L'uomo e la fede - Enzo Bianchi
Millenario di Sansepolcro - Cattedrale
sabato 19 gennaio 2013
Abstract
1. La fede-fiducia come operazione umana
La fede è innanzitutto un atto umano, un atto della libertà dell’uomo, tanto che è possibile affermare che non ci può essere umanizzazione autentica senza la fede. Non si può essere uomini senza credere, perché credere è il modo di vivere la relazione con gli altri; e non è possibile nessun cammino di umanizzazione senza gli altri, perché vivere è sempre vivere con e attraverso l’altro. Come sarebbe possibile vivere senza fidarsi di qualcuno?
Quando si parla di fede occorre fare attenzione a non pensare immediatamente al credere in verità, in dogmi; no, dobbiamo pensare la fede come quell’atto che consiste nel mettere il piede sul sicuro (cf. Sal 20,8-9; 125,1), nell’affidarsi come un bambino attaccato con una fascia al seno di sua madre (cf. Is 66,12-13), sicuro in braccio a lei (cf. Sal 131,2). Credere, avere fede è un’operazione umana; è innanzitutto «credere all’amore» (cf. 1Gv 4,16), cioè tendere a quel pieno compimento di sé che è dato da una vita in cui si ama e si è amati: questa è l’unica promessa che sta davanti a tutti gli uomini e le donne in quanto tali. Credere è un atteggiamento assolutamente necessario per accedere all’amore, perché solo il credere nell’altro può instaurare la vera comunicazione, la comunione, l’amore reciproco.
Credere nell’altro è un atto di fede umana, dal quale dipende la qualità della convivenza umana, la resistenza alla barbarie che è sempre una tentazione per tutta l’umanità. Oggi dovremmo re-imparare a credere nell’altro, dovremmo investire molte forze per una rieducazione a questa fiducia, perché gli ultimi decenni sono stati segnati proprio da un venir meno della fede, dal rifiuto radicale di credere, dal rifiuto dell’atto della fiducia come atteggiamento umano. In questa situazione, come possiamo scandalizzarci della crisi della fede in Dio? Se l’atto umano della fede è così fragile, debole e contraddetto, come potrebbe essere facile il credere in Dio? Parafrasando un’affermazione della Prima lettera di Giovanni (cf. 1Gv 4,20) potremmo chiederci: se non sappiamo credere nell’altro che vediamo, nell’uomo, come potremo avere fede in Dio che non vediamo?
Nello stesso testo l’autore dà una definizione lapidaria dei cristiani, già evocata: «Noi crediamo all’amore» (1Gv 4,16). I cristiani dovrebbero essere esattamente questo: persone che credono all’amore e che nell’umanità assolutamente necessaria della loro fede accolgono il dono della fede come risposta alla Parola di Dio, quella «fede» che «nasce dall’ascolto» (Rm 10,17). La fede è certamente un dono di Dio, è una virtù teologale, come scrive Paolo: «Non di tutti è la fede» (2Ts 3,2), ma essa abita soltanto coloro cui Dio l’ha donata. Essa però si innesta solo sull’umanità dell’atto di fede, sulla capacità dell’uomo di credere.
2. La fede-fiducia in Dio
A partire da questa riflessione sulla fede come atto umano possiamo pertanto comprendere meglio il cammino della fede-fiducia in Dio, ovvero la vicenda dell’uomo che Dio vuole salvare: la lunga storia in cui Dio parla all’uomo ed entra in dialogo con lui può anche essere letta come un’educazione alla fede. Dio educa l’uomo a credere, a partire da Abramo, «il padre dei credenti» (cf. Rm 4,16-17), colui che crede nell’Altro per eccellenza, in Dio appunto (cf. Gen 15,6; Rm 4,3; Gal 3,6; Gc 2,23), e così impara a credere nell’uomo. Abramo è l’uomo che aderisce a una promessa e quindi orienta tutta la sua vita verso la realizzazione di questa Parola ascoltata e custodita. La discendenza di Abramo sarà pertanto discendenza di credenti, fino a Gesù, «origine e compimento della fede» (Eb 12,2).
Paolo, dal canto suo, porrà come contrassegno della vicenda cristiana il fondamento della fede, giungendo a scrivere che è la fede a dare salvezza: è la fede a giustificare chi si pone sulle orme di Gesù Cristo (cf. Gal 2,16). E si faccia attenzione: non una fede in termini generali o astratti, secondo la quale Dio esiste, perché questo è teismo, come aveva già compreso Pascal! No, la fede come adesione a Gesù Cristo, lui che è l’esegeta, il narratore di Dio (cf. Gv 1,18: exeghésato) e anche del vero uomo. Di più, la fede cristiana è adesione a Gesù il quale ha voluto identificarsi con ogni uomo, con l’affamato, l’assetato, lo straniero, il povero, il malato, il carcerato (cf. Mt 25,35-38), fino ad affermare: «Tutto quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Il che equivale a dire: «Ogni volta che avete messo fede in un uomo, avete messo fede in me».
E così siamo tornati al punto di partenza: da qualunque parte si affronti il discorso sulla fede, esso ci riconduce alla fede come atto, certamente precario ma quanto mai vitale, che decide l’umanizzazione, che fonda la qualità della convivenza umana.
3. Gesù, educatore alla fede
Avendo accennato alla fede come adesione a Gesù Cristo, occorre sviluppare più approfonditamente ciò che Gesù stesso ci ha insegnato sulla fede. Nel fare questo seguo una riflessione intrapresa già dai padri della chiesa, i quali hanno letto Gesù proprio come un pedagogo, un educatore alla fede. C’era in Gesù un’arte nell’incontrare l’altro, nel comunicare con l’altro, nel tessere con l’altro una relazione: l’arte di un educatore alla fede.
a) Gesù, uomo credibile e affidabile
Gesù ci ha mostrato una necessità fondamentale: chi inizia alla fede o a essa vuole generare, deve essere credibile, affidabile. Del resto – lo sappiamo per esperienza – anche i genitori che vogliono educare un figlio possono farlo solo se sono credibili, affidabili. La credibilità di Gesù nasceva principalmente dal suo avere convinzioni e dalla sua coerenza tra ciò che pensava e diceva e ciò che viveva e operava. Non erano solo le sue parole che, raggiungendo l’altro, riuscivano a vincere le sue resistenze a credere; non era un metodo o una strategia pastorale a suscitare la fede: era la sua umanità contrassegnata da una pienezza di grazia e di verità (cf. Gv 1,14). Grazia e verità che dicevano l’autenticità e la coerenza di Gesù, non lasciando alcuno spazio tra le sue convinzioni e ciò che egli diceva e viveva.
b) Gesù, uomo che si è «spogliato» per entrare in dialogo
È innegabile nella pratica della relazione e dell’incontro da parte di Gesù la dimensione dialogica, che è sempre accompagnata dalla dimensione di svuotamento, di condiscendenza. Gesù non consegna mai a chi incontra una verità astratta, ma instaura innanzitutto con lui/lei una relazione umana, nella quale il momento concreto dell’incontro è il vero «tempo favorevole» (2Cor 6,2). Il suo è un comunicare «in situazione» e apre un dialogo, ma è sempre preceduto da un cammino di abbassamento, di condiscendenza, per andare a trovare l’altro là dove questi si trova. Gesù si fa viandante assetato al pozzo di Sicar dove incontra la donna samaritana (cf. Gv 4,5-30); si fa pellegrino sulla strada di Emmaus dove incontra i due pellegrini (cf. Lc 24,13-35); si fa frequentatore della tavola dei pubblicani e dei peccatori, per incontrarli e poter annunciare loro la buona notizia (cf. Mc 2,16 e par.)…
c) Gesù, uomo capace di accogliere e di incontrare tutti
Un’altra caratteristica di Gesù, che emerge dai suoi incontri, è la sua capacità di accoglienza verso tutti. Gesù sapeva incontrare veramente tutti: in primo luogo i poveri, i primi clienti di diritto della buona notizia, del Vangelo; poi i ricchi come Zaccheo (cf. Lc 19,1-10) e Giuseppe di Arimatea (cf. Mc 15,42-43 e par.; Gv 19,38); gli stranieri come il centurione (cf. Mt 8,5-13; Lc 7,1-10) e la donna siro-fenicia (cf. Mc 7,24-30; Mt 15,21-28); gli uomini giusti come Natanaele (cf. Gv 1,45-51), o i peccatori pubblici e le prostitute presso i quali alloggiava e con i quali condivideva la tavola (cf. Mc 2,15-17 e par.; Mt 21,31; Lc 7,34.36-50; 15,1). Com’era possibile questo? Perché Gesù sapeva creare uno spazio di fiducia e di libertà in cui l’altro potesse entrare senza provare paura e senza sentirsi giudicato. Sulle strade, lungo le spiagge, nelle case, nelle sinagoghe, Gesù creava uno spazio accogliente tra se stesso e l’altro che veniva a lui o che lui andava a cercare; si metteva sempre innanzitutto in ascolto dell’altro, sforzandosi di percepire cosa gli stava a cuore, qual era il suo bisogno.
d) Gesù, uomo che cerca e fa emergere la fede dell’altro
Gesù era capace di compiere un ulteriore passo per iniziare, per educare alla fede. Nel rispondere a chi incontrava, Gesù cercava la fede presente nell’altro, come se volesse risvegliare e far emergere la sua fede. Egli sapeva infatti che la fede è un atto personale, che ciascuno deve compiere in libertà: nessuno può credere al posto di un altro! Gesù cercava invece in chi incontrava la fede autentica, e quando essa era presente poteva dire: «La tua fede ti ha salvato». Si noti che Gesù non ha mai detto: «Io ti ho salvato», bensì: «La tua fede ti ha salvato» (Mc 5,34 e par.; 10,52; Lc 7,50; 17,19; 18,42); «Va’, e sia fatto secondo la tua fede» (Mt 8,13); «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri» (Mt 15,28). Ecco come Gesù rendeva possibile la fede, ecco come faceva emergere la fede già presente nell’altro: attraverso la sua presenza di uomo affidabile e ospitale, che non dice di essere lui a guarire e a salvare, ma la fede di chi a lui si rivolge.
e) Gesù, uomo che annuncia il Regno e si decentra rispetto a Dio
Infine, va messo in rilievo come l’educazione alla fede da parte di Gesù tenda all’annuncio del Regno di Dio. Gesù non faceva riferimento a se stesso, ma nell’opera di evangelizzazione appariva sempre decentrato rispetto a Dio, al Padre che, con fiducia assoluta, chiamava: «Abba, Papà» (Mc 14,36). Gesù è l’evento in cui Dio ha potuto parlare in un uomo senza alcun ostacolo! Con la sua umanità piena e non segnata dal peccato – che è sempre amore egoistico di sé –, Gesù è riuscito a raggiungere l’intimo dell’uomo e a generarlo alla fede in un Dio che ama per primo (cf. 1Gv 4,10.19), un Dio il cui amore ci precede sempre, un Dio il cui amore noi non dobbiamo meritare, perché è il suo stesso essere: «Dio è amore» (1Gv 4,8.16). Ciò che Gesù chiedeva, o meglio destava in chi incontrava, era nient’altro che la possibilità di credere all’amore.
Ecco, in estrema sintesi, il fulcro della fede cristiana: credere all’amore attraverso il volto e la voce di questo amore, cioè attraverso Gesù Cristo.