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Luciano Manicardi Chiesa e famiglia dopo il Sinodo

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Chiesa e famiglia dopo il Sinodo straordinario: un cantiere in divenire

Intervista a Padre Luciano Manicardi, Vicepriore della Comunità Monastica di Bose

(La Redazione di OLIR.it)

Il Sinodo straordinario sulla famiglia che si è svolto dal 5 al 19 ottobre 2014 è stato anche un "Sinodo dei media". Il mondo della comunicazione ha seguito con estremo interesse il suo svolgimento e diffuso informazioni che, salvo rari casi, non hanno colto fino in fondo la varietà delle questioni analizzate e la pluralità dei punti di vista espressi. L'attenzione si è per lo più concentrata sulla condizione dei divorziati risposati e sulle unioni tra persone dello stesso sesso.
I testi sinodali, e in particolare le relazioni dei Circuli minores, restituiscono però un Sinodo diverso in cui la discussione sui temi indicati dall'Instrumentum laboris è decisamente più articolata e rivela l'esistenza di profonde differenze fra le singole Chiese particolari.


Questa diversità, che nella Chiesa cattolica rimane comunque un valore,solleva due dubbi: 1) che l'enfasi data alla questione dei divorziati risposati o alle unioni tra persone dello stesso sesso sia in realtà più legata alle emergenze poste dalla famiglia dell'Occidente secolarizzato che non dalle famiglie di Africa, Asia o America Latina; 2) che nella discussione siano state sottovalutate alcune tematiche sulle quali sarebbe invece opportuna una più ampia riflessione.
È a partire da queste considerazioni che abbiamo formulato le domande di questa intervista.


1. Per riflettere sul tema della “famiglia nel contesto dell’evangelizzazione” la Chiesa ha scelto lo strumento del Sinodo dei vescovi che, come ricordato dal segretario generale nella sua relazione, “è camminare insieme, syn-odos”. I documenti e le relazioni dei padri sinodali dei circoli minori sottolineano poi l’importanza del ruolo che avranno le Conferenze episcopali nella fase post sinodale. Valuta positivamente questa attuazione/sperimentazione della collegialità episcopale?

Non solo la valuto positivamente, ma ritengo che, al momento, sia il frutto più importante e significativo che nasce dalla prima tappa del cammino sinodale intrapreso. La strutturazione di un percorso di ampio respiro, infatti, ha una valenza ecclesiologica rilevante che implica ripercussioni sul piano del governo della chiesa cattolica, dell'esercizio dell'autorità, in particolare, del ministero petrino, e anche sul piano ecumenico. Come ha scritto papa Francesco nell'importante lettera del 1 aprile 2014 al segretario generale del Sinodo, Card. Baldisseri, "la larghezza e la profondità dell'obiettivo dato all'istituzione sinodale derivano dall'ampiezza inesauribile del mistero e dell'orizzonte della Chiesa di Dio, che è comunione e missione. Perciò, si possono e si devono cercare forme sempre più profonde e autentiche dell'esercizio della collegialità sinodale, per meglio realizzare la comunione ecclesiale e per promuovere la sua inesauribile missione". In questa stessa lettera Papa Francesco riprende Giovanni Paolo II che nell'omelia alla conclusione della VI Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi del 29 ottobre 1983 aveva parlato della perfettibilità dello strumento sinodale auspicando che in esso "la collegiale responsabilità pastorale" dei Vescovi vi si potesse "esprimere più pienamente"; con la strutturazione del Sinodo sulla famiglia papa Francesco procede nella direzione di una decisa sinodalità che si inserisce nel programma di riforma ecclesiale che si distanzia dal modello di governo monarchico proprio anche dei suoi ultimi due predecessori. Se la sinodalità è inerente al "mistero" stesso della chiesa, essa è la forma che in maniera più adeguata può riflettere il mistero del Dio trinitario. Prevedendo uno svolgimento in due fasi, il Sinodo straordinario, già svoltosi, e quello ordinario, previsto per il 2015, papa Francesco non solo ha dato ampiezza e respiro temporale all'evento, ma lo ha anche dilatato spazialmente e geograficamente cercando davvero di comprendere e abbracciare quei "tutti" che nella struttura sinodale sono il vertice di una piramide rovesciata che prevede i tre anelli "tutti - alcuni - uno" in legame e comunicazione reciproca e rispettosa di ciascun ruolo. Il Questionario ha avuto la precisa intenzione di favorire la partecipazione più ampia possibile del popolo di Dio. Le innovazioni procedurali (l'italiano al posto del latino come lingua ufficiale del Sinodo, l'allargamento dei tempi del dibattito libero, la sostituzione delle tradizionali Propositiones finali con un documento, la Relatio Synodi, che viene poi presentato alle Conferenze Episcopali come Lineamenta per il Sinodo Ordinario del 2015, ecc.) hanno favorito la sinodalità come stile comunicativo e la libertà di parola come incentivo all'ascolto e alla fiducia reciproca. Il che ha significato ovviamente e necessariamente anche l'emergere delle tensioni, delle diversità di opinioni e posizioni, e dei conflitti. Anche l'importanza accordata alle Conferenze episcopali non è casuale ma è perfettamente rispondente al principio di sussidiarietà e di sinodalità che la visione ecclesiologica di papa Francesco, pienamente in linea con il Vaticano II, intende promuovere con vigore. Basti ricordare quanto scritto nella Evangelii gaudium: "Il Concilio Vaticano II ha affermato che le Conferenze episcopali possono 'portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente' (LG 23). Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo una qualche autentica autorità dottrinale. Un'eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della chiesa e la sua dinamica missionaria" (EG 32). Mi pare dunque che la scelta di affidare un tema delicato e profondamente sentito come quello della famiglia all'iter sinodale sia una scelta felice, ma, ripeto, la comprensione della sinodalità che emerge da questo evento va al di là della trattazione di questo tema e riguarda la forma ecclesiae quale papa Francesco intende propugnare, in obbedienza al vangelo, dando realizzazione al Vaticano II e, in particolare, all'intuizione e all'intenzione di Paolo VI che nel 1965 istituì il Sinodo dei Vescovi con il motu proprio Apostolica Sollicitudo.

