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Lidia Maggi "Fede femminile e servizio"

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Ministri secondo l’evangelo

Una fede che lega
E’ una ragazzina cresciuta nella periferia di una grande città. Il contesto familiare è difficile, ma ha imparato presto a sopravvivere nella povertà più faticosa, quella culturale. Intorno a lei qualche operatore sociale, soprattutto missionari e volontari cristiani, che cercano di portare il proprio contributo in una situazione di degrado.
Fanno quello che possono: la loro missione non è certo semplice. E così, a quattordici anni, quella ragazzina inizia a frequentare assiduamente la chiesa. Vi trova ristoro, protezione. Si innamora di Gesù, del suo modo di parlare, dei suoi gesti, di quella vita esemplare. Un’esperienza di fede forte, intensa, totalizzante.
Nella preghiera riesce a lenire il suo dolore. Solo Dio può capire, solo da Lui viene la forza per sopportare. Ma per lei la conversione è tutt’altro che un incontro di libertà: è, piuttosto, un’esperienza di “fede devastante”. Nell’età in cui una persona ha bisogno di strumenti per creare il giusto distacco dal disagio di cui è vittima, per poterne uscire e spezzare i vincoli perversi, è arrivato il vissuto religioso a legare e sottomettere. E’ stato un laccio: la fede la rendeva passiva, laddove avrebbe dovuto ribellarsi. Ha bloccato quel processo di emancipazione e di crescita che, probabilmente, qualsiasi adolescente avrebbe fatto senza il cappello della religione che, di continuo, la rimetteva al suo posto. In nome della fede una ragazzina di periferia impara ad accettare situazioni che le fanno male e, peggio, a tollerarle e giustificarle fino a ritenerle normali.
Quella ragazzina oggi non c’è più. Rimane, tuttavia, la memoria scomoda della sua storia, lo scandalo di una religiosità che, invece di sollevare, piega fino a spezzare.
Nella mia scelta vocazionale ho dovuto fare i conti con questa vicenda perché io, quella ragazzina, l’ho conosciuta bene; ma, allora, non avevo gli strumenti per aiutarla, accompagnarla, sollevarla. E’ proprio per lei, per fedeltà alla sua memoria, che ho deciso di diventare pastora.

Provo a condividere questo tragico incontro per cercare di spiegare che, dietro la necessità di una riflessione sui ministeri delle donne, sul loro servizio nella Chiesa, sul dire Dio al femminile, non c’è un’istanza intellettuale ma corpi, voci, donne e ragazze desiderose e bisognose di camminare nella libertà. Oggi come allora.

La donna slegata (Luca 13, 10-17)
Nel tempio la donna curva era una presenza silenziosa, una frequentatrice abituale. In quel luogo si sentiva protetta; probabilmente, trovava conforto a quell’infermità che le impediva di camminare eretta. Impossibile incrociare il suo sguardo: la malattia la teneva in ostaggio. Quando Gesù la vide, si avvicinò e le prese le mani per sollevarla, lei lo lasciò fare. Si consegnò docile, passiva, come passivamente aveva accettato la sua condizione. Non aveva saputo chiedere aiuto; ma lui, spontaneamente, si fece avanti per tirarla fuori dalla sua terra di schiavitù. Un gesto, e la donna si ritrovò libera, guarita. Forse per la prima volta poté guardare qualcuno dritto negli occhi. Probabilmente non fu in grado di seguire il dibattito che ne seguì: “E’ lecito guarire di sabato?”. Tuttavia, le parole del suo salvatore sicuramente la raggiunsero, quando lo sentì parlare di lei come “figlia di Abramo”. Egli sosteneva che anche lei aveva il diritto di essere slegata, come molto tempo prima era stato salvato da quell’assurdo sacrificio suo fratello Isacco. La donna, fino a quel momento silenziosa, aprì allora la sua bocca per proclamare le grandi meraviglie del Signore. La lode sgorga spontanea dallo stupore per quella liberazione. Come, in precedenza, aveva fatto Miriam, che guidò nelle danze il suo popolo, quando si ritrovò sulla terra asciutta, liberata dal suo persecutore,allo stesso modo la donna curva annuncia. Non può più tacere. La sua lingua è stata sciolta dalla paralisi, il suo corpo risollevato può aprirsi alla danza.
Una meravigliosa liturgia si celebrava in quella sinagoga, mentre i capi religiosi continuano a discutere, incapaci di tenere insieme fede e liberazione.

La donna rialzata (Marco 1,29-31) e le donne discepole (Luca 8,1-3)

Nella prima chiesa domestica una donna giace febbricitante. Gesù la raggiunge e la guarisce. Nel cenacolo, la suocera di Pietro esercita il ministero della diaconia dopo essere stata risollevata, liberata dalla sua infermità.
Leggendo tante storie bibliche di donne che proclamano, sostengono, e servono, ci sembra di intuire che tali azioni siano radicate in un’esperienza concreta di liberazione. Maria di Magdala, liberata dai sette demoni che la tenevano in ostaggio, segue il Signore insieme alle altre donne guarite anch’esse dalle loro infermità, fino a poter proclamare il vangelo della risurrezione.
Voci diverse, ordinarie e profetiche; voci di donne che narrano le grandi meraviglie che il Signore ha fatto per loro. Ma per far ciò bisogna prima permettere alle donne di vivere un’esperienza di liberazione.

