Manicardi - 17 marzo 2013 V Quaresima
Fonte: monasterodibose
domenica 17 marzo 2013
Anno C
Is 43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
Is 43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
L’annuncio della misericordia di Dio in Cristo Gesù: questo il tema saliente della quinta domenica di Quaresima contenuto essenzialmente nella cosiddetta “pericope dell’adultera”.
Lì, la misericordia di Gesù si astiene dal giudicare, condannare e dare sentenze di morte donando così un futuro a chi ormai non aveva più alcuna speranza di futuro (vangelo). Nel testo di Isaia, Dio dona un futuro ai figli d’Israele deportati a Babilonia operando una cosa nuova e mirabile nella storia: il nuovo esodo. Tale è l’importanza dell’evento che Dio sta per compiere che il profeta chiede ai suoi ascoltatori di dimenticare le cose di prima (il primo esodo) per riconoscere e accogliere il novum che Dio sta operando. Qui, “dimenticare” non significa “cancellare”, ma esprime semplicemente l’altra faccia del “ricordare” (I lettura). Troviamo la stessa dinamica temporale in Paolo, il quale, una volta afferrato da Cristo, ha dimenticato il passato proiettandosi verso la mèta che Cristo ha dischiuso alla sua esistenza (II lettura).
Tutti e tre i testi possono essere letti come testimonianza del mutamento che l’azione di Dio improntata a misericordia produce nella storia e nell’esistenza di una persona.
Il testo evangelico contiene un’affermazione elementare e scandalosa: una volta infranta la Legge, vige la misericordia. Gesù, il “senza peccato” che avrebbe potuto, per le sue stesse parole (v. 7), scagliare la pietra contro l’adultera, si astiene dal farlo e ridà un futuro alla donna.
Il testo presenta anche un confronto tra peccatori: una peccatrice nota, che tutti sanno tale (la donna colta in flagrante adulterio), e dei peccatori i cui peccati sono nascosti, ovvero coloro che vogliono condannarla invocando la Legge di Mosè sulla lapidazione. La parola di Gesù infatti svela il peccato nascosto che tutti loro, rinviati alla loro coscienza, albergano in sé. Ossia: una differenza fondamentale tra i peccati è quella tra peccati noti a tutti, peccati risaputi (che spesso si traducono in omicidio simbolico linguistico: quello è un adultero, è un ladro, è un omicida; il gesto negativo di un momento sequestra per sempre l’identità di una persona), e peccati nascosti, che gli altri non sanno. Da Gesù impariamo che il peccato manifesto di una persona è occasione per riconoscere il nostro peccato nascosto e per accedere al pentimento.
L’enigmatico gesto di Gesù che per due volte si china, scrive con il dito per terra, si rialza e parla (vv. 6-7; vv. 8.10) evoca la duplice ascesa e discesa di Mosè dal Sinai per ricevere le tavole della Legge “scritte dal dito di Dio” (Es 31,18) e rinvia a quel complesso di Es 32-34 in cui la Legge fu infranta contemporaneamente al suo essere donata, sicché da subito il dono della Legge appare ripetuto, appare per-dono. La Legge è segno della misericordia di Dio e della sua grazia. In particolare, il gesto simbolico di abbassarsi e rialzarsi da parte di Gesù rappresenta l’abbassamento e l’innalzamento di Cristo sulla croce, vera sintesi dell’intera storia di salvezza e autorevole ermeneutica del volere del Dio misericordioso e compassionevole. Non sappiamo ciò che Gesù ha scritto per terra, ma l’unico scritto che Gesù poteva lasciare è la croce, sigillo di una vita spesa fino alla morte nel segno dell’amore per il Padre e della misericordia per gli uomini.
Alla logica della croce rinvia anche il fatto che l’episodio dell’adultera termini con il tentativo di lapidazione nei confronti di Gesù (cf. Gv 8,59). Le pietre destinate all’adultera vengono scagliate contro Gesù. La misericordia non è mai a basso prezzo: Gesù assume su di sé le conseguenze del male compiuto da altri.
La Legge, anche la Legge santa di Dio, e ancor di più dunque le leggi della chiesa, necessitano di un’interpretazione umana ispirata a misericordia. Senza umanità, la legge può uccidere, schiacciare, umiliare. Per Gesù, più del comandamento infranto, è ormai importante la donna con la sua vita infranta, con il peccato che ha segnato la sua vita e la sua famiglia.
