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VI domenica di Pasqua

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29 maggio 2011 - Cristiani credibili
Viviamo tempi difficili, inutile negarlo.
Difficili umanamente, difficili cristianamente. 
Il futuro è denso di nubi scure e il rischio di vedere sempre e solo il negativo rischia di contagiare anche i cristiani più virtuosi.
Non so a voi, ma a me il clima di contrapposizione feroce delle idee e delle posizioni mette profondamente a disagio. Si è di qua o di là, di destra o di sinistra, credenti o atei, di una squadra o dell’altra. E se uno non si ritrovasse?
La cronaca aumenta il disagio, per noi cattolici, quando leggiamo di comportamenti incomprensibili da parte di coloro che dovrebbe condurre il gregge e che, invece, lo opprimono con la violenza.
Eppure siamo ancora qui a meditare un vangelo pasquale, di resurrezione, di fiducia, di gioia e conversione.
Un vangelo che ci indica una strada, difficile, ma possibile, per custodire la speranza, per dare ascolto alla foresta che cresce e non lasciarci intimorire dal frastuono dell’albero che cade.

Soccorso
Gesù è chiaro: il mondo non lo vede presente, parla di lui come di un grande personaggio del passato, come di un simpatico profeta finito male, come accade a molti profeti; ma i discepoli, afferma il Maestro, continuano a vederlo, lo riconoscono, lo annunciano, lo ascoltano, lo pregano. 
Il primo dono che Gesù promette ai discepoli intimoriti è il Paracleto, cioè il soccorritore, l’aiutante, l’intercessore, che ci aiuta a ricordare le parole del Maestro, che ci aiuta a vedere le cose in maniera completa.
Di questo abbiamo bisogno, urgente: di un aiuto che ci aiuti a leggere la grande storia e la nostra storia personale alla luce della fede. Le cose che accadono, allora, acquistano una luce diversa, con un orizzonte di riferimento più ampio, una prospettiva di salvezza, di redenzione che Dio realizza in mezzo all’umanità inquieta.
Il soccorso che Dio ci manda è funzionale alla nostra missione: i discepoli che “vedono” Gesù, che si accorgono della sua presenza, sono invitati ad annunciare il nuovo modo di vivere che Dio realizza attraverso la comunità dei salvati, la Chiesa, appunto.

Filippo
Se è davvero così, allora, la difficoltà diventa straordinaria opportunità, occasione di annuncio, ragione di conversione.
Ne sa qualcosa Filippo che, a causa della persecuzione che si è scatenata contro la primitiva comunità, è fuggito e si ritrova in Samaria, la terra abbandonata, la terra eretica, la sposa infedele che Gesù stesso ha cercato di sedurre e di riconquistare.
La fuga diventa luogo per l’annuncio e conversione di nuovi discepoli.
Se la Chiesa in occidente, nell’attuale complessa situazione storica, la smettesse di lamentarsi, e ricominciasse semplicemente a fare la Chiesa, cioè ad annunciare nella gioia Gesù Cristo, semplificando il proprio linguaggio, limando le proprie incoerenze, alleggerendo le proprie elefantiache strutture, forse potrebbe fare la stessa esperienza che ha fatto Filippo.
Ad una condizione, come ammonisce Gesù: restare fedeli al comandamento dell’amore, ad ogni costo.
Solo il comandamento dell’amore, in questi tempi, è in grado di perforare la spessa corazza anticristiana e neoclericale che abita la nostra società fintamente cristiana.

Rendere ragione
Dimorare nell’amore, non scoraggiarsi e approfondire la fede, come suggerisce Pietro.
Il nostro cristianesimo occidentale oscilla fra due eccessi ugualmente pericolosi: il ritorno ad un clima di chiusura e di contrapposizione col mondo innalzando inutili barriere nei confronti degli altri ed il rischio di cedere ad un cristianesimo emotivo e popolare, che segue le apparizioni e dimentica il deposito della fede. Davanti alla chiusura e al misticismo semplificato e superstizioso Papa Benedetto propone, come da sempre la Chiesa propone, un’alleanza fra intelligenza e fede, fra conoscenza e spiritualità.
Solo con la fatica dello studio, della comprensione dei testi, della preghiera feconda e motivata, della ricerca umile della verità possiamo incrociare le attese dell’uomo contemporaneo alla ricerca di senso.
Così, diverremo capaci di rendere ragione della speranza che è in noi.


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