2. Il Sinodo e i laici
Per disposizioni canoniche i laici non hanno diritto di voto nelle assemblee sinodali, ma possono partecipare come "uditori" o "collaboratori" del segretario generale. Date tali premesse, come giudica il tipo di intervento richiesto ai laici in questo Sinodo che riguarda innanzitutto loro e le loro esistenze?
Un breve sguardo alla storia dell'istituto sinodale può essere utile. La storia della chiesa ci mostra che la struttura gerarchica si è sempre alleata con un principio di consenso e di partecipazione dei fedeli, della comunità nel suo insieme. Possiamo affermare senza tema di smentite che in nessun momento della sua storia la chiesa è stata senza assemblee, senza concili, senza sinodi. Il principio sinodale ha poi trovato una sua efficace formulazione giuridica nell’adagio, spesso ripetuto soprattutto nel XIII secolo, “quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet”, ovvero, “ciò che riguarda tutti, deve essere discusso e approvato da tutti”. Ovvio che il tema "famiglia" trovi negli sposi e nei componenti delle famiglie i primi interessati. Ma anche per ciò che riguarda il governo della chiesa l’antica tradizione ecclesiale ricorda l’importanza del consenso dei fedeli, dell’“approvazione di tutta la chiesa” (Prima Lettera di Clemente di Roma ai Corinti XLIV,3) per nomine, ordinazioni e conferimenti di incarichi e responsabilità ecclesiali. Circa l’ordinazione episcopale si afferma: “Sia ordinato vescovo colui che è stato scelto da tutto il popolo” (Tradizione Apostolica 2) e Leone Magno afferma che “ogni sacerdote destinato a governare una chiesa deve avere non solo l’approvazione dei fedeli, ma godere anche buona stima presso coloro che non sono cristiani … È nel consenso perfetto della volontà di tutti che viene ordinato colui che dovrà essere maestro della pace”. Il principio formulato è insomma che colui che dovrà esercitare la sua presidenza su tutti deve essere eletto da tutti (Lettera X,4). Anche per ciò che riguarda le grandi decisioni ecclesiali possiamo citare la testimonianza di Cipriano, vescovo di Cartagine nel III secolo, che, di fronte al problema di come comportarsi con i cristiani che durante le persecuzioni avevano apostatato, afferma suo dovere “studiare in comune ciò che è richiesto dal governo della chiesa e, dopo averlo esaminato tutti insieme, di pervenire a una decisione esatta … Infatti, fin dall’inizio del mio episcopato ho stabilito di non prendere decisioni privatamente senza il vostro parere e senza l’approvazione del popolo” (Lettera XIV,1.2.4). Se ripercorriamo i testi di Cipriano e di Agostino, di Anselmo e di Tommaso d’Aquino, possiamo vedere che veniva riconosciuta ai fedeli la capacità di giudicare della vera fede insieme con il loro vescovo o addirittura della fede del loro vescovo. Per questo la chiesa ha forgiato, fin dagli inizi, il convenire in sinodo quale momento basilare per la formazione del consenso. Il canone V del Concilio Niceno I (325) prescrive che in ogni provincia si svolgano due sinodi ogni anno, “uno prima della quaresima, perché, superato ogni dissenso, possa essere offerto a Dio un dono purissimo, l’altro in autunno”. Un’antica attestazione della prassi sinodale riferisce che “i fedeli dell’Asia, dopo essersi riuniti più volte e in più luoghi della provincia, e