Lisa Cremaschi Padri Chiesa: Ambrogio
“Non ti impressioni il pericolo di perdere anche la vita, quando si tratta di difendere la giustizia”
Ambrogio di Milano
Ambrogio di Milano
Ambrogio nacque a Treviri (oggi Trier, in Germania) negli anni trenta del IV secolo. Appartenente alla nobiltà senatoria romana, dopo aver esercitato la professione di retore per qualche tempo, fu nominato governatore delle province di Liguria e di Emilia con sede a Milano.
Nel 373 o 374 fu chiamato ad assumere il servizio episcopale di questa diocesi. Non aveva ancora ricevuto il battesimo; sotto la guida del presbitero Simpliciano iniziò uno studio approfondito della Scrittura e della teologia, basandosi soprattutto sulla lettura di Origene e di Basilio. In questo studio fu favorito dalla sua conoscenza della lingua greca. Si sentiva tuttavia inadeguato al compito che gli era stato affidato: “Strappato ai tribunali e alle insegne dell’ufficio pubblico in vista del sacerdozio, incominciai a insegnarvi quanto io stesso non avevo appreso” (I doveri I,1,4). L’assidua meditazione delle Scritture nutre la sua attività pastorale: prepara i catecumeni al battesimo, predica, compone inni, è disponibile a incontrare tutti. Abbiamo un’eco di questi incontri nelle Confessioni di Agostino (VI,3,3); quest’ultimo ebbe modo di ascoltare le prediche del santo vescovo di Milano e di incontrarlo personalmente. Ambrogio compose numerosi commenti biblici fortemente influenzati dall’esegesi origeniana; la maggior parte di questi scritti hanno la loro origine in omelie rielaborate e ampliate. Oltre a diverse opere di carattere ascetico, redasse diversi scritti per confutare la dottrina ariana. Ambrogio non è un teologo originale, è un uomo fedele alla tradizione, leale, provvisto di grande fermezza ma anche capace di misericordia. Scrive nel suo trattato sulla penitenza: “Non ero degno di essere vescovo, e lo sapevo ... Dunque, o Signore, non permettere che si perda ora che è vescovo, colui che tu hai chiamato a questo ministero mentre si perdeva! E prima di tutto, donami di saper compatire con affetto i peccatori. Ogni volta che mi si confessa il peccato da parte del colpevole, che io sappia prendere parte al suo dolore. Invece di riprenderlo con arroganza, che io sappia affliggermene e piangere” (La penitenza XI,8,73).
Ambrogio nel suo ministero episcopale si giova della sua passata esperienza politica; è un abile diplomatico, difende i suoi fedeli dalle ingerenze del potere imperiale, non ha paura di nessuno. Scrive: “Non ti impressioni il pericolo di perdere anche la vita, quando si tratta di difendere la giustizia” (I doveri I,36,182) . Molti dei suoi interventi sono però assai discutibili. Con le sue lettere convince l’imperatore a non riportare nella sala del senato la statua pagana della vittoria; si rifiutò di concedere una chiesa agli ariani; fu probabilmente l’ispiratore o l’autore dell’editto del 22 aprile 380 con cui furono inasprite le sanzioni contro gli eretici. Un episodio in particolare lascia fortemente turbati: nel 388 sulle rive dell’Eufrate, a Callinico, un gruppo di monaci aveva incendiato una sinagoga; l’imperatore Teodosio diede ordine che fosse ricostruita a spese dei colpevoli, ma Ambrogio intervenne difendendo l’operato dei monaci. Un altro episodio vide Ambrogio tener testa all’imperatore. Nell’estate del 390 Teodosio in risposta a una ribellione esplosa a Tessalonica fece massacrare la popolazione. Ambrogio scrive all’imperatore invitandolo alla penitenza pubblica e lasciandogli intendere che finché non avrà fatto penitenza non potrà entrare in chiesa né ricevere i sacramenti. Di fronte alla fermezza del vescovo, l’imperatore è costretto a piegarsi alla sua volontà. Dopo la morte di Teodosio (395), l’influenza politica di Ambrogio diminuì progressivamente; egli si dedicò con maggior impegno al suo ministero di pastore, creò nuove diocesi nel nord Italia, viaggiò nelle chiese vicine. Durante il viaggio di ritorno da una di queste diocesi, quella di Pavia, si ammalò; morì pochi mesi dopo, il 4 aprile del 397. Con Agostino, Girolamo e Gregorio, è uno dei grandi dottori della chiesa d’occidente.
