Alberto Maggi Dio e il male
Dio e il male: dalle religioni primitive a Gesù, la riflessione del biblista Alberto Maggi | 01.09.2016
Da dove proviene il male? È la domanda che fin dall’antichità gli uomini hanno sempre posto senza mai trovare risposta. Su ilLibraio, la nuova riflessione di Alberto Maggi, a pochi giorni dal tragico terremoto nel centro Italia...
Da dove proviene il male? È la domanda che fin dall’antichità gli uomini hanno sempre posto senza mai trovare risposta. Nelle religioni primitive il problema era stato risolto ponendo accanto a un dio buono, creatore della vita e autore del bene, un dio malvagio, portatore della morte e di ogni altra calamità.
I problemi cominciarono a sorgere con Israele. Nel suo lungo cammino verso la conoscenza di Dio, il popolo ebraico giunse a eliminare ogni altra divinità per adorare un unico Signore, JHWH. Ma se esiste un solo Dio il male allora da dove proviene? Nei testi arcaici si presenta il Dio di Israele come autore sia del bene sia del male: “Io sono il Signore e non vi è altri. Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il benessere e provoco la sciagura, io, il Signore, faccio tutto questo” (Is 45,6-7; Sir 11,14). Ma era insostenibile che Dio, il Creatore, fosse autore anche del male, per cui gradualmente il Signore venne presentato solo positivamente, e per discolpare Dio del male si cominciò ad accusare l’uomo: il male diventa così il castigo di Dio per i peccati degli uomini. Inutilmente l’uomo protestava la sua innocenza, perché questo Dio arrivava a punire “l’iniquità dei padri sui figli, sulla terza e quarta generazione” (Dt 5,9; Es 20,5).
Questa teologia molto primitiva venne contestata dal profeta Ezechiele il quale dichiarò che i figli non scontavano più le colpe dei padri, ma a ognuno il suo (Ez 18,20). Ma neanche questo era del tutto convincente, per cui un autore scrisse un’opera teatrale, il Libro di Giobbe, dove viene presentato l’uomo più pio e integro del mondo sul quale si abbatte ogni sorte di calamità (Gb 1,21.2,10). Pertanto non era vero che le malattie e le disgrazie erano la punizione del peccato dell’uomo, e il problema del male resta insoluto.
Al tempo di Gesù predomina questa spiritualità, secondo la quale l’uomo viene premiato da Dio per i suoi meriti e castigato per le sue colpe. E i bambini? Anche il dolore innocente aveva la sua causa: “Quando in una generazione vi sono dei giusti, i giusti sono puniti per i peccati di quella generazione. Se non vi sono giusti, allora i bambini soffrono per il male dell’epoca” (Shab. 33b). Nel vangelo di Giovanni si legge che, quando i discepoli vedono “un uomo cieco dalla nascita”, chiedono a Gesù se “ha peccato lui o i suoi genitori perché sia nato cieco” (Gv 9,1-3).
Gesù non si occupa del problema del male, ma dei malati, e inizia la sua attività liberando e guarendo le persone (Mt 4,23), smentendo la falsa immagine di un Dio castigatore: il Padre è colui che libera dalle malattie (“Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità”, Sal 103,3), e non colui che le invia. Gesù non chiede agli infermi di accettare la loro malattia come espressione della volontà divina, o di offrire a Dio le proprie sofferenze per salvare l’umanità peccatrice. Neanche afferma che queste sofferenze siano state loro inviate da Dio, come croce da portare per tutta la loro esistenza. No. Gesù semplicemente guarisce. Il Cristo non elabora una teologia del male o una spiritualità della sofferenza, lui non dà spiegazioni, agisce. Non teorizza, risana. Là dove c’è morte lui comunica vita, dove c’è debolezza lui trasmette forza, dove c’è disperazione infonde coraggio. Per Gesù il racconto della creazione, narrato nel Libro della Genesi, non è il rimpianto di un paradiso irrimediabilmente perduto, ma la profezia di un paradiso da costruire. E l’uomo è chiamato a collaborare e a portare a compimento questa creazione. Per questo alle autorità giudaiche che lo sgridavano per l’inosservanza del comandamento del sabato, Gesù obietta: “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero” (Gv 5,17). La creazione continua, e ha bisogno dell’attiva collaborazione degli uomini per realizzare il progetto di Dio sull’umanità (Rm 8,18-22). Se la luce splende nelle tenebre, l’ambito del male sarà sempre più ristretto fino, un giorno, a scomparire: “Ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio e asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,4).