Lì, la misericordia di Gesù si astiene dal giudicare, condannare e dare sentenze di morte donando così un futuro a chi ormai non aveva più alcuna speranza di futuro (vangelo). Nel testo di Isaia, Dio dona un futuro ai figli d’Israele deportati a Babilonia operando una cosa nuova e mirabile nella storia: il nuovo esodo. Tale è l’importanza dell’evento che Dio sta per compiere che il profeta chiede ai suoi ascoltatori di dimenticare le cose di prima (il primo esodo) per riconoscere e accogliere il novum che Dio sta operando. Qui, “dimenticare” non significa “cancellare”, ma esprime semplicemente l’altra faccia del “ricordare” (I lettura). Troviamo la stessa dinamica temporale in Paolo, il quale, una volta afferrato da Cristo, ha dimenticato il passato proiettandosi verso la mèta che Cristo ha dischiuso alla sua esistenza (II lettura).
Tutti e tre i testi possono essere letti come testimonianza del mutamento che l’azione di Dio improntata a misericordia produce nella storia e nell’esistenza di una persona.
Il testo evangelico contiene un’affermazione elementare e scandalosa: una volta infranta la Legge, vige la misericordia. Gesù, il “senza peccato” che avrebbe potuto, per le sue stesse parole (v. 7), scagliare la pietra contro l’adultera, si astiene dal farlo e ridà un futuro alla donna.
Il testo presenta anche un confronto tra peccatori: una peccatrice nota, che tutti sanno tale (la donna colta in flagrante adulterio), e dei peccatori i cui peccati sono nascosti, ovvero coloro che vogliono condannarla invocando la Legge di Mosè sulla lapidazione. La parola di Gesù infatti svela il peccato nascosto che tutti loro, rinviati alla loro coscienza, albergano in sé. Ossia: una differenza fondamentale tra i peccati è quella tra peccati noti a tutti, peccati risaputi (che spesso si traducono in omicidio simbolico linguistico: quello è un adultero, è un ladro, è un omicida; il gesto negativo di un momento sequestra per sempre l’identità di una persona), e peccati nascosti, che gli altri non sanno. Da Gesù impariamo che il peccato manifesto di una persona è occasione per riconoscere il nostro peccato nascosto e per accedere al pentimento.
L’enigmatico gesto di Gesù che per due volte si china, scrive con il dito per terra, si rialza e parla (vv. 6-7; vv. 8.10) evoca la duplice ascesa e discesa di Mosè dal Sinai per ricevere le tavole della Legge “scritte dal dito di Dio” (Es 31,18) e rinvia a quel complesso di Es 32-34 in cui la Legge fu infranta contemporaneamente al suo essere donata, sicché da subito il dono della Legge appare ripetuto, appare per-dono. La Legge è segno della misericordia di Dio e della sua grazia. In particolare, il gesto simbolico di abbassarsi e rialzarsi da parte di Gesù rappresenta l’abbassamento e l’innalzamento di Cristo sulla croce, vera sintesi dell’intera storia di salvezza e autorevole ermeneutica del volere del Dio misericordioso e compassionevole. Non sappiamo ciò che Gesù ha scritto per terra, ma l’unico scritto che Gesù poteva lasciare è la croce, sigillo di una vita spesa fino alla morte nel segno dell’amore per il Padre e della misericordia per gli uomini.
Alla logica della croce rinvia anche il fatto che l’episodio dell’adultera termini con il tentativo di lapidazione nei confronti di Gesù (cf. Gv 8,59). Le pietre destinate all’adultera vengono scagliate contro Gesù. La misericordia non è mai a basso prezzo: Gesù assume su di sé le conseguenze del male compiuto da altri.
La Legge, anche la Legge santa di Dio, e ancor di più dunque le leggi della chiesa, necessitano di un’interpretazione umana ispirata a misericordia. Senza umanità, la legge può uccidere, schiacciare, umiliare. Per Gesù, più del comandamento infranto, è ormai importante la donna con la sua vita infranta, con il peccato che ha segnato la sua vita e la sua famiglia.
LUCIANO MANICARDI