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Geremia. Questo tempio è un covo di ladri

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Il libro di Geremia è il secondo tra i profeti maggiori, ma è il primo come ampiezza di materiale e ricchezza di informazione storico-biografica; è unico per la ricchezza psicologica e per quanto lascia intravedere dell'azione misteriosa di Dio nell'animo del profeta. Colpisce in effetti l'abbondanza di racconti sulle vicende personali del profeta, nei quali ci è proposta una vivace testimonianza di come la missione profetica fosse compresa e vissuta dai suoi protagonisti.

ALLE PORTE DEL TEMPIO DI GERUSALEMME
           
Dopo la narrazione della sua vocazione profetica e la presentazione dei suoi primi interventi pubblici (capitoli 1-6), inizia con il capitolo 7 una nuova sezione del libro, inaugurata da un discorso proclamato alle porte del tempio di Gerusalemme (7,2), postazione attraverso la quale dovevano transitare tutti i fedeli che si recavano al santuario per offrire sacrifici e innalzare preghiere. Dal capitolo 26 apprendiamo che il discorso che segue fu pronunciato nell'anno in cui re Yoyaqim salì al trono (609/608 a.C.). La presa di parola del profeta è assai estesa, ma il discorso destinato al popolo ha una chiara delimitazione: si apre con la "formula del messaggero" (così dice il Signore), seguita da un imperativo (v. 3) e si chiude al v. 15; il seguito infatti è un ordine che Dio rivolge a Geremia, con il quale gli proibisce di intercedere per il suo popolo (vv. 16ss.).
 L'inizio annuncia il tema affrontato da Geremia, come si ricava dal fatto che qui ricorrono i vocaboli che poi ritmeranno tutto il discorso al popolo:

Così dice il Signore degli eserciti, Dio d'Israele:
Rendete buone la vostra condotta e le vostre azioni,
e io vi farò abitare in questo luogo.
Non confidate in parole menzognere ripetendo:
"Questo è il tempio del Signore,
il tempio del Signore,
il tempio del Signore!"
(vv. 3-4).

CONTRO LE FALSE SICUREZZE

Il profeta si contrappone a una fiducia o a un senso di sicurezza generato nel popolo sulla base di unaparola; si tratta di una parola che non corrisponde a quella divina, come risulta dal v. 13: "poiché avete compiuto tutte queste azioni - oracolo del Signore - e, quando vi ho parlato con premura e insistenza, non mi avete ascoltato e quando vi ho chiamato non mi avete risposto".
Che tipo di parola è quella che si contrapponeva a Dio? Dal contesto sembra avesse come punto focale il luogo di culto: vi era dunque chi proclamava che il tempio avrebbe in ogni caso garantito al popolo pace e sicurezza, nonostante il nemico stesse per invadere il paese. Il tempio è descritto in diversi passi della Bibbia come la sede della presenza divina (cfr. 1 Re 8,10ss; Sal 27,4; 42,5; 76,3; 84) e in alcune correnti di pensiero aveva fatto breccia la convinzione che il tempio di Gerusalemme rappresentasse il segno dell'elezione divina, come mostra la formula, che ricorre spesso nel libro del Deuteronomio, secondo la quale il tempio è "il luogo scelto da Dio per collocare e farvi abitare il suo nome". A parere di alcuni interpreti, il collegamento tra tempio ed elezione si sarebbe imposto a seguito di un evento storico: la salvezza di Gerusalemme in occasione dell'assedio del re assiro Sennacherib sotto il re Ezechia (nel 701 a.C.; cfr. 2 Re 19,34 e Is 37,35). Il tempio salvato nel 701 era il segno visibile dell'elezione divina e il ricordo della miracolosa liberazione infondeva la fiducia che il tempio sarebbe stato sempre un'inviolabile protezione (v. 4). Si tratta di una ipotesi plausibile.

MENTRE IL POPOLO SI AFFIDA A PAROLE MENZOGNERE

In Ger 7, tuttavia, l'accusa verte, più che sul valore del tempio, sulla fiducia accordata dal popolo aparole menzognere (v. 8), un tema ricorrente in tutta la prima sezione del libro (cc. 4-9). Tali parole menzognere sono quelle pronunciate dai falsi profeti, le quali conducono a rifiutare la parola minacciosa del vero profeta, ritenendo che Dio non si comporti affatto nel modo che questi proclama, come mostrano le seguenti affermazioni:

Hanno rinnegato il Signore,
hanno proclamato: "Non esiste!
Non verrà sopra di noi la sventura,
non vedremo né spada né fame".
I profeti sono diventati vento,
la sua parola non è in loro
(Ger 5,12-13).