dopo aver esaminato le recenti dottrine e averle dichiarate sacrileghe, condannarono quell’eresia (montanista)” (Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica V,16,10). Il testo è interessante perché sottolinea la partecipazione dei comuni fedeli. Il Concilio Costantinopolitano II (553) afferma: “La verità non si può manifestare che in discussioni comuni riguardo alla fede, perché ciascuno ha bisogno dell’aiuto del suo prossimo, come dice Salomone nei Proverbi: il fratello che aiuta il fratello sarà esaltato come una città fortificata”.
Ora, verificata storicamente questa possibilità di partecipazione ampia e allargata a un sinodo, va ricordato che qui stiamo parlando del Sinodo dei vescovi. Tra gli uditori (38 in tutto) vi erano coppie di sposi e genitori; anche tra gli esperti vi era una coppia di sposi. Com'è noto, sia uditori che esperti non hanno diritto di voto. Ma qui credo che effettivamente vi sia un elemento debole e perfettibile per un sinodo dedicato alla famiglia. Non è forse contraddittorio e non fa forse anche un po' sorridere il fatto che l'Apostolica Sollicitudo affermi che nell'elezione tanto dei rappresentanti delle Conferenze episcopali quanto degli Istituti religiosi si deve tener conto della loro "conoscenza teorica e pratica della materia che sarà trattata in Sinodo"? Qual è la conoscenza pratica delle dinamiche famigliari, genitoriali, di coppia, della sessualità, del rapporto genitori - figli, da parte di maschi che vivono nel celibato ministeriale o in comunità religiose? Certo, vi è la conoscenza spesso profonda dovuta all'ascolto e all'incontro con molte realtà famigliari, ma resta il fatto che le realtà umane su cui si decide nel Sinodo riguardano persone che vivono quotidianamente una situazione altra e diversa rispetto a quella di coloro che votano. Con onestà, il Card. Vincent Nichols ha dichiarato: “La vita sessuale di coppia non è quello di cui noi vescovi parliamo generalmente”. Al tempo stesso, essendo il Sinodo "sottomesso direttamente e immediatamente all'autorità del Romano Pontefice" (Apostolica Sollicitudo III), si può pensare che egli possa intervenire mutando e perfezionando la forma e la modalità della partecipazione anche di laici, sposati, coppie, donne e uomini, che vivono realmente la condizione famigliare. Condizione tra l'altro molto differenziata culturalmente nelle diverse regioni del globo. Questo potrebbe rendere ancor più efficace quella partecipazione di famiglie, sposi e spose, madri e padri, che è stata cercata mediante lo strumento del Questionario e con una loro seppur numericamente sparuta presenza, al Sinodo. Ma un'ultima osservazione dev'essere fatta. Quali laici erano presenti al Sinodo? Di quale realtà rappresentativi? Per lo più, appartenenti a movimenti cattolici o organicamente inseriti in équipe pastorali diocesane, in genere fermamente aderenti alle linee indicate dal magistero circa la morale sessuale, per esempio sul tema della contraccezione, come emerso anche durante la conferenza stampa del 10 ottobre tenuta da una coppia americana e una dottoressa libanese. Ora, ovviamente tutto questo non è un male ma rischia di fornire un quadro parziale e alla fine distorto dei problemi e dei drammi famigliari. Insomma, su questo punto c'è ampio e doveroso spazio di perfettibilità.

