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L’Islam e il ‘reincantamento’ del mondo occidentale

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Intervista al professor Alberto Ventura.

Alberto Ventura è uno dei massimi studiosi dell’Islam in Italia. È attualmente professore ordinario di Storia dei paesi islamici presso l’Università della Calabria, dove dirige il centro di ricerca multidisciplinare Occhialì – Laboratorio sul Mediterraneo islamico.
I suoi interessi vertono principalmente sulla prospettiva metafisica dell’Islam, il Sufismo, l’aspetto esoterico e mistico al cuore della religione muhammadica, a cui ha dedicato diversi studi (L’esoterismo islamico, Adelphi 2017; Sapienza sufi, Edizioni Mediterranee 2016). Pure, Ventura è un acuto osservatore della realtà contemporanea e delle evoluzioni geopolitiche nel Medio Oriente, nonché delle dinamiche socio-culturali relative alla presenza dei musulmani in Europa.

Nel suo ultimo libro, L’esoterismo islamico edito da Adelphi, si è dedicato all’esplorazione dell’esoterismo come via di accesso (alternativa o complementare) alla verità rivelata. Un simile concetto è generalmente mal considerato in Occidente. Infatti, l’exoterismo proprio del Cristianesimo («non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato» Matteo 10, 26) avrebbe nel tempo screditato la funzione propria dell’esoterismo in ambito religioso. Ebbene, come si deve correttamente intendere l’esoterismo?

La verità rivelata è una sola, ma può essere intesa a differenti livelli. Come ricorda Dante, le scritture debbono essere interpretate secondo quattro diversi sensi di progressiva profondità. Il primo e l’ultimo di questi significati, il letterale e l’anagogico, corrispondono alla lettura exoterica e a quella esoterica, il che non significa che quest’ultima consista nell’occultare qualche segreto o nel nascondere una verità, ma semplicemente che necessita di una profondità di interpretazione che non è alla portata di tutti. Exoterismo ed esoterismo sono dunque nettamente distinti, ma non debbono essere considerati incompatibili.

E quindi quale rapporto sussiste tra religioni abramitiche ed esoterismo?

Anche se talvolta la religione comune ha voluto negare diritto di cittadinanza alla prospettiva dell’esoterismo, l’Ebraismo e l’Islam hanno per lo più accettato le loro controparti esoteriche, la Qabbalah e il Sufismo, spesso considerandole come elementi essenziali dell’ortodossia integrale (come è il caso ancor oggi per i rabbini qabbalisti e per i mufti aderenti al Sufismo). È solo nel Cristianesimo che l’esoterismo è stato visto generalmente con sospetto, anche se va ricordato che le Chiese orientali hanno da sempre ammesso il punto di vista dei “misteri”. Il fatto è che, in ambiente cristiano, l’esoterismo è stato sempre più identificato con le sètte, le società segrete, lo gnosticismo; ma queste sono solo le manifestazioni più deviate e grossolane del vero esoterismo, che non ha nulla a che vedere con tali degenerazioni e che può invece collocarsi nel cuore stesso di ogni rivelazione. Il discorso si fa ancora più evidente nel caso delle tradizioni asiatiche, che non hanno una struttura istituzionalmente “religiosa” e che si aprono in modo naturale alla dimensione esoterica.

Qual è la specificità dell’esoterismo islamico?

Nel suo fondo ultimo, l’esoterismo è sostanzialmente uguale dappertutto e ha ovunque le stesse finalità. Se dunque diciamo “esoterismo islamico” intendiamo una forma esoterica che si esprime nel linguaggio proprio della rivelazione coranica e che da quella rivelazione trae la sua più profonda ispirazione. Si può inoltre notare che nell’Islam l’esoterismo si manifesta come una sorta di mediatore fra le tradizioni cosiddette “abramitiche” e quelle dell’Oriente più lontano, mostrando punti di contatto talvolta sorprendenti con le dottrine dell’India o della Cina, al tempo stesso senza allontanarsi dal patrimonio genetico delle sue origini.

È possibile avviare un dialogo profondo e proficuo fra l’Islam e il Cristianesimo basato su una prospettiva metafisica, andando oltre, quindi, quel superficiale ecumenismo oggi tanto incoraggiato ma sovente vano e inconcludente?

Mi è già capitato più volte di rispondere a una simile domanda, e ho sempre replicato che la prospettiva metafisica è effettivamente l’unico terreno di intesa. In ogni caso ho anche aggiunto, però, che “prospettiva metafisica” non significa cancellare del tutto le differenze, perché un confronto proficuo può avvenire solo fra chi è fortemente consapevole dei propri caratteri. Il dialogo interreligioso, nonostante le lodevoli intenzioni, non è riuscito a compiere veri progressi verso un’intesa, lasciando ognuno nella certezza delle sue convinzioni e della sua superiorità. Ci sono differenze che non possono essere sanate sul piano teologico-razionale, ma che vanno date per scontate cercando il loro superamento su un piano diverso, più alto.

Può fare un esempio?

Certo. Un musulmano non potrebbe mai accettare l’idea della divinità di Gesù, né un cristiano riconoscere nel Corano l’autentica parola di Dio; ma in un “dialogo metafisico” quelle due realtà potrebbero essere riconosciute entrambe come legittime incarnazioni di un unico principio, il Verbo divino, che assume forme diverse per diversi credenti ma che è unico nella sua più intima realtà.

