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Luciano Manicardi Il paradosso del Cristianesimo

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rivista LA RIVISTA DEL CLERO ITALIANO
fascicolo CINQUE 2017
titolo Salire verso il basso, cadere verso l’alto. Il paradosso del Cristianesimo
autore Luciano Manicardi
editore Vita e Pensiero

Lungo la sua storia il Cristianesimo ha conosciuto grandi sintesi teologiche ma pure il contrappunto di una comprensione segnata da figure aperte, paradossali.
Il saggio di Luciano Manicardi, priore della comunità monastica di Bose, richiama le principali figure di questo fil rouge originario ed essenziale alla comprensione della rivelazione cristiana, ferma nel testimoniare che «il salvatore del mondo è il perduto appeso al legno». Le appassionate parole della meditazione, illustrate da suggestive immagini, accompagnano il lettore in un itinerario che da teologico diviene spirituale, richiamando l’autentico senso cristologico di ‘alto’ e ‘basso’, secondo il paradosso della scena originaria della Rivelazione per la quale la via cristiana non può che configurarsi come «una salita verso l’umiltà».

Il Cristianesimo come ossimoro
‘Salire verso il basso, cadere verso l’alto’: il titolo propone un paradosso, anzi un ossimoro. Pienamente in linea con il carattere ossimorico del cristianesimo. Questa esperienza spirituale, infatti, ‘salire verso il basso, cadere verso l’alto’, io la colgo e la leggo all’interno del cristianesimo. Che, tra le religioni e le fedi è quello più strutturato, centrato su un ossimoro. E che, forse, proprio in questa sua struttura ossimorica trova la sua potenza. Per il cristianesimo, infatti, Dio è rivelato dall’uomo Gesù di Nazaret; il salvatore del mondo è il perduto appeso al legno. Dall’ossimoro della rivelazione si passa quindi all’ossimoro dell’esperienza spirituale: le virtù teologali, fede - speranza - carità, sono ossimoriche. Si tratta di credere l’incredibile (la resurrezione dei morti), di sperare l’insperabile (la morte della morte), di amare chi non è amabile (il nemico).

La croce: elevazione e umiliazione
La dimensione stessa della verticalità trova un suo simbolo ossimorico nella croce: la croce è elevata da terra, tanto che per il IV vangelo la croce è ‘innalzamento’, ‘elevazione’ (in greco: ypsóo; in latino: exaltare).
Ma la croce, luogo di gloria divina secondo il IV vangelo, corrisponde al momento più basso dal punto di vista umano, civile, religioso, sociale: il crocifisso è uno scomunicato, un bandito dalla società civile, un uomo mostrato nella vergogna dalla sua nudità totale esposta agli sguardi dei passanti. La croce è la discesa nei recessi infimi dell’umano, nella morte vergognosa, è la mors turpissima crucis (Tacito), la «pena riservata agli schiavi» (Cicerone), il «supplizio più crudele e orrendo» (Cicerone). L’alto è raggiunto attraverso una discesa nel basso, negli inferi. E negli inferi anche come regione sotterranea luogo di dimora dei morti. Nel cristianesimo, l’icona della resurrezione non è altro che l’icona della discesa agli inferi: «Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli» dice Paolo nella Lettera ai cristiani di Efeso (Ef 4,10). Potremmo anche dire che la discesa fu anche l’ascesa, che la discesa di Cristo negli inferi fu anche la sua salita al cielo. Lo possiamo vedere nell’affresco della Anastasis (resurrezione) della chiesa di san Salvatore in Chora a Istanbul. In alto vi si legge la scritta ‘la resurrezione’ (he anástasis), quindi l’acronimo del nome Iesoûs (IC) Christós (XC) che annuncia il Risorto che sale dagli inferi dopo aver spezzato i catenacci e i chiavistelli che sigillavano l’Ade e facendone uscire, prendendoli per mano, Adamo ed Eva, i capostipiti dell’umanità intera. Dietro a loro è rappresentata l’umanità intera, con santi, profeti e re, preceduta da Giovanni Battista a sinistra, dietro ad Adamo, e a destra, dietro a Eva, da Abele, il primo morto, anzi la prima vittima della storia umana secondo la Bibbia.

Resurrezione e discesa agli inferi
L’affermazione teologica del descensus ad inferos dice che già in quello scendere di Dio nel punto più basso immaginabile si raggiunge la più alta vetta, cioè la salvezza di ogni uomo. Dio non lascia solo l’uomo nella sua perdizione. Lo possiamo vedere anche in un’icona russa del XIV secolo.
In questa icona i piedi di Cristo poggiano sulle porte divelte della dimora dei morti ormai svuotata, e abitata dai soli demoni. Il senso della discesa agli inferi consiste nell’estensione universale, a ogni gente e popolo, dell’offerta della salvezza: la salvezza portata da Cristo e narrata in un tempo e luogo precisi ha come destinatari tutti gli uomini, tutta l’umanità, di ogni tempo ed epoca. La discesa agli inferi esprime le conseguenze radicali della resurrezione, dell’evento pasquale. L’innalzamento è veramente tale e glorioso perché è abbassamento radicale e vergognoso, ma che avviene nell’amore e per amore. L’alto e il basso sono anche, infatti, la gloria e la vergogna. Nella croce, vergogna e gloria si sovrappongono, alto e basso coincidono nell’esperienza dell’amore.

L’altezza del profondo
Nel cristianesimo avviene pertanto una ri-modulazione della verticalità. È vero che nella spiritualità cristiana l’eredità neoplatonica ha prodotto modelli di ascesi decisamente orientati nel senso dell’ascesa: si pensi al modello radicato in Dionigi l’Aeropagita e costituito da tre tappe: purifi cazione, illuminazione, unione. L’itinerarium animae in Deum è spesso stato concepito come ascesa lineare all’interno di una concezione della vita spirituale come graduale e lineare avanzata verso la perfezione percorrendo tappe fissate in antecedenza. È il modello che parla di principianti, progredienti, perfetti. Ma è anche vero che la peculiarità cristiana ha prodotto modelli ed esperienze diversamente orientati. Del resto, già le scritture evangeliche parlano della paradossale nascita dall’alto come vera iniziazione alla vita cristiana, e il traduttore latino usa a volte altum o altitudo per rendere il greco báthos, profondo/profondità. È così in Mc 4,5 e Mt 13,5 dove si parla di ‘profondità della terra’ (altitudo terrae), di altezza della terra dalla superficie terrestre in giù; ed è così in Lc 5,4 dove altum designa la ‘profondità’ del mare, il mare aperto, il largo. Ma l’allusione simbolica è anche all’altezza che è possibile raggiungere solo attraverso la profondità, l’andare in profondità, e anche all’andare a fondo. C’è una vetta che si raggiunge attraverso il naufragio. C’è una profondità, un’altezza del basso, che dà le vertigini.

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