3. I temi affrontati dal Sinodo
I media hanno enormemente enfatizzato le discussioni in materia di separati, divorziati risposati, famiglie monoparentali e persone con orientamento omosessuale. Sembra che tutta l'attenzione sia stata rivolta alle "situazioni irregolari" per il diritto canonico e per la dottrina della Chiesa. Questo messaggio non rischia di trascurare altre questioni, come la sofferenza per le "vocazioni incompiute" o per quel "desiderio di famiglia" che rimane insoddisfatto di fronte alle circostanze della vita producendo disagio e sofferenza? Esiste o sarebbe opportuna una pastorale loro dedicata?


Questo Sinodo è stato molto mediatico. Del resto i temi, o meglio, alcuni temi affrontati erano molto "appetibili" per il mondo dell'informazione e, in fondo, è proprio su alcuni di questi temi "caldi" che si è creata una divisione piuttosto netta di schieramenti contrapposti. Questo è emerso con chiarezza anche se non è dato sapere "chi abbia detto cosa" durante i dibattiti in aula visti i brevi riassunti riportati nelle conferenze-stampa. Di fatto, il Sinodo, seppure non segreto, è a porte chiuse, e questo anche per tentare di evitare o ridurre al minimo il sensazionalismo mediatico che tende a guardare in modo distorto e semplificatorio alla complessità delle questioni affrontate riducendo il tutto agli eventuali cambiamenti in materia di sessualità, accesso ai sacramenti dei divorziati risposati, atteggiamento verso le unioni di fatto, le coppie omosessuali, ecc. Di certo, il coinvolgimento dei media è particolarmente vivo e, se spesso è professionale e corretto, non va dimenticata la significativa presenza, quasi lobbystica, di quelli che sono stati definiti "giornalisti-attivisti", decisamente conservatori e agguerriti nelle conferenze stampa. Il fatto poi che si parli di "situazioni irregolari" merita un'osservazione di fondo. La polarità di "regolare" e "irregolare" a proposito del matrimonio mi pare molto limitante. Si tratta di un'ottica canonica e inerente la teologia morale, ma la realtà di una esistenza e di una vita di coppia non può certo essere riassunta adeguatamente con il riferimento all'adesione a un modello normante prestabilito. Senza contare che, probabilmente, vi sono aspetti "irregolari" in famiglie "regolari" e viceversa. Ovvero, c'è un problema di linguaggio, di ordine e purificazione del linguaggio sulla famiglia e la sessualità (la tendenza omosessuale come "intrinsecamente disordinata", le coppie conviventi che vivrebbero "nel peccato", la nuova storia di amore che una persona vive dopo un fallimento matrimoniale come "continua vicenda di peccato", ecc.) che si impone per poter discutere con consapevolezza, oltre che con verità e umanità, del problema. Da questo punto di vista mi pare interessante notare che l'espressione "situazioni irregolari", presente 30 volte nell'Instrumentium laboris, è presente solo 2 volte nella Relatio ante-disceptationem e nella Relatio post-disceptationem, ed è completamente assente nella Relatio Synodi. La legge non è capace di unificare e convogliare la totalità di una persona e di indirizzarla verso un fine grande, ma solo il desiderio lo è. Desiderio, in questo caso "di famiglia", che spesso non riesce a trovare realizzazione per una svariata quantità di motivi inducendo situazioni di sofferenza e amarezza grandi. Credo che dal punto di vista pastorale occorrerebbe avere chiaro che cos'è "vocazione" e ricordare che il valore di una persona è connesso alla sua unicità, al dono irripetibile che lei, e solo lei, può fare di se stessa al mondo. Anche quando il legittimo desiderio di una famiglia e di figli non ha potuto realizzarsi o quando una persona ha scelto vie di realizzazione di sé diverse dalla forma matrimoniale.

4. Matrimonio, famiglia e vocazione
Un'altra provocazione: il matrimonio e la famiglia sono davvero per tutti? Desiderio e vocazione devono per forza stare insieme? Non sarebbe più opportuno e magari “onesto” riflettere con serenità su questo profilo senza giudicare in termini di puro “egoismo” la scelta di chi non è per il matrimonio e la famiglia, pur sentendosi parte della Chiesa?


