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EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO - 4 (Paola Radif - Il Cittadino)

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Capitolo secondo (Prima Parte)
Gesù, il Maestro

Partendo, dunque, dall’analisi delle difficoltà e dei problemi che rischiano di paralizzare o intralciare l’opera educativa, i vescovi, come primo atteggiamento concreto, invitano a mettersi, cosa che loro per primi fanno, in ascolto di Gesù che non è un maestro, ma “il” maestro. Egli è il “maestro buono” del vangelo, che ha parlato e ha mostrato nella vita il suo insegnamento. Educando un popolo che gli appariva sbandato e senza pastore, il suo primo gesto è stato quello di “insegnare loro molte cose”, perché spinto da un moto di compassione.

La folla che lo seguiva, pur provenendo da terre e città diverse, era animata da un desiderio comune. Gesù non vede, tuttavia, una folla anonima, ma in essa scorge persone che soffrono per la mancanza di una guida autorevole o perché disorientate a causa di maestri inaffidabili. La “compassione” che Gesù prova non è un’emozione, né uno stato d’animo passeggero, ma è quel sentire di Dio di cui riferisce l’Esodo, che lo fece chinare sul popolo che gemeva in Egitto per prendersene pensiero.
La prima risposta di Gesù – si è detto – è l’insegnamento, nonostante la facile obiezione che potrebbe ritenere più opportuno provvedere prima al nutrimento. Ma Gesù è cosciente di essere anzitutto il Maestro: questo è il suo compito e con l’autorevolezza che gli viene dal Padre, indica le vie della vita autentica. Il popolo lo segue, si raduna ai suoi piedi, si nutre della parola che viene poi a completarsi col dono dei pani e dei pesci, moltiplicati per tutti.
L’ascolto della parola costituisce la premessa per la condivisione. S’intravede il cammino eucaristico della comunità cristiana che si raduna rendendo grazie per un dono che è tale in quanto venga condiviso. Così è stata la vita intera di Gesù: un continuo donarsi. Scrivono i vescovi: “Neppure il suo corpo ha tenuto per sé: ‘prendete’, ‘mangiate’”. Il suo insegnamento trova compimento nel dono della sua esistenza, che nell’Eucaristia si perpetua. Gesù è parola che illumina e pane che nutre, ma è anche l’amore che educa, così da poter dire: “Voi stessi date loro da mangiare”.
Il volto di Gesù educatore emerge anche in altre pagine evangeliche, come nel racconto dei due discepoli di Emmaus, a cui il viandante apre la mente e scalda il cuore, prima di lasciarsi riconoscere.
Il ruolo pedagogico di Dio, che cura la formazione del suo popolo, è evidenziato in tutto l’Antico Testamento, come analizza il documento mostrandone i momenti salienti. Il deserto, con la durezza di vita che implica, quella fame e quella sete che tentano allo scoraggiamento, sono state in realtà un banco di prova, per saper valutare l’importanza delle realtà spirituali: “l