Casati - 4 agosto 2013 XVIII Tempo Ordinario
Qo 1, 2; 2, 21-23
Col 3, 1-5.9-11
Lc 12, 13-21
Col 3, 1-5.9-11
Lc 12, 13-21
Questo invito dell'uno della folla: "Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità" potrebbe anche non meravigliare più di tanto. Sappiamo come vanno le cose umane: e quanti conflitti, quanto confliggere per le eredità.
A meravigliarci è invece il momento in cui la domanda viene posta a Gesù. Gesù stava parlando dell'abbandono a Dio, stava dicendo: non temete, voi valete! Il valore vero siete voi, voi valete più dei passeri che si vendono per un soldo, se Dio non dimentica loro, a maggior ragione si prenderà cura di voi. E, dentro questo fluire di pensieri e di orizzonti alti, l'appiattimento della domanda sulla divisione di un'eredità. Tant'è che a noi viene spontaneo chiederci dov'era quell' "uno della folla", mentre Gesù parlava. Forse non sentiva perché la folla era migliaia e l'evangelista Luca dice che le persone si calpestavano a vicenda? Ma, forse più verosimilmente l' "uno della folla" era via con la testa, il suo chiodo era un altro, era l'eredità. E a me -ve lo confesso- tutto questo ha fatto pensare a quante volte sono via io con la testa, quando un altro parla -è un pericolo-, e -pericolo ancora maggiore- quando parla Dio, nelle Sacre Scritture. Ma veniamo alla risposta di Gesù, che, come al solito, diversamente da quanto succede a noi, ha l'arte di intuire, di sorprendere, di cogliere ciò che sta dietro la domanda. È il vero medico, che non si lascia abbagliare dalle manifestazioni esteriori, arriva alla causa del male. Il problema non è l'eredità, il problema -dice Gesù- è la cupidigia. Il problema vero -e così la parola di Gesù ci riguarda, perché non tutti noi forse abbiamo conflitti di eredità- il problema vero è -perdonate se mi esprimo così, ma forse rende più efficacemente- da che cosa dipendono gli umori della tua vita. Dipendono dall'abbondanza dei beni, dalla sicurezza dei beni? Se è così -dice Gesù- ricórdati che hai appeso la tua vita a una corda inconsistente, di una debolezza estrema. Il magazzino può essere dei più grandi e i beni una moltitudine, ma a che pro, se tu non puoi aggiungere un'ora sola alla tua vita? E, così, Gesù si avvicina all'insegnamento sapiente del Qoelet, che riflette -l'abbiamo sentito- sulla debole consistenza delle cose umane, l'inconsistenza del soffio, sono come un soffio: "vanità delle vanità, tutto è vanità". Ebbene, questa parabola non è scritta per togliere ogni valore alle cose quotidiane: tu puoi aver lavorato "con sapienza, con scienza e con successo" e penso che sia un merito, un merito per gli umani. Ma, dice il libro: "dovrai poi lasciare i tuoi beni ad un altro che non vi ha per nulla faticato". E, dunque, se avevi fatto di quelle cose un assoluto, rimarrai con le mani vuote. Riconosci -sembra suggerire il libro- riconosci la fragilità delle cose, dei beni della terra e non attaccarci il cuore. Non diventarne schiavo, non diventare dipendente, se diventi dipendente perdi la tua libertà. Che la vita non dipenda -dipendenza!- dai beni. Rischi la libertà, è un appiattimento. È una degradazione e S. Paolo a corona delle cose che degradano, che ci fanno volare basso, così basso che più non si può, metteva l'avarizia: "quella avarizia insaziabile che è idolatria". La vera idolatria, dunque, è questa avarizia insaziabile. È un pensiero forte questo, che mette sotto verifica , sotto una verifica forte, il nostro tempo, che, per qualche aspetto sta diventando un tempo in cui anche la notte, o parte della notte, è consumata dietro l'ansia delle cose: "il suo cuore" -dice il Qoelet- "non riposa neppure di notte". La parola di Dio suona, inequivocabile, come un "alto là". A che pro -dice Gesù- il magazzino? E non sarà che la vita stia diventando un magazzino? un grande magazzino, un radunare, incontenibile, cose? "Arricchitevi davanti a Dio". Ed è un peccato che la lettura liturgica oggi si fermi qui e non continui con il brano seguente che parla degli uccelli dell'aria nutriti da Dio, dei gigli vestiti da Dio, dell'invito di Gesù a non farci schiavi né del vestito né del cibo, dell'invito a non volare basso: "cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia". C'è qualcosa prima, bisogna pur darsi da fare per cibo e vestito - Gesù ha preso a simbolo due cose essenziali - ma c'è un prima. Cercate "prima…". E prima c'è il regno di Dio, prima c'è il sogno di Dio, lavora per il sogno di Dio sulla terra. "E tutte queste cose vi saranno date in aggiunta".