Le donne oggi nella Chiesa
Quali storie di libertà possono raccontare, oggi, le donne per testimoniare con fedeltà il Dio che libera, per ammutolire e smascherare tutti coloro che, trasformando la fede in un laccio, deformano il volto del Dio? Con quali voci narrare tutto ciò? E quali spazi per poterlo fare?
Sono queste le domande sollevate dalle donne che riflettono sui diversi ministeri al femminile nelle chiese. La posta in gioco è ben più alta di una rivendicazione “sindacale” di genere. La Chiesa di Cristo non segue (o non dovrebbe seguire) logiche mondane. Chi è stato afferrato dal Signore non ricerca potere, ma offre servizio. Siamo chiamati, come discepoli e discepole del Signore, a farci servi e serve di tutti. Alle donne, tuttavia, questo riesce fin troppo bene!
In gioco c’è la fedeltà al Dio di Gesù Cristo che libera e solleva quanti sono oppressi e prigionieri. Quale Dio testimoniamo, se raccontato solo con voci e gesti maschili? La presenza delle donne nelle chiese, capaci di rompere il silenzio e di narrare le grandi opere compiute dal Signore, come Miriam, Maria, la donna curva, restituisce a Dio una identità narrativa, ricca di sfumature di senso, che una narrazione solo maschile non può evocare. Siamo tutti un po’ più poveri senza la voce delle donne.
Non tutte le donne si sentono chiamate a proclamare la Parola, a condurre una liturgia, ad occupare posti di leadership nelle chiese; ma alcune sì. E tale esigenza scaturisce perlopiù da una fedeltà all’evangelo che le esorta a proclamare quella liberazione sperimentata con Dio. L’annuncio delle donne, attraverso le loro parole e i loro gesti, è necessariamente parziale: non ha la pretesa di dire tutto il divino. Ma rinunciare al contributo della propria parzialità, accontentarsi di una presenza muta, spesso passiva, nelle chiese, è un vero e proprio spreco. Il buon senso, in tempi di crisi di senso, ci dice che non possiamo permettercelo.

Collegialità dei ministeri
In questo anno, dove in ambito cattolico si riflette sul ministero sacerdotale, è ancora possibile sottovalutare il silenzio assordante delle donne? Molti parroci raccontano di sentirsi a disagio nel constatare che le parrocchie sono piene di una presenza femminile perlopiù sottovalutata. Donne che, con fedeltà e disciplina, portano il loro contributo, anche nei servizi più umili. Ma fino a quando resisteranno?
Io sono pastore e donna. Vivo il privilegio di poter proclamare il vangelo della libertà che mi ha raggiunta. Posso vigilare e smascherare quelle parole religiose che anestetizzano, offrono consolazione a basso prezzo, ma non liberano. Nelle chiese riformate, generalmente, il ministero femminile è ormai riconosciuto e apprezzato. Tuttavia, anche nel mondo della riforma, si incontrano comunità che faticano a riconoscere in una donna l’autorevolezza necessaria per svolgere il servizio pastorale. La sfida di un ministero pastorale femminile, oggi, consiste nel “guadagnarsi” sul campo una credibilità (parafrasando Paolo: non sono io apostola? non ho ricevuto una chiamata?) anche nei confronti di chi fatica a vedere in una donna un ministro di Dio; e, insieme, nel valorizzare la collegialità dei ministeri.

Un camminare insieme, mettendo a frutto i diversi carismi, promosso soprattutto dal movimento ecumenico. E’ attraverso l’ecumenismo che le chiese hanno imparato a parlarsi, conoscersi ed apprezzarsi nella pluralità di confessioni che danno corpo alla fede comune. E’ avvenuta nel mondo cristiano una vera conversione. Lo Spirito ha guarito il nostro sguardo facendoci riconoscere le ricchezze delle diverse tradizioni ecclesiali. Lo Spirito di Gesù, attraverso l’ecumenismo, ci ha insegnato che Dio si manifesta con pluralità di voci. Non è quanto suggerisce anche il Concilio Vaticano II, parlando della comunione del popolo di Dio, di ministerialità diffusa e di collegialità?

Il servizio al mondo
La collegialità di ministeri non è solo un modo per riscoprire il valore delle donne in una società maschilista, dei laici in una chiesa di chierici o, per dirlo con il linguaggio della mia tradizione, per valorizzare i carismi dei diversi membri di chiesa andando oltre la delega al pastore.
Ha un più amplio respiro, nella misura in cui ci domanda di riflettere sul ministero, sulla natura di quel servizio che tutti i credenti operano affinché venga il Regno. Una riflessione consapevole delle diverse chiusure a cui noi costringiamo la libertà evangelica e, dunque, non solo di quella interna alle chiese che si traduce nella delega al presbitero. Oltre al caso serio della riduzione clericale del ministero, occorrerà affrontare anche la riduzione a cui è sottoposto l’evangelo da parte di chi pensa di non aver bisogno della ministerialità delle altre chiese sorelle. E ancora, dovremo riflettere sulla chiusura di chi non prende in considerazione le diverse ministerialità di genere di cui sono portatrici gli uomini e le donne, e sulle chiusure geo-politiche o culturali in cui pensiamo la ministerialità all’interno di una cultura occidentale (che se lo può anche permettere visto il benessere di cui gode).
Proviamo, dunque, a parlare di ministerilità andando oltre i problemi organizzativi interni alle diverse confessioni. Dilatando lo sguardo, come Gesù, il ministro per eccellenza, che sta in mezzo a noi come colui che serve.
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