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Casati - 12 maggio 2013 Ascensione del Signore

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At 1,1-11
Eb 9,24-28; 10,19-23
Lc 24,46-53

Ascensione di Gesù al cielo. Ma la parola "ascensione" è meno precisa. Stando al verbo dovremmo forse meglio parlare di assunzione di Gesù al cielo; il verbo, infatti, è nella forma passiva: fu assunto, fu elevato, fu rapito nei cieli.
Come se -perdonate il modo di esprimermi- Gesù non salisse al cielo di forza sua, ma Dio, il Padre, lo elevasse. È Dio, il Padre, che lo glorifica. Glorifica "colui che è disceso", disceso nell'abisso della nostra umanità. Lo dice Paolo nella lettera agli Efesini: "Ma che significa la parola "ascese"" -scrive Paolo- "se non che prima era disceso quaggiù sulla terra?". È come se Dio mettesse il suo sigillo sulla vicenda di Gesù: hai fatto questo, hai avuto ragione, era il modo più vero, più bello, più grande di interpretare la vita. Le tue scelte, Gesù, trovano oggi la conferma: oggi è la conferma di una vita spesa come la tua a testimoniare nel mondo la tenerezza di Dio, il suo amore per gli ultimi, gli esclusi. È come se, nell'Ascensione, il Padre confermasse con il suo sigillo, le scelte, la passione, le lotte del suo Figlio, l'unigenito, Gesù di Nazaret. Ed ecco il paradosso: scompare, scompare alla loro vista, il Signore, ed è presente. Un paradosso che senz'altro anche voi avete colto nel Vangelo di Marco, dove è scritto: "Il Signore Gesù fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicavano dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro". Il paradosso: "fu assunto in cielo, operava con loro". È ancora all'opera: questo è un tempo -checché se ne dica- un tempo in cui Dio è ancora all'opera, Gesù è ancora all'opera, insieme con noi. Insieme con noi, e infatti il brano del Vangelo di Marco e, ancor più, il brano degli Atti, sono risuonati dentro di noi come un invito ad operare, operare nel segno di Gesù. Non stare a guardare il cielo: "Uomini di Galilea" -dicono gli Angeli- "perché state a guardare il cielo?". Ma che senso ha cercare ancora segni straordinari? Che senso ha attendere nuove rivelazioni? Che senso ha correre dietro chissà quali segreti? "Perché state a guardare il cielo?". Ritornate alla terra, è la terra che va guardata, custodita, rinnovata. Questo invito a tornare alla terra, a operare nel segno di Gesù è invito per tutti noi, per noi che siamo quelli che siamo, per noi che non siamo mostri né di fede né di santità. Voi forse ricorderete che questo brano di Marco, che oggi abbiamo letto, non apparteneva al Vangelo. Il Vangelo di Marco chiudeva con una pagina certo non esaltante, chiudeva con le donne in preda alla paura. "Uscite, fuggirono dal sepolcro, perché le aveva prese tremore e stupore. E non dissero niente a nessuno perché dubitavano". Finale poco esaltante. E allora si aggiunge il brano che consegna ai discepoli il compito della testimonianza al Vangelo, il compito cioè di spendere la vita per testimoniare sulla terra la tenerezza di Dio, il suo amore per gli ultimi. Come vedete, non è un operare vago quello cui siamo invitati, non è l'invito a fare per fare, ma a fare nel segno di Gesù, dentro le scelte di Gesù. E cinque sembrano essere i compiti affidati: scacciare i demoni, parlare lingue nuove, prendere in mano i serpenti, non avere paura dei veleni, imporre le mani ai malati. Ebbene, sarebbe un errore quello di leggere questi segni solo in una visione miracolistica, un miracolismo fuori dalla nostra portata. L'invito è invece a guardare la terra, ad amare la terra: ci sono azioni, azioni anche alla nostra portata, che possono trasformare la terra. Eccole. Scacciare i demoni: il demonio nella Bibbia è ciò che opprime, ciò che soffoca, e dunque lottare contro tutto ciò che opprime e soffoca la libertà, la dignità, delle persone e dei popoli. Parlare lingue nuove: quanto bisogno di lingue nuove, di idee nuove, di prospettive nuove, in un mondo ove si riciclano le cose di sempre! Prendere in mano i serpenti: "Il lattante" -è scritto- "si trastullerà sulla buca dell'aspide" (Is. 11,8). E cioè, creare un mondo dove le diversità non facciano più paura. Bere i veleni senza averne male: e cioè passare indenni, vaccinati, in mezzo alle cattiverie umane, uomini e donne liberi, che non si lasciano scalfire. Imporre le mani ai malati: i malati quasi simbolo delle innumerevoli ferite. Prendersi dunque cura delle ferite dell'umanità.
Fonte:sullasoglia
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