Riportiamo il commento di Ambrogio alle parole che Elisabetta proclama quando Maria le fa visita: “Beata colei che creduto” (Lc 1,45). Dice Ambrogio: “Ma beati anche voi che avete udito e avete creduto: infatti, ognuno che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio e ne comprende le opere. Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio; se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo”. Cristo nasce in noi, ciascuno diventa madre di Cristo e allora può magnificare il Signore. Ambrogio si chiede in che senso il credente possa magnificare il Signore e risponde “non perché la voce dell’uomo gli possa aggiungere qualcosa, ma perché egli è esaltato in noi. Cristo è l’immagine di Dio, quando l’anima opera qualcosa di giusto e di santo esalta quella divina immagine ... la riproduce dentro di sé” (Su Luca 2,26-28).
Sono molto belle le sue pagine sul tema della povertà e della ricchezza. “Il mondo è stato creato come un bene comune per tutti ... la natura non fa distinzione, perché ci genera tutti poveri. Nudi nasciamo e bisognosi di cibo e di vestiti; nudi ci riceverà la terra, né potremo portare con noi nel sepolcro le nostre ricchezze. Un piccolo spazio di terra è più che sufficiente sia per il ricco che per il povero ... Tu non dai del tuo al povero, ma gli restituisci il suo; infatti, tu solo usi la proprietà comune che è stata data a tutti! La terra è di tutti, non soltanto dei ricchi ... Dunque tu restituisci il dovuto, non elargisci il non dovuto” (Nabot 1,2;12,53). E nel commento a Tobia: “Negare il sostentamento dovuto alla vita di un uomo significa ucciderlo” (Tobia 29,42). “La misericordia spinge soprattutto ad aver compassione delle sventure altrui e ad aiutare chi si trova in necessità, per quanto possiamo, e, talvolta più di quanto possiamo. È meglio infatti per misericordia incorrere in processi o sopportare l’impopolarità, piuttosto che mostrarsi insensibili. Una volta accadde anche a noi di essere aspramente criticati perché spezzammo i vasi sacri per riscattare dei prigionieri ... Ne parlammo con il popolo, in modo da rendere chiaro che era molto meglio per il Signore salvare delle anime piuttosto che dell’oro. Colui che inviò gli apostoli senza oro, senza oro radunò la chiesa. La chiesa possiede l’oro non per custodirlo, ma per distribuirlo, per recare soccorso nelle necessità ... Non dirà forse il Signore: “Perché hai lasciato morire di fame tanti poveri? ... Sarebbe stato meglio che tu avessi salvato le persone piuttosto che i vasi di metallo!”(I doveri 2,28,136-139).
Nel 373 o 374 fu chiamato ad assumere il servizio episcopale di questa diocesi. Non aveva ancora ricevuto il battesimo; sotto la guida del presbitero Simpliciano iniziò uno studio approfondito della Scrittura e della teologia, basandosi soprattutto sulla lettura di Origene e di Basilio. In questo studio fu favorito dalla sua conoscenza della lingua greca. Si sentiva tuttavia inadeguato al compito che gli era stato affidato: “Strappato ai tribunali e alle insegne dell’ufficio pubblico in vista del sacerdozio, incominciai a insegnarvi quanto io stesso non avevo appreso” (I doveri I,1,4). L’assidua meditazione delle Scritture nutre la sua attività pastorale: prepara i catecumeni al battesimo, predica, compone inni, è disponibile a incontrare tutti. Abbiamo un’eco di questi incontri nelle Confessioni di Agostino (VI,3,3); quest’ultimo ebbe modo di ascoltare le prediche del santo vescovo di Milano e di incontrarlo personalmente. Ambrogio compose numerosi commenti biblici fortemente influenzati dall’esegesi origeniana; la maggior parte di questi scritti hanno la loro origine in omelie rielaborate e ampliate. Oltre a diverse opere di carattere ascetico, redasse diversi scritti per confutare la dottrina ariana. Ambrogio non è un teologo originale, è un uomo fedele alla tradizione, leale, provvisto di grande fermezza ma anche capace di misericordia. Scrive nel suo trattato sulla penitenza: “Non ero degno di essere vescovo, e lo sapevo ... Dunque, o Signore, non permettere che si perda ora che è vescovo, colui che tu hai chiamato a questo ministero mentre si perdeva! E prima di tutto, donami di saper compatire con affetto i peccatori. Ogni volta che mi si confessa il peccato da parte del colpevole, che io sappia prendere parte al suo dolore. Invece di riprenderlo con arroganza, che io sappia affliggermene e piangere” (La penitenza XI,8,73).
