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VI domenica di Pasqua (Luciano Manicardi)

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domenica 29 maggio 2011
Anno A
At 8,5-8.14-17; Sal 65; 1Pt 3,15-18; Gv 14,15-21
Prima di passare da questo mondo al Padre, Gesù promette ai suoi discepoli il dono dello Spirito, del Paraclito, ovvero dell’avvocato difensore che proteggerà i discepoli stessi nella lotta che dovranno sostenere in un mondo ostile (vangelo); questo Spirito guida la presenza cristiana nel mondo sulla via della mitezza e del rispetto degli “altri”, i non credenti (II lettura) e accompagna la predicazione degli apostoli che dà vita a nuove comunità cristiane (I lettura).
Dall’evento pasquale sgorga la speranza come responsabilità dei cristiani. Di essa i cristiani devono essere “sempre pronti a rispondere a chiunque ne chieda loro conto” (1Pt 3,15). “Sempre”, dunque in ogni ambito e momento della vita; “a chiunque”, dunque non a qualcuno sì e ad altri no, ma a tutti. Inoltre di essa i cristiani devono “rispondere”, cioè divenire responsabili: è la testimonianza che solo loro possono dare al mondo. Chi chiede conto della speranza, ne chiede anche un racconto: nella storia i cristiani si collocano come narratori di speranza. Prima ancora che in rapporto agli uomini, la speranza è responsabilità del cristiano in rapporto a Dio, è risposta a Colui che l’ha chiamato alla fede e alla speranza: la “speranza della vocazione” (Ef 1,18) è la speranza dischiusa dalla chiamata divina in Cristo Gesù. La speranza cristiana come responsabilità si situa pertanto tra chiamata di Dio e domanda degli uomini: è responsabilità unica e duplice al tempo stesso, come il comando di amare Dio e il prossimo è duplice e unico al tempo stesso (cf. Mt 22,34-40; Mc 12,28-34; Lc 10,25-28).

La nascita della chiesa in Samaria procede dall’annuncio di Cristo (“Filippo annunciò loro il Cristo”: At 8,5) e dalladiscesa dello Spirito (“Pietro e Giovanni imposero loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito santo”: At 8,17). Il rapporto di collaborazione e fiducia tra chiesa madre di Gerusalemme (cf. At 8,14) e la nascente comunità in Samaria dice come laparola del vangelo e lo Spirito santo superano le barriere culturali e le separazioni etniche, le divisioni religiose e gli odi atavici: tra Giudei e Samaritani, infatti, non intercorrevano rapporti (cf. Gv 4,9) a seguito di una storia ormai antica che protraeva nel tempo i suoi strascichi di incomunicabilità. I frutti della resurrezione si misurano anche in questa capacità di superare le rivalità antecedenti trovando unità e comunione in Cristo.
Il vangelo presenta la promessa del dono dello Spirito da parte di Gesù, ma anche la promessa della sua venuta: “Ritornerò da voi” (lett.: “vengo a voi”: Gv 14,18). Lapreghiera cristiana, che sempre avviene nello Spirito e in Cristo, sarà anche sempre invocazione dello Spirito, epiclesi, e invocazione della venuta gloriosa del Signore, Maranà tha. Ovvero, avrà sempre una connotazione escatologica determinante. Il Cristo, inoltre, promette anche la sua intercessione, la sua preghiera al Padre per i discepoli (“Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito”: Gv 14,16) e questa preghiera di Gesù è lo spazio al cui interno avviene ogni preghiera cristiana.

Lo Spirito che Gesù promette sarà nel discepolo (cf. Gv 14,17) diventando principio di vita interiore e interiorizzando in lui la presenza di Cristo. La sequenza di Pentecoste canta lo Spirito quale dulcis hospes animae (e ancheconsolator optime, dulce refrigerium). La dolcezza e la tenerezza che furono del Cristo, sono anche dello Spirito che spesso nella tradizione è stato evocato con immagini materne. L’azione dello Spirito nel credente è quella di creare in lui una sorgente di vita per gli altri, anzi, di fare di lui uno spazio di vita per gli altri, capace di generare e dare vita. Lo Spirito, che è promessa e dono del Risorto, è anche tenerezza materna. E se esso insegna al cristiano a pregare, lo fa proprio come una madre: “Lo Spirito santo ci insegna a gridare ‘Abbà’ comportandosi come una madre che insegna al proprio figlio a chiamare ‘papà’ e ripete tale nome con lui finché lo porta alla consuetudine di chiamare il papà anche nel sonno” (Diadoco di Fotica).
Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
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Fonte: monasterodibose
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