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Manicardi - 30 dicembre 2012 Santa Famiglia

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domenica 30 dicembre 2012
Anno C
1Sam 1,20-22.24-28; Sal 83; 1Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52


Il mistero dell’incarnazione non si limita all’evento della nascita di Gesù, ma si estende alla sua crescita fisica, psicologica e spirituale (cf. Lc 2,52), al suo divenire umano nello spazio di una famiglia e di un contesto culturale e religioso preciso (il pellegrinaggio annuale a Gerusalemme, la festa di Pasqua, il tempio, l’apprendimento della Torah con i maestri).
Se la vocazione di Samuele viene mediata dalla sua famiglia, in specie da sua madre (cf. 1Sam 1,27-28), la vocazione particolarissima di Gesù, che lo porta a trascendere i legami famigliari, si fa strada attraverso la sottomissione ai suoi genitori. L’istituzione religiosa e quella famigliare svolgono il loro compito quando non ostacolano, ma si pongono a servizio del pieno sviluppo umano e spirituale della persona, dunque dell’espressione della sua vocazione, della sua unicità.

È importante notare come nel rapporto tra il ragazzo Gesù e “i suoi genitori” (v. 41) abbiano trovato posto incomprensioni (v. 50), rimproveri (vv. 48.49), angoscia e dolore procurati dal figlio ai genitori (v. 48). Per quanto il testo sia sfumato, possiamo cogliervi uno spiraglio che consente di intravedere ciò che deve essere stata la reale crescita umana del piccolo Gesù nel suo modesto ambiente famigliare: anche la crescita di Gesù avrà conosciuto tensioni e conflitti, disparità di vedute e di atteggiamenti. Dunque: nessuna visione idilliaca della famiglia di Nazaret, ma la coscienza che attraverso un’umanissima storia segnata anche da sofferenze e fatiche ha potuto svilupparsi l’umanità libera e capace di amore del Gesù adulto e ha potuto dispiegarsi pienamente la sua vocazione.

 La speciale relazione con il Padre, in cui consiste la vocazione di Gesù, emerge attraverso la dialettica di sottomissione e di libertà nei confronti della sua famiglia, di “sua madre e suo padre” (cf. v. 48), e anche attraverso il suo dialogo con i maestri d’Israele al tempio. Il Gesù dodicenne era vicinissimo a quell’età (tredici anni) in cui il ragazzo ebreo diviene “figlio del comandamento”, ovvero responsabile in prima persona dell’obbedienza alla volontà di Dio espressa nei comandi e nei precetti della Torah. L’affermazione sorprendente di Gesù: “Io devo essere presso il Padre mio” (o “nella casa del Padre mio”: v. 49; la traduzione “io devo occuparmi delle cose del Padre mio” risponde a una comprensione volontaristica e attivistica dell’espressione assolutamente erronea), sottolinea la sua obbedienza radicale al Datore della Torah e a Colui da cui procede ogni paternità, in cielo e in terra (cf. Ef 3,14). E sottolinea l’autonomia e la maturità religiosa del ragazzo.

Saliti a Gerusalemme per la Pasqua, Maria e Giuseppe dovranno tornarvi, una volta terminato il pellegrinaggio, per cercare il loro figlio che avevano smarrito. Lungi dal voler indicare la distrazione dei genitori, questa ricerca, che ha felice esito “dopo tre giorni” (v. 46), allude a un’altra ricerca e a un’altra Pasqua, la Pasqua di resurrezione del Signore Gesù “al terzo giorno” (Lc 24,7.46). E come il Risorto sarà incontrato e riconosciuto dai due discepoli di Emmaus nell’atto di spiegare loro le Scritture (cf. Lc 24,32), così i genitori di Gesù lo trovano mentre al tempio ascolta i maestri e li interroga sulle Scritture. Sempre noi possiamo incontrare Gesù nelle Scritture.

 Il Gesù che dialoga con i maestri d’Israele suggerisce l’importanza per i cristiani di dialogare (ascoltare e interrogare) con la tradizione vivente d’Israele per meglio conoscere Gesù e incontrarlo nella realtà della sua appartenenza al popolo ebraico. I genitori devono cercare il figlio, restano stupiti al trovarlo, non comprendono le sue parole; i maestri e coloro che ascoltano Gesù restano stupiti della sua intelligenza e delle sue risposte: tra Gesù e gli ambienti della sua educazione si stabilisce uno scarto che corrisponde al novum che Dio opera e che diviene l’occasione, per i famigliari come per i maestri, di discernere l’intervento divino e di operare il salto della fede. È la dissonanza che permette la scoperta. È nello scarto e nell’asimmetria che avviene la rivelazione.


LUCIANO MANICARDI
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