Ambrogio nel suo ministero episcopale si giova della sua passata esperienza politica; è un abile diplomatico, difende i suoi fedeli dalle ingerenze del potere imperiale, non ha paura di nessuno. Scrive: “Non ti impressioni il pericolo di perdere anche la vita, quando si tratta di difendere la giustizia” (I doveri I,36,182) . Molti dei suoi interventi sono però assai discutibili. Con le sue lettere convince l’imperatore a non riportare nella sala del senato la statua pagana della vittoria; si rifiutò di concedere una chiesa agli ariani; fu probabilmente l’ispiratore o l’autore dell’editto del 22 aprile 380 con cui furono inasprite le sanzioni contro gli eretici. Un episodio in particolare lascia fortemente turbati: nel 388 sulle rive dell’Eufrate, a Callinico, un gruppo di monaci aveva incendiato una sinagoga; l’imperatore Teodosio diede ordine che fosse ricostruita a spese dei colpevoli, ma Ambrogio intervenne difendendo l’operato dei monaci. Un altro episodio vide Ambrogio tener testa all’imperatore. Nell’estate del 390 Teodosio in risposta a una ribellione esplosa a Tessalonica fece massacrare la popolazione. Ambrogio scrive all’imperatore invitandolo alla penitenza pubblica e lasciandogli intendere che finché non avrà fatto penitenza non potrà entrare in chiesa né ricevere i sacramenti. Di fronte alla fermezza del vescovo, l’imperatore è costretto a piegarsi alla sua volontà. Dopo la morte di Teodosio (395), l’influenza politica di Ambrogio diminuì progressivamente; egli si dedicò con maggior impegno al suo ministero di pastore, creò nuove diocesi nel nord Italia, viaggiò nelle chiese vicine. Durante il viaggio di ritorno da una di queste diocesi, quella di Pavia, si ammalò; morì pochi mesi dopo, il 4 aprile del 397. Con Agostino, Girolamo e Gregorio, è uno dei grandi dottori della chiesa d’occidente.
Riportiamo il commento di Ambrogio alle parole che Elisabetta proclama quando Maria le fa visita: “Beata colei che creduto” (Lc 1,45). Dice Ambrogio: “Ma beati anche voi che avete udito e avete creduto: infatti, ognuno che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio e ne comprende le opere. Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio; se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo”. Cristo nasce in noi, ciascuno diventa madre di Cristo e allora può magnificare il Signore. Ambrogio si chiede in che senso il credente possa magnificare il Signore e risponde “non perché la voce dell’uomo gli possa aggiungere qualcosa, ma perché egli è esaltato in noi. Cristo è l’immagine di Dio, quando l’anima opera qualcosa di giusto e di santo esalta quella divina immagine ... la riproduce dentro di sé” (Su Luca 2,26-28).
Sono molto belle le sue pagine sul tema della povertà e della ricchezza. “Il mondo è stato creato come un bene comune per tutti ... la natura non fa distinzione, perché ci genera tutti poveri. Nudi nasciamo e bisognosi di cibo e di vestiti; nudi ci riceverà la terra, né potremo portare con noi nel sepolcro le nostre ricchezze. Un piccolo spazio di terra è più che sufficiente sia per il ricco che per il povero ... Tu non dai del tuo al povero, ma gli restituisci il suo; infatti, tu solo usi la proprietà comune che è stata data a tutti! La terra è di tutti, non soltanto dei ricchi ... Dunque tu restituisci il dovuto, non elargisci il non dovuto” (Nabot 1,2;12,53). E nel commento a Tobia: “Negare il sostentamento dovuto alla vita di un uomo significa ucciderlo” (Tobia 29,42). “La misericordia spinge soprattutto ad aver compassione delle sventure altrui e ad aiutare chi si trova in necessità, per quanto possiamo, e, talvolta più di quanto possiamo. È meglio infatti per misericordia incorrere in processi o sopportare l’impopolarità, piuttosto che mostrarsi insensibili. Una volta accadde anche a noi di essere aspramente criticati perché spezzammo i vasi sacri per riscattare dei prigionieri ... Ne parlammo con il popolo, in modo da rendere chiaro che era molto meglio per il Signore salvare delle anime piuttosto che dell’oro. Colui che inviò gli apostoli senza oro, senza oro radunò la chiesa. La chiesa possiede l’oro non per custodirlo, ma per distribuirlo, per recare soccorso nelle necessità ... Non dirà forse il Signore: “Perché hai lasciato morire di fame tanti poveri? ... Sarebbe stato meglio che tu avessi salvato le persone piuttosto che i vasi di metallo!”(I doveri 2,28,136-139).
L’opera omnia di Ambrogio è pubblicata dalla Biblioteca Ambrosiana in collaborazione con Città Nuova. Sempre da Città Nuova sono editi molti testi ambrosiani.