Oggi è possibile sentire talvolta considerazioni circa la provvidenzialità della presenza dell’Islam in Occidente: l’aumento dei musulmani in terre europee, dovuto sia all’immigrazione che alle numerose conversioni, sarebbe cioè l’occasione per un ritorno del Sacro in lidi oramai secolarizzati. Lei cosa ne pensa? Può l’Islam essere un’opportunità per un eventuale “reincantamento” del mondo occidentale?

Non mi è capitato molto spesso di avvertire fra gli occidentali questa sensazione di “provvidenzialità” dell’Islam a casa loro, anzi, mi sembra che l’idea prevalente sia oggi di segno diametralmente opposto. È semmai una sparuta minoranza a non identificare l’Islam con il nemico e a vedervi un salutare correttivo alla crisi dell’Occidente. Ma se l’idea non è accettata dai più, ciò non significa che essa sia del tutto infondata. Credo infatti che, almeno per coloro che dicono di riconoscersi nelle radici religiose dell’Europa, sia contraddittorio lamentarsi dei guasti dell’odierna società desacralizzata e al tempo stesso denunciare i musulmani come portatori di valori arcaici e incompatibili con la moderna civiltà occidentale.

Eppure oggi la maggioranza dei cristiani europei è generalmente ostile all’Islam.

Infatti. La cosa singolare, segno di un evidente corto-circuito mentale, è che quei cristiani che si sono ormai del tutto omologati al pensiero laico e liberale dimostrano di non condividere l’attuale islamofobia, mentre quelli che più proclamano la loro appartenenza alla tradizione sono i più accaniti nella loro crociata contro l’“invasione” islamica. Per costoro, se davvero si volessero opporre alla generale secolarizzazione dell’Occidente, l’Islam dovrebbe essere un prezioso alleato, e non l’avversario da distruggere.

Passiamo al terrorismo islamista. Nonostante la sconfitta territoriale dell’autoproclamato Stato Islamico, l’estremismo jihadista non sembra essere scomparso. Al contrario, la storia recente insegna che dopo un’apparente sconfitta di gruppi jihadisti segue una reazione ancor più violenta (basti pensare alla morte di Osama Bin Laden a cui ha fatto seguito la costituzione dello pseudo-califfato di al-Baghdadi). Come può essere efficacemente contrastato l’estremismo jihadista?

Finché l’Occidente insisterà nella sua politica dei due pesi e delle due misure, cioè fino a quando continuerà da una parte a proclamarsi portavoce della democrazia e dei diritti, dall’altra intrattenendo poi cordiali rapporti, per miope calcolo di convenienza, con i regimi più oppressivi e autoritari dei Paesi islamici, credo che il jihadismo estremista troverà sempre nuovo alimento. Bisognerebbe spezzare questo circolo vizioso, ma per farlo sarebbe necessaria una revisione delle mentalità talmente profonda che penso difficilmente realizzabile, almeno in tempi brevi. L’immagine ingenerosa che gli occidentali si sono fatta dell’Islam, veicolata da un’informazione a dir poco irresponsabile, procura ogni giorno forti risentimenti fra i musulmani, anche fra coloro che sarebbero più disposti a un confronto pacifico, finendo con l’ingrossare sempre di più le fila di chi vede nell’Occidente solo arroganza e ipocrisia. I musulmani, l’ho constatato più volte nella mia esperienza, avvertono con particolare fastidio il fatto che quando gli attentati jihadisti avvengono in Europa o in America il clamore mediatico si fa ossessivo, mentre quando le vittime, peraltro enormemente superiori nel numero, sono proprio i fedeli dell’Islam, la notizia passa quasi inosservata.

Quindi la battaglia dell’estremismo jihadista contro l’Occidente continuerà ancora per molto.

Quello che non si vuole capire è che il vero bersaglio del terrorismo non è l’Occidente, né tantomeno la modernità che l’Occidente ha plasmato, perché nonostante le sue pretese il radicalismo islamico è un fenomeno squisitamente moderno e niente affatto tradizionale; no, il bersaglio dei terroristi è proprio l’Islam tradizionale, che sarebbe l’antidoto più efficace contro l’islamismo ideologizzato ma che si trova così stretto fra due fuochi. La comprensione di questo semplice fatto, già da sola, costituirebbe un elemento fondamentale per togliere credibilità al radicalismo jihadista, ma dalle nostre parti c’è chi invece non ha interesse a promuovere questa lettura, preferendo perpetuare lo spauracchio di un Islam naturalmente ostile e aggressivo, immagine peraltro assai utile in termini di consenso elettorale.

Da ultimo, può lasciarci un commento sull’avanzata in Europa dei movimenti cosiddetti populisti?

Non ho competenza in simili questioni politiche, e quindi il mio giudizio al riguardo vale come quello di chiunque altro. In generale, mi sembrerebbe necessario chiarire cosa si debba intendere con il termine “populismo”, una parola che oggi viene usata un po’ troppo spesso senza precisarne davvero i contorni. Nel linguaggio corrente si dà del populista a chiunque si opponga al sistema, a prescindere da ogni ulteriore distinzione. Ma i populismi sono talvolta molto diversi fra loro e penso che sia insufficiente bollarli genericamente con questo rozzo epiteto per contrastare i loro slogan altrettanto rudimentali. Quanto alla sostanza, condivido appieno l’analisi del fenomeno fatta sul vostro blog da Lorenzo Vitelli, e cioè che il populismo possiede in fondo un’inevitabile vocazione élitaria. I cosiddetti populisti non hanno in fondo finalità molto diverse da quelle di coloro che vorrebbero soppiantare: una volta divenuti essi stessi un sistema, non potranno continuare indefinitamente a interpretare il ruolo del nuovo che avanza.
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