Casati - 11 novembre 2012 XXXII Tempo Ordinario
1Re 17,10-16
Eb 9,24-28
Mc 12,38-44
Eb 9,24-28
Mc 12,38-44
Siamo sul finire dell'anno della liturgia. E tra gli ultimi fotogrammi, prima del discorso sulla fine del mondo, immagine da custodire, il volto della vedova povera del Vangelo.
Per la trasparenza del suo gesto appartiene ai puri di cuore. Il Maestro fa testamento e ci lascia questa maestra; se ne va, ma non ci abbandona, continua a tenerci la lezione fondamentale attraverso questa maestra. Iniziò la sua attività con la suocera di Pietro che serviva; ora chiude chiamandoci ad osservare questa donna, vedova, miracolo compiuto del Vangelo. Queste due donne che non contano rappresentano il principio e la fine del ministero, esse raccolgono l'eredità riconoscendo, con il loro dono e il loro servizio, il Signore, colui che ha fatto dono della sua vita, e che è stato in mezzo a noi come colui che serve. Nel brano vi è una contrapposizione: scribi, vedove povere; gli scribi che passeggiano in vesti lunghe, amano i saluti nelle piazze, i primi seggi nelle sinagoghe, i primi posti nelle cene, e poi divorano le case delle vedove e, per finta, a lungo pregano. La potenza di Gesù non ha nulla a che vedere con la sapienza dei ricchi. I discepoli che cosa prenderanno come punto di riferimento, ciò che vale davanti agli uomini o ciò che vale davanti a Dio? Getta nel silenzio , getta tutto: aveva due denari, getta con il cuore retto e puro. Questa vedova ha il cuore puro, non ha seconde intenzioni, non è divisa fra Dio e qualcos'altro. Gli scribi sì, i ricchi sì; sono malati di strabismo spirituale, con un occhio guardano a Dio, ma con l'altro guardano la gente da cui vogliono farsi ammirare, guardano i conti in banca. Dove va il nostro sguardo, dove va la nostra vita? Quale immagine di chiesa stiamo offrendo a questa generazione, fin troppo consumata dal mito del successo, dal desiderio dell'esibizione? Quando un uomo o una donna del nostro tempo fa riferimento alla chiesa, la trova più facilmente nell'immagine di coloro che passeggiano con lunghe vesti, e hanno palchi nelle piazze, primi posti nelle liturgie civili e si gloriano di nomi altisonanti o lo trova nell'immagine della vedova povera del vangelo? Dobbiamo confessarlo, permangono usi e costumi ecclesiastici che stridono paurosamente con questa figura, una delle ultime, del vangelo, figura di donna su cui Gesù porta il nostro sguardo sedotto purtroppo da altri, mondani, criteri. Gesù chiama i suoi discepoli, oggi chiama noi, e dà un insegnamento autorevole: "in verità vi dico". Mette sulla cattedra la donna, spodestando dalla cattedra coloro che vi erano saliti illegittimamente: "Sulla cattedra di Mosè si sono insediati scribi e farisei". La donna insegna la segretezza del vangelo, il nascondimento della carità, la totalità del dono: "Ha dato tutta intera la sua vita". È un gesto estremo, che dice la fede estrema in Dio. Se dai del superfluo, puoi confidare ancora su ciò che ti rimane, è un bene sicuro, un bene a cui puoi attingere risorse per la vita. Ma sei hai dato tutto? L'unico su cui puoi confidare è il tuo Dio. Compagna, compagna fedele della vedova povera del vangelo, l'altra vedova, anch'essa sul finire dell'anno liturgico, la vedova di Zarepta che raccoglieva legna alle porte della città, anch'essa chiamata dal profeta a un gesto estremo. Non le rimane che un pugno di farina nella giara e un po' d'olio nell'orcio: "Ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò per cuocerla per me e per mio figlio, la mangeremo e poi moriremo". Siamo già all'estremo della vita e il profeta chiede un "prima", ancora più sconcertante: "Prepara prima una piccola focaccia e portamela". "Prima" e la parola richiama il rito delle primizie nella tradizione ebraica. Dare a Dio le prime cose che nascono, quando ancora non sai se ne verranno altre per te, è il gesto dell'estremo abbandono, dell'estrema fiducia, dell'estrema fede. Che ha una promessa: "La farina nella giara non si esaurirà, e l'orcio dell'olio non si svuoterà finché il Signore farà piovere sulla terra". Non sarà per questo, me lo chiedo con tristezza, che le scorte della terra sembrano esaurirsi. Perché abbiamo fatto dei beni un idolo, e, lontani dalla fede delle due vedove, nemmeno ci rimane il coraggio di dare il superfluo.
Fonte:sullasoglia
Per la trasparenza del suo gesto appartiene ai puri di cuore. Il Maestro fa testamento e ci lascia questa maestra; se ne va, ma non ci abbandona, continua a tenerci la lezione fondamentale attraverso questa maestra. Iniziò la sua attività con la suocera di Pietro che serviva; ora chiude chiamandoci ad osservare questa donna, vedova, miracolo compiuto del Vangelo. Queste due donne che non contano rappresentano il principio e la fine del ministero, esse raccolgono l'eredità riconoscendo, con il loro dono e il loro servizio, il Signore, colui che ha fatto dono della sua vita, e che è stato in mezzo a noi come colui che serve. Nel brano vi è una contrapposizione: scribi, vedove povere; gli scribi che passeggiano in vesti lunghe, amano i saluti nelle piazze, i primi seggi nelle sinagoghe, i primi posti nelle cene, e poi divorano le case delle vedove e, per finta, a lungo pregano. La potenza di Gesù non ha nulla a che vedere con la sapienza dei ricchi. I discepoli che cosa prenderanno come punto di riferimento, ciò che vale davanti agli uomini o ciò che vale davanti a Dio? Getta nel silenzio , getta tutto: aveva due denari, getta con il cuore retto e puro. Questa vedova ha il cuore puro, non ha seconde intenzioni, non è divisa fra Dio e qualcos'altro. Gli scribi sì, i ricchi sì; sono malati di strabismo spirituale, con un occhio guardano a Dio, ma con l'altro guardano la gente da cui vogliono farsi ammirare, guardano i conti in banca. Dove va il nostro sguardo, dove va la nostra vita? Quale immagine di chiesa stiamo offrendo a questa generazione, fin troppo consumata dal mito del successo, dal desiderio dell'esibizione? Quando un uomo o una donna del nostro tempo fa riferimento alla chiesa, la trova più facilmente nell'immagine di coloro che passeggiano con lunghe vesti, e hanno palchi nelle piazze, primi posti nelle liturgie civili e si gloriano di nomi altisonanti o lo trova nell'immagine della vedova povera del vangelo? Dobbiamo confessarlo, permangono usi e costumi ecclesiastici che stridono paurosamente con questa figura, una delle ultime, del vangelo, figura di donna su cui Gesù porta il nostro sguardo sedotto purtroppo da altri, mondani, criteri. Gesù chiama i suoi discepoli, oggi chiama noi, e dà un insegnamento autorevole: "in verità vi dico". Mette sulla cattedra la donna, spodestando dalla cattedra coloro che vi erano saliti illegittimamente: "Sulla cattedra di Mosè si sono insediati scribi e farisei". La donna insegna la segretezza del vangelo, il nascondimento della carità, la totalità del dono: "Ha dato tutta intera la sua vita". È un gesto estremo, che dice la fede estrema in Dio. Se dai del superfluo, puoi confidare ancora su ciò che ti rimane, è un bene sicuro, un bene a cui puoi attingere risorse per la vita. Ma sei hai dato tutto? L'unico su cui puoi confidare è il tuo Dio. Compagna, compagna fedele della vedova povera del vangelo, l'altra vedova, anch'essa sul finire dell'anno liturgico, la vedova di Zarepta che raccoglieva legna alle porte della città, anch'essa chiamata dal profeta a un gesto estremo. Non le rimane che un pugno di farina nella giara e un po' d'olio nell'orcio: "Ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò per cuocerla per me e per mio figlio, la mangeremo e poi moriremo". Siamo già all'estremo della vita e il profeta chiede un "prima", ancora più sconcertante: "Prepara prima una piccola focaccia e portamela". "Prima" e la parola richiama il rito delle primizie nella tradizione ebraica. Dare a Dio le prime cose che nascono, quando ancora non sai se ne verranno altre per te, è il gesto dell'estremo abbandono, dell'estrema fiducia, dell'estrema fede. Che ha una promessa: "La farina nella giara non si esaurirà, e l'orcio dell'olio non si svuoterà finché il Signore farà piovere sulla terra". Non sarà per questo, me lo chiedo con tristezza, che le scorte della terra sembrano esaurirsi. Perché abbiamo fatto dei beni un idolo, e, lontani dalla fede delle due vedove, nemmeno ci rimane il coraggio di dare il superfluo.
Fonte:sullasoglia