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Bruni - 16 settembre 2012 XXIV Tempo Ordinario

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Giancarlo Bruni,  appartiene all'Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose.


Letture: 
Is 50,5-9°; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35.
«Ma voi, chi dite che io sia?»

1. Gesù sta dirigendosi verso i villaggi di Cesarea di Filippo, una fase del suo itinerario sta per concludersi e la salita verso Gerusalemme sta per iniziare (Mc 10,32). Salita preceduta da una pausa di riflessione.
Egli avverte l’urgenza di fermarsi e di fare il punto della situazione su una questione di decisiva importanza, la sua identità e di riflesso quella dei suoi seguaci, e lo fa interrogando i discepoli stessi: «Chi dice la gente che io sia?» (Mc 8,27): «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti» (Mc 8,28). La folla, secondo la versione dei discepoli, ha visto in Gesù un inviato di Dio venuto ad alleviare il dolore di molti aprendo orizzonti di speranza; davvero in lui irrompe la passione di Dio per l’uomo povero, senza risorse, senza qualità; davvero in lui rivive il fuoco profetico evidente come non mai in Elia e nel Battista. Una risposta, questa della gente, indubbiamente alta anche se non esaustiva e sempre bisognosa di puntualizzazioni, Gesù infatti mai acconsentirà al desiderio della folla di divenirne il governatore politico, un Gesù a cui preme in modo particolare di conoscere quale idea si sono fatti di lui i discepoli a lui vicini: «E voi chi dite che io sia?» (Mc 8,29). Domanda a cui risponde Pietro a nome di tutti: «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29), e a cui segue l’imposizione fatta a tutti da parte di Gesù di non parlare di lui a nessuno (Mc 8,30). Ragione di un diniego che ha la sua spiegazione nel seguito del racconto.
2. La risposta di Pietro in sé è esaustiva, quel maestro di sapienza e quella personificazione del profetismo è il Cristo (Mc 1,1), è il Figlio di Dio (Mc 1,1), è l’amato in maniera unica (Mc 1,14). Questa la sua identità confermata dagli stessi spiriti immondi, metafora dell’intelligenza spoglia di amore votata alla lucida e programmata rovina dell’uomo (Mc 1,24; 3,11; 5,7), e tuttavia anche nei discepoli interpretata in chiave di potere politico (Mc 8,32; 10,35-37). Un sapere dimezzato che costringe Gesù a rompere gli indugi e a parlare «apertamente» di «Figlio dell’uomo che doveva molto soffrire…essere riprovato…venire ucciso …risuscitare» (Mc 8,31-32). Figlio di Dio sì ma nella linea del Figlio dell’uomo, personaggio proprio alla tradizione apocalittica (Dn 7,13) a indicare il Messia come colui che viene dall’alto a compiere l’opera dell’alto attraverso la via del patire. Un percorso obbligato, un dovere: perché? Per una ragione teologica, la necessità di rivelare Dio come amore fino alla croce spazzandone via ogni altra immagine; per una ragione antropologica, la necessità di restituire l’uomo alla sua cruda verità di capace di male e di incapace di sopportare il giusto, infastidito dalla sua stessa presenza ; per una ragione terapeutica, solo lo sguardo d’amore della vittima è potenza capace di restituire al bene il cuore violento. Gesù, di questo Dio innocente che ama l’uomo non innocente nella speranza di riscattarlo con un amore senza condizioni, è adempiuta icona in perfetta libertà (Gv 10,18). Liberamente ha detto sì alla via di Dio e liberamente ha detto no alla via della folla e di Pietro, il quale «lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo» (Mc 8,32), ma «egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). Pietro rappresenta una Chiesa che non ha mai cessato di rimproverare a Gesù il suo no radicale all’assunzione del potere culturale, economico e politico per imporre il proprio orizzonte di pensiero, una Chiesa in Pietro definita da Gesù satanica, avversaria del modo di pensare di Dio mettendo alla prova un Gesù quanto mai tagliente nel precisare le ragioni della sequela: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34).
3. Il discorso sull’identità del discepolo è posto, tale è il chiamato da Gesù di Nazaret a stare con lui reso partecipe del suo progetto, del suo modo di condurlo e del suo destino di morte-resurrezione. Tutto questo nella libertà oltre ogni determinismo, ogni costrizione e ogni seduzione: «Se qualcuno vuole…». Senza sottintesi si tratta di «rinnegare se stessi» e di «perdere se stessi» (Mc 8,34-35) nel riconoscere che non l’io ma un altro dal sé accolto al centro del sé è colui che detta il cammino al sé: divenire segni della prossimità viscerale di Cristo arrecando meno dolore possibile e alleviando più dolore possibile, e divenire segni del coraggio profetico di Cristo risvegliando le menti alla conoscenza delle cause che sono all’origine del molto patire, i cuori di pietra, l’astrazione ideologica e istituzioni autoreferenziali. E ancora divenire segni che vi è sempre un terzo giorno di resurrezione (Mc 8,31; Os 6,2) per chi ha ritenuto che sotto il sole nulla è paragonabile al sapersi eletti a divenire libero e appassionato riflesso della sua commozione e della sua franchezza. Nella quotidianità di giorni posti sotto il segno della «propria croce» (Mc 8,34), simbolo di dedizione ad alto prezzo e via di resurrezione.

Fonte: toscanaoggi
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