Fonte:sullasoglia
A meravigliarci è invece il momento in cui la domanda viene posta a Gesù. Gesù stava parlando dell'abbandono a Dio, stava dicendo: non temete, voi valete! Il valore vero siete voi, voi valete più dei passeri che si vendono per un soldo, se Dio non dimentica loro, a maggior ragione si prenderà cura di voi. E, dentro questo fluire di pensieri e di orizzonti alti, l'appiattimento della domanda sulla divisione di un'eredità. Tant'è che a noi viene spontaneo chiederci dov'era quell' "uno della folla", mentre Gesù parlava. Forse non sentiva perché la folla era migliaia e l'evangelista Luca dice che le persone si calpestavano a vicenda? Ma, forse più verosimilmente l' "uno della folla" era via con la testa, il suo chiodo era un altro, era l'eredità. E a me -ve lo confesso- tutto questo ha fatto pensare a quante volte sono via io con la testa, quando un altro parla -è un pericolo-, e -pericolo ancora maggiore- quando parla Dio, nelle Sacre Scritture. Ma veniamo alla risposta di Gesù, che, come al solito, diversamente da quanto succede a noi, ha l'arte di intuire, di sorprendere, di cogliere ciò che sta dietro la domanda. È il vero medico, che non si lascia abbagliare dalle manifestazioni esteriori, arriva alla causa del male. Il problema non è l'eredità, il problema -dice Gesù- è la cupidigia. Il problema vero -e così la parola di Gesù ci riguarda, perché non tutti noi forse abbiamo conflitti di eredità- il problema vero è -perdonate se mi esprimo così, ma forse rende più efficacemente- da che cosa dipendono gli umori della tua vita. Dipendono dall'abbondanza dei beni, dalla sicurezza dei beni? Se è così -dice Gesù- ricórdati che hai appeso la tua vita a una corda inconsistente, di una debolezza estrema. Il magazzino può essere dei più grandi e i beni una moltitudine, ma a che pro, se tu non puoi aggiungere un'ora sola alla tua vita? E, così, Gesù si avvicina all'insegnamento sapiente del Qoelet, che riflette -l'abbiamo sentito- sulla debole consistenza delle cose umane, l'inconsistenza del soffio, sono come un soffio: "vanità delle vanità, tutto è vanità". Ebbene, questa parabola non è scritta per togliere ogni valore alle cose quotidiane: tu puoi aver lavorato "con sapienza, con scienza e con successo" e penso che sia un merito, un merito per gli umani. Ma, dice il libro: "dovrai poi lasciare i tuoi beni ad un altro che non vi ha per nulla faticato". E, dunque, se avevi fatto di quelle cose un assoluto, rimarrai con le mani vuote. Riconosci -sembra suggerire il libro- riconosci la fragilità delle cose, dei beni della terra e non attaccarci il cuore. Non diventarne schiavo, non diventare dipendente, se diventi dipendente perdi la tua libertà. Che la vita non dipenda -dipendenza!- dai beni. Rischi la libertà, è un appiattimento. È una degradazione e S. Paolo a corona delle cose che degradano, che ci fanno volare basso, così basso che più non si può, metteva l'avarizia: "quella avarizia insaziabile che è idolatria". La vera idolatria, dunque, è questa avarizia insaziabile. È un pensiero forte questo, che mette sotto verifica , sotto una verifica forte, il nostro tempo, che, per qualche aspetto sta diventando un tempo in cui anche la notte, o parte della notte, è consumata dietro l'ansia delle cose: "il suo cuore" -dice il Qoelet- "non riposa neppure di notte". La parola di Dio suona, inequivocabile, come un "alto là". A che pro -dice Gesù- il magazzino? E non sarà che la vita stia diventando un magazzino? un grande magazzino, un radunare, incontenibile, cose? "Arricchitevi davanti a Dio". Ed è un peccato che la lettura liturgica oggi si fermi qui e non continui con il brano seguente che parla degli uccelli dell'aria nutriti da Dio, dei gigli vestiti da Dio, dell'invito di Gesù a non farci schiavi né del vestito né del cibo, dell'invito a non volare basso: "cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia". C'è qualcosa prima, bisogna pur darsi da fare per cibo e vestito - Gesù ha preso a simbolo due cose essenziali - ma c'è un prima. Cercate "prima…". E prima c'è il regno di Dio, prima c'è il sogno di Dio, lavora per il sogno di Dio sulla terra. "E tutte queste cose vi saranno date in aggiunta".
Fonte:sullasoglia