Tali parole menzognere si rivelano dannose per il popolo perché, stravolgendo la reale situazione, impediscono agli ascoltatori di Geremia, l'unica azione che potrebbe arrestare il giudizio imminente, cioè il pentimento. A questa fiducia il profeta contrappone le esigenze del patto stipulato con Dio:

Se davvero renderete buone
la vostra condotta e le vostre azioni,
se praticherete la giustizia gli uni verso gli altri,
se non opprimerete lo straniero, l'orfano e la vedova,
se non spargerete sangue innocente in questo luogo
e se non seguirete per vostra disgrazia dèi stranieri,
io vi farò abitare in questo luogo,
nella terra che diedi ai vostri padri
da sempre e per sempre
(7,5-7).

Con tali richieste si mostra che le promesse divine non dipendono soltanto dalla fedeltà di Dio; esponendo le clausole contenute nel patto, esse illustrano infatti gli impegni pubblicamente assunti dal partner umano: il profeta non sta facendo una promessa, ma illustrando il fondamento dell'accusa successiva:

Ma voi confidate in parole false,
che non giovano: rubare, uccidere,
commettere adulterio, giurare il falso,
bruciare incenso a Baal,
seguire altri dèi che non conoscevate.
Poi venite e vi presentate davanti a me
in questo tempio,
sul quale è invocato il mio nome,
e dite: "Siamo salvi!",
e poi continuate a compiere tutti questi abomini
(7,8-10).

GEREMIA INVITA A RIPRENDERE LA VIA DI DIO

Il profeta non legge dunque la vicenda del popolo a partire da un suo personale punto di vista, ma alla luce del patto con Dio: poiché le esigenze del patto sono state trasgredite, non è più possibile una relazione autentica con Dio. Geremia invita a questo punto a riflettere sulla sorte del tempio di Silo, distrutto proprio alla luce del principio sopra esposto: il culto prestato a Dio, anche se rispettato nei suoi rituali, non fornisce alcuna garanzia; solo la fedeltà alle esigenze del patto rende il luogo di culto sede dell'incontro autentico tra Dio e i suoi fedeli.
Geremia non contesta dunque il luogo di culto in quanto tale, piuttosto censura il fondamento della falsa sicurezza sorta nel suo popolo. Che cosa darà futuro al popolo? Solo la fedeltà al patto con Dio, che si esprime nell'attuazione dei comandamenti (cfr. v. 9). Allorché il patto è infranto, nulla può arrestare la rovina della nazione (nel libro la disfatta militare e politica, letta come punizione divina) se non la conversione. Tra l'annuncio profetico della necessità della conversione e il popolo si frappone, tuttavia, ora un messaggio deviante: quello di pretesi portavoce di Dio che, facendo poggiare la fiducia del popolo su false premesse, non consentono di assumere con decisione la propria responsabilità nei confronti del futuro. Nessuna critica al culto in quanto tale è dunque qui in atto, nessun rifiuto del tempio, il quale rimane invece il segno di una relazione (cioè il luogo sul quale è invocato il nome del Signore, sebbene il popolo l'abbia ridotto a un covo di ladri, v. 11). Se tuttavia la relazione è interrotta, anche il segno non ha più alcun valore e può dunque essere dismesso.

ANCHE GESÙ AVRÀ PAROLE DURE CONTRO IL TEMPIO

Nulla di più prezioso del segno religioso del tempio nella tradizione biblica; eppure nessun tempio è rimasto di quelli successivamente ricostruiti. Anche Gesù di Nazareth avrà parole dure nei confronti del tempio, anche lui chiederà conversione e inviterà a riprendere la via di Dio. Con il suo messaggio anch'egli ribadisce l'esigenza espressa dai profeti: ciò che è sacro agli occhi di Dio non è una struttura, un'istituzione, un simbolo, ma la relazione che egli offre a chi riconosce la sua radicale distanza dal male e il suo attivo operare per la giustizia; solo una vita che prende forma da tale relazione può guardare con fiducia al futuro, evitando di appoggiarsi su fragili e false certezze.

FLAVIO DALLA VECCHIA


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