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Alberto Maggi "Nelle mani di Dio"

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"Confidare che si è nelle mani di Dio non è un atto finale, rassegnato, di impotenza, ma quello iniziale, che accompagna e sostiene ogni iniziativa volta a comunicare vita all’altro, nella certezza che in tutto quel che si fa si è accompagnati e guidati da quell’amore che non viene incontro al bisogno degli uomini, ma lo precede...". Su ilLibraio una nuova riflessione del biblista Alberto Maggi per l'inizio del nuovo anno


Comunemente accompagnata da un sospiro di rassegnata impotenza, quando ci si trova in una situazione nella quale non si vedono sbocchi, alternative possibili, o quando si è ormai perduta ogni speranza, si suole invocare l’intervento divino esclamando “Siamo nelle mani di Dio!”.Stranamente la stessa espressione non si usa quando ci si trova in situazioni positive, gioiose, di felicità, di benessere. Eppure si è sempre nelle mani di Dio, e queste non intervengono solo in extremis per salvare l’uomo da situazioni disperate ma lo accompagnano e sostengono in tutta la sua esistenza.Se le situazioni della vita potessero vedersi in una diversa prospettiva, più positiva, forse si comprenderebbe meglio il significato di “essere nelle mani di Dio”. Nel Libro del Siracide le mani del Signore sono strettamente collegate alla sua misericordia (Sir 2,18), mettendo in relazione l’agire divino con la sua compassione per l’uomo. Essere nelle mani di Dio indica protezione (Qo 9,1; Sap 3,1). La mano Dio su di una persona è quella che guida il profeta nella sua missione (Ez 8,1-3) ed è garanzia di mandato divino, protezione (“Poiché la mano del Signore, suo Dio, era su di lui”, Esd 7,6.9) e segno di benedizione (“La mano del nostro Dio è su quanti lo cercano, per il loro bene”, Esd 8,22). Mentre essere nelle mani degli uomini, significa essere catturati le mani di Dio, al contrario, sono quelle che non trattengono ma liberano, non chiedono ma donano.

E' chiaro che il Signore, non avendo un corpo, non ha neanche le mani, e queste sono solo un’espressione figurata del suo agire sull’umanità. Le uniche mani divine che si conoscono sono quelle di Gesù, le mani del Padre sono le sue mani (Gv 10,28-29), mani che hanno curato, guarito, sostenuto, confortato, aiutato. Quando Gesù stende la mano non è mai per colpire, ma per purificare (Mt 8,3), per salvare (Mt 14,31), per risuscitare e rianimare (Mc 5,41; 9,27; ), per benedire (Mt 19,13), guarire (Mc 6,5; 7,32), restituire la vista (Mc 8,23-25). Gesù ha ricevuto uno schiaffo (Gv 18,22), ma la sua mano non ha mai schiaffeggiato nessuno.Quando il Cristo risuscitato si manifesta ai suoi discepoli, la prima parola che pronuncia è “Pace a voi!” (Gv 20,19.21). Quello di Gesù non è un augurio (La pace sia con voi), ma un dono. Nella cultura ebraica la pace indicava tutto quel che concorre alla felicità della persona, alla sua pienezza di vita (Gb 22,21). La pace che Gesù aveva promesso (“È la pace, la mia, che io vi do”, Gv 14,27) ora la dona ai suoi discepoli. Ma perché questa pace diventi efficace ed operativa, Gesù l’accompagna con gesti che la rendano concreta; per questo mostra le mani (Gv 20,20), le mani del Crocefisso, che portano indelebili il segno dei chiodi (Gv 20,25). La pace che Gesù dona scaturisce dai segni del suo amore per i discepoli. Quell’amore che ha fatto sì che lui si consegnasse dando la vita per i suoi (“Se cercate me, lasciate che questi se ne vadano”, Gv 18,8), rimane impresso per sempre nella sua carne e diventa il segno distintivo con il quale la comunità riconosce la presenza del Risorto in mezzo ad essa. Si realizza quanto Gesù aveva loro promesso: “Ora voi siete nella tristezza, ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,22-23). L’ultima volta che Giovanni aveva parlato delle mani di Gesù, era stato per introdurre la scena della lavanda dei piedi (“Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani”, Gv 13,3), massima dimostrazione del suo amore agli uomini (“Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”, Gv 13,1). Mostrando le mani, Gesù fa comprendere che lui, “il Signore e il Maestro” (Gv 13,14), continua nel suo stesso atteggiamento di servizio e d’amore verso i suoi, e che nessuno può strapparli dalla sua mano (Gv 10,28). Chi è nelle mani di Dio non ha nulla da temere.

Pertanto, confidare che si è nelle mani di Dio non è un atto finale, rassegnato, di impotenza, ma quello iniziale, che accompagna e sostiene ogni iniziativa volta a comunicare vita all’altro, nella certezza che in tutto quel che si fa si è accompagnati e guidati da quell’amore che non viene incontro al bisogno degli uomini, ma lo precede. Quelle di Gesù non sono promesse per il futuro, ma garanzie per il presente. Lui, come il pastore, ha dato la sua vita per evitare ogni danno ai suoi discepoli (Gv 10,11), il Cristo è colui che sempre ha soccorso i suoi e ha loro assicurato che, quando non sarebbe più stato presente fisicamente, la sua azione sarebbe stata proseguita dallo Spirito, l’amore del Padre che è sempre a favore degli uomini e sempre pronto ad aiutarli, un amore efficace che resta con essi “per sempre” (Gv 14,16). Gesù garantisce che la presenza dello “Spirito di vita” (Gv 14,17) non è dovuta a situazioni di pericolo per i suoi, ma è costante, e il suo aiuto non nasce come risposta a una situazione di difficoltà della comunità, ma la precede. Questo permette ai suoi discepoli di non preoccuparsi di nulla. Essere nelle mani di Dio è garanzia di piena crescente serenità, evento ci si trovi ad affrontare, nella certezza “che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28).
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