Sì, nei documenti sinodali si parla più volte di "desiderio di famiglia", ma bisognerebbe parlare anche dell'altra faccia del desiderio, ovvero la paura. Dietro al desiderio di legami forti e stabili vi è spesso la fragilità e la paura della solitudine. Come dietro alla fragilità matrimoniale vi è a volte l'impreparazione a vivere con l'altro o perfino la paura di ciò che la vita con l'altro può togliere in termini di libertà e di realizzazione personale. E dietro a tutto c'è la crisi profonda del senso del limite, elemento vitale e fondante ogni relazione. Detto questo, è innegabile che parlare di egoismo per etichettare una scelta di vita non-matrimoniale è fuori luogo e insensato. La vocazione è anzitutto alla vita, a realizzare la propria unicità e irripetibilità, a essere il proprio volto e il proprio nome, a essere il proprio corpo. Giovanni Paolo II ha detto magnificamente in una catechesi del mercoledì (8 aprile 1981): “Il Creatore ha assegnato all’uomo come compito il corpo”. Sarebbe grottesco e di cattivo gusto ridurre la scelta vocazionale della donna all'alternativa tra vita religiosa e matrimonio. La "vocazione all'amore" di cui si parla spesso nei documenti (Familiaris Consortio 11; Lumen fidei 53; cf. Instrumentum laboris Premessa; 5; 7; 43; 80; Relatio Synodi 18; 20) non trova certo la sua realizzazione solo nella vita matrimoniale e nella famiglia. Una persona è immagine e somiglianza di Dio nel suo volto - unica e vera icona del Trascendente - nella sua unicità, nel suo essere persona, ed è in questa sua unicità che essa è raggiunta dall'appello del vangelo che le chiede di vivere l'amore fino all'estremo come Cristo lo ha vissuto, quale che sia la situazione esistenziale scelta o subita. Del resto, a volte è un vero lusso poter scegliere di vivere in una determinata forma, per esempio, in un matrimonio, e poterlo realizzare. Ma certamente il matrimonio non è che una via di realizzazione umana e di sequela Christi. La testimonianza evangelica, poi, ci mostra che la famiglia è stato un tema tutt'altro che centrale nella predicazione e nell'esistenza di Gesù di Nazaret, se è vero che egli ha vissuto il celibato in una vita comunitaria itinerante, ha creato una "nuova famiglia" di discepoli riuniti dall'ascolto e dalla volontà di realizzare la parola di Dio, ha rotto con la famiglia che era la struttura fondamentale dell'organizzazione economico-sociale dei villaggi della Galilea e che presiedeva alla ripartizione dei beni, all'organizzazione del lavoro e alle alleanze matrimoniali. Gesù disarticola la logica famigliare aprendola su orizzonti infinitamente più ampi, quelli dischiusi dall'annuncio del regno universale di Dio.

