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ROSANNA VIRGILI – Con la gioia del Vangelo

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SCUOLA DEL CLERO
RITIRO DI QUARESIMA
Seminario, 6 marzo 2018
ROSANNA VIRGILI – Con la gioia del Vangelo

La Bibbia pone una differenza tra gioia e felicità. Quest’ultima si costruisce ed è spesso legata al benessere economico. Il verbo “costruire” nella Bibbia è sovente associato alla donna, simbolo di chi sa costruire stabilmente la felicità. La gioia, invece, è altra cosa.

Partiamo da un testo, il capitolo 28 di Giobbe: vi si esalta la sapienza dell’uomo, la sua abilità tecnica nel trasformare il creato. Ma la sapienza dove si trae? La scienza del benessere non dà la verità, si limita a proteggere e custodire l’uomo. La gioia, invece, non si può “costruire” con alcuna risorsa umana.
Oggi esistono tanti strumenti per assicurare la vita, ma non per produrre gioia. Questa non si teorizza né si “conquista”. Come chiesa, siamo capaci di comunicare gioia?
In Genesi 2 si racconta di uno “smacco” nella creazione. Nel capitolo precedente sembra che tutto sia buono, ma subito dopo, dopo aver plasmato l’uomo e averlo collocato nel giardino ordinato, Dio si accorge che manca la gioia perché l’uomo è solo. E’ una sorta di “scacco” per Dio. Allora la prima gioia, che si fa “canto” di Adam, nasce dalla scoperta di una mancanza antropologica, della solitudine. L’ottusità, la chiusura può fare star bene Adam ma non gli da’ gioia. La gioia è una “ferita sotto il cuore”. E nel torpore Dio crea una corrispondenza per Adam. Senza alterità non si da’ gioia: essa è una ferita che apre all’indigenza verso l’altro.
In Genesi 15 la berit, l’alleanza tra Dio e Abram nasce dopo che questi ha accumulato molta ricchezza separandosi da Lot. Dio promette di ricompensare Abram, il quale però pensa di non averne bisogno. Ma Abram manca di una discendenza, e questa è la sua vera indigenza.
Gli manca la gioia, non la felicità, e quest’ultima in Genesi 15 è legata ad una promessa.
Oggi il sostantivo promessa viene poco compreso perché la nostra società è ancorata al solo presente. Abram è perciò invitato ad uscire da sé, dal suo modo di declinare l’esperienza di Dio ed impara a conoscerlo attraverso la “promessa”, associata ad una visione. La gioia è sussulto del futuro, nella berit Dio si impegna passando attraverso il fuoco, ma Abram dovrà mettere a disposizione se stesso perché dai suoi lombi uscirà la discendenza promessa. La gioia è vivere nella tensione di questa relazione. E’ impossibile avere gioia se si porta una maschera e si gioca in difesa. La gioia può nascere se ci si consegna, se ci si mette in gioco, se si accetta la relazione, dove ciascuno vive del cibo che l’altro gli dona.
In Deuteronomio 7,7-8 Dio dice ad Israele: “Io vi ho scelti non perché siete un grande popolo…ma perché io vi ho amati”: questa è la fonte della gioia, che presuppone il consegnarsi reciproco. L’indemoniato di Gerasa, nei Vangeli sinottici, è l’uomo senza relazioni, perché è nudo (il primo segno di relazione è l’abito), senza casa (come nello Sheol, luogo di solitudine) e senza parola (il linguaggio è la somiglianza con Dio). Gesù rida’ dignità all’indemoniato, così come Dio da’ ad Abram la terra in cui abitare, luogo della promessa.
In 2 Samuele 6 David danza quando l’arca è portata a Gerusalemme. Questa è “città della gioia” – come si canta anche nei Salmi graduali – perché vi si fa festa, vi si celebra la voce dello sposo e della sposa. Il popolo di Abram celebra la gioia nei matrimoni, e l’immagine nuziale è applicata a Gerusalemme, sposa di Dio e suo talamo (tempio). La gioia è festa perché è gustare l’amore – come fa il Cantico dei Cantici esaltando i cinque sensi – senza l’altro c’è il lutto, e anche Gerusalemme entra nel lutto quando il tempio viene distrutto e le relazioni vengono sconvolte. Nelle Lamentazioni una delle immagini più sconvolgenti in questo senso è quella delle madri che mangiano i propri figli.
Per poter celebrare la gioia occorre vincere le proprie solitudini ed ottusità. Oggi i mezzi di comunicazioni creano solitudini perché favoriscono le maschere. La prima grande forma di gioia-festa è il banchetto condiviso, espressione tipica della cultura mediterranea ed orientale. Anche nei funerali si faceva un banchetto per chi veniva. La gioia è turbamento, vita che ti attraversa e che si può trovare anche nella sofferenza.
Nel Nuovo Testamento sono tante le espressioni di gioia. Importante Efesini 4,18, dove si afferma che nella chiesa si è tutti un corpo solo, e il corpo ha bisogno di “giunture”, di sconfinamenti che tengono unite le membra. E’ anch’essa un’immagine di gioia: il corpo non è una somma di pezzi, non procediamo a compartimenti stagni, non siamo “Legione”.
La gioia è armonia ed unità del corpo. Efesini ricorda che i pagani sono tormentati dal superfluo facendolo diventare necessario, senza limiti. Il superfluo diventa così una corazza che impedisce di conoscere il necessario e non apre all’indigenza verso l’altro, all’esigenza che l’altro diventi parte di me.
La “cardioporosi” è un cuore bucato, che non tiene e non desidera, che è spento. Occorre esporsi al desiderio, dirsi che si ha bisogno gli uni degli altri (questo anche in un presbiterio!). Serve allora un massaggio cardiaco anche per la nostra chiesa, che soffre spesso di sklerocardia e ha bisogno, come nella profezia di Ezechiele 36, di un cuore di carne che prenda il posto del cuore di pietra. L’anomia del cuore è la mancanza di relazioni, di comunità, come soleva dire don Tonino Bello. Anche la Evangelii gaudium elenca molte resistenze degli operatori pastorali ed invita ad uscire per incontrare chi ci rigenererà.

(testo non rivisto dall’autrice)
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