uomo. Qui il silenzio divino sollecita ed amplifica la voce umana: Dio arretra per lasciare che emergano le scelte umane di fronte alle variabili della storia.
D’altro canto, il racconto greco acquisisce una chiara coloritura teologica grazie soprattutto alle sei aggiunte. Sin dal sogno di Mardocheo in avvio (cfr. Est 1,1d-l), il lettore viene educato a leggere gli eventi della vita secondo un doppio registro: storico e metafisico. All’interno della storia degli uomini è assicurata non solo la presenza esplicita di Dio, ma soprattutto la sua cura amorevole (Est 1,1h; cfr. 4,17i; Es 3,7-9). Inoltre, la dimensione religiosa del libro greco traspare chiaramente dalle preghiere di Mardocheo e Ester (Est 4,17ka-17z): la fede dei protagonisti e la storia della fedeltà del Dio della Bibbia sono la certezza che la salvezza prima o poi arriverà.

DON DIONISIO CANDIDO
Responsabile settore apostolato biblico
ufficio catechistico Nazionale CEI
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