5. Interculturalità, religione e famiglia
Il codice di diritto canonico per la celebrazione di matrimoni misti o in presenza di disparitas cultus chiede l'impegno di entrambi i coniugi per assicurare l'educazione cattolica dei figli. Il tema dei matrimoni misti o inter-religiosi era stato inserito nel Documento preparatorio del Sinodo, ma poi non risulta sia stato affrontato diffusamente nel corso dei lavori sinodali. Non le sembra che il Sinodo avrebbe potuto mostrare maggiore attenzione per le sfide educative cui vanno incontro le famiglie interculturali? E sulle specifiche problematiche dei matrimoni misti e inter-religiosi, secondo lei come si potrà sviluppare la riflessione della Chiesa, anche alla luce di quanto affermato dalla relazione finale in base alla quale sul tema “sarà importante il contributo del dialogo con le religioni”?
Bisogna tener presente che il Sinodo è appena iniziato. Si è svolta la prima parte, ma ora ci sarà la seconda parte che sarà costituita dall'Assemblea Ordinaria dell'ottobre 2015, ma anche e, forse, soprattutto, dall'intersessione, ovvero dal periodo di un anno che ci separa da quella data. Periodo che consentirà approfondimenti di temi già dibattuti, messe a fuoco di problemi controversi e sarà anche l'occasione di dare spazio a tematiche tralasciate o appena accennate. Circa i matrimoni inter-religiosi, e in particolare quelli tra cattolici e musulmani (una delle coppie presenti al Sinodo straordinario era cattolico-musulmana), penso che si potrà portare il tema all'attenzione e poco più. La stessa indicazione della Relazione finale circa "il contributo del dialogo con le religioni" è di estrema vaghezza e dice soprattutto che per ora, visti i problemi molto più urgenti e scottanti, e forse anche numericamente più rilevanti, che riguardano matrimonio e famiglia, non ci si potrà aspettare gran ché. Occorrerà un impegno di ascolto delle situazioni vissute, dei problemi sorti, delle sfide da affrontare nei diversi ambiti religiosi oltre al lavoro di conoscenza dei mondi religiosi altri con cui ormai siamo in contatto quotidiano. Ma se la vita, con gli incontri e gli amori e le unioni che fa nascere è rapida, la riflessione teologica e pastorale, etica e giuridica, viene a traino ed è decisamente più lenta. In questo senso occorre anche dire che la conclusione del Sinodo non sarà la conclusione del lavoro di riflessione e la soluzione dei problemi della famiglia, ma costituirà una tappa di un cammino che incontrerà sfide sempre più ardue in futuro. Sicché sarà importante che in questo evento ci si concentri su alcuni obiettivi prioritari, chiari e raggiungibili, senza i quali sarà ben difficile guardare e andare oltre. Viste le difficoltà e la conflittualità, le resistenze e animosità che il nodo matrimonio-famiglia ha suscitato già nel Sinodo del 2014 in diversi padri sinodali e in diverse componenti del mondo cattolico, e che hanno perfino fatto evocare lo spettro di una scisma, sarà già da considerarsi una grazia se si riuscirà a giungere a una certa chiarezza su alcune precise tematiche di fondo e se si affermerà una linea di misericordia come attitudine basilare. Quanto invece ai matrimoni misti vi è già un ricco deposito di esperienze e di incontri che può aiutare a disegnare una via ecumenica per affrontare i problemi che si pongono nel matrimonio tra cristiani di diverse confessioni. Senza addentrarmi nell'intreccio di questioni pastorali, teologiche, giuridiche, liturgiche che i matrimoni misti pongono, questioni che comunque necessitano di essere differenziate a seconda delle diverse confessioni, mi limito a segnalare il positivo caso italiano sfociato nell'intesa tra Chiesa Cattolica e Chiese valdesi e metodiste siglata nel 2000. Questo esempio mostra che quel difficile banco di prova dell'ecumenismo che è un matrimonio interconfessionale può diventare luogo di sperimentazione del futuro trasformandosi da problema in occasione. Sempre nella Relatio Synodi si fa riferimento alla "diversità della disciplina matrimoniale delle Chiese Ortodosse" che prevede la possibilità di nuove nozze non solo in caso di vedovanza ma anche di divorzio, ma accompagnate da un percorso penitenziale e, in ogni caso, non oltre la terza volta (cf. anche la Relatio ante-disceptationem 3f). Se al momento pare difficile l'importazione nella chiesa cattolica del modello ortodosso che prevede anche il riconoscimento di giuste cause di divorzio (nel mondo ortodosso, infatti, fin dal canone 9 di Basilio di Cesarea ripreso dal Concilio in Trullo del 691-692, si prende come eccezione vera l'eccezione matteana all'indissolubilità matrimoniale che troviamo in Mt 5,32 e 19,9), tuttavia, dal momento che la chiesa cattolica già prevede la possibilità di nuove nozze sacramentali in caso di morte di un coniuge, riconoscendo così un fallimento irreversibile del primo matrimonio che non infrange il principio della indissolubilità, si può pensare che essa possa giungere ad accogliere la possibilità di nuove nozze di fronte all'evidenza di fallimenti irreversibili dovuti alla morte dell'amore, alla morte della relazione, alla trasformazione della vita insieme in un inferno quotidiano. Certo, unitamente a una disposizione penitenziale e alla volontà di un re-inizio serio in una nuova unione. E questo come misura pastorale ed oikonomica che narra la misericordia di Dio, il suo amore più forte della morte, e va incontro con compassione all'umana fragilità. Di certo questa soluzione, prospettata da un teologo come Basilio Petrà, che stupisce di non aver visto annoverato tra gli esperti del Sinodo del 2014, avrebbe conseguenze sul piano ecumenico in quanto rappresenterebbe un indubbio avvicinamento di posizioni con la prassi di altre Chiese.

6. La formazione dei pastori.
Nei documenti sinodali si insiste molto sulla responsabilità e sulla preparazione dei pastori per affrontare i temi cruciali della famiglia. L’obbligo del celibato ecclesiastico non costituisce un limite rispetto a quella esigenza di concretezza e vicinanza alle necessità delle famiglie cui ogni pastore dovrebbe sapere rispondere? E’ pensabile in questa prospettiva un nuovo ruolo dei laici?


Sia l'Instrumentum laboris (12) che la Relatio Synodi (37) sottolineano questo aspetto. Dice questo secondo documento: "Si è più volte insistito sul rinnovamento della formazione dei presbiteri, dei diaconi, dei catechisti e degli altri operatori pastorali, mediante un maggiore coinvolgimento delle stesse famiglie". La domanda che sorge è: in che cosa deve consistere questa preparazione? Nella conoscenza dei documenti magisteriali circa i problemi di morale e di bioetica inerenti la vita di coppia, la sessualità, la fecondità e la procreazione? Nella competenza oggi veramente ardua da raggiungere circa l'enorme complessità delle problematiche inerenti la vita sessuale e famigliare? Il problema non è tanto o solo la diminuzione del numero dei presbiteri, ma quel che a loro si richiede. E la formazione che a loro si riesce a dare. Non si dimentichi che non è sempre facile trovare pastori maturi umanamente e affettivamente, che hanno assunto coscientemente il loro celibato e lo vivono serenamente, e che dunque possono andare incontro ai difficili problemi che vivono i coniugati. Accennare al problema della formazione implica poi che non lo si può restringere ai pastori ma lo si deve estendere e ampliare parlando dell'iniziazione all'umano che oggi è un problema basilare dell'educazione. E che riguarda l'intera società occidentale. Occorre re-imparare una grammatica dell'umano e questo non è certo un processo che avvenga in pochi anni: iniziare i giovani al discernimento e al riconoscimento delle loro emozioni, a conoscere e ad assumere la dimensione affettiva, a incanalare la sessualità nell'ambito dell'amore e della promessa di sé all'altro, ad avere una certa capacità di vita interiore, a volere e a decidere, a vivere in relazione e dunque ad assumere l'ascesi necessaria alla vita condivisa con un'altra persona: attendere, pazientare, perdonare, ascoltare, dialogare, sopportare, rinunciare, ... Credo che un'indicazione venga fornita dal documento finale stesso quando parla di "maggiore coinvolgimento delle stesse famiglie". Se già il sacramento del matrimonio, ricevuto dalla chiesa, è celebrato dagli sposi stessi, è ovvio pensare che essi stessi possono, in virtù del loro sensus fidei e dell'esperienza concreta della vita matrimoniale e famigliare acquisita dall'interno, diventare maestri e formatori di altri che si preparano alla vita coniugale.
Credo inoltre che, benché si stia parlando di un Sinodo sulla famiglia, occorra non ingigantire e non accordare importanza spropositata a questa dimensione dell'esistenza. La possibilità di una scelta celibataria, intrinseca alla vocazione, come nella vita monastica, oppure connessa alla tradizione occidentale latina, come nella vita presbiterale, dice di una pluralità delle forme con cui i cristiani possono annunciare il regno di Dio e "farvi segno" con le loro esistenze. Probabilmente, sotto la pressione degli eventi e i mutamenti della storia, la disciplina che regola il celibato presbiterale nella chiesa cattolica latina conoscerà articolazioni, differenziazioni e mutamenti, anche se la possibilità del presbiterato celibatario è oggi e resterà in futuro un'importante e significativa dimensione che può essere vissuta degnamente e serenamente dal presbitero. Certo, nella formazione presbiterale, si dovrà accordare molta maggiore attenzione al discernimento della capacità di vivere il celibato nell'amore da parte del candidato e alla sua formazione alla maturità affettiva, cogliendo il celibato stesso come elemento decisivo dell'esistenza presbiterale perché riguarda la dimensione integrale della persona. Il problema non è il celibato in sé, ma la maturità affettiva. Un pastore che viva in modo maturo il proprio celibato può essere un importante aiuto per chi vive la vita matrimoniale.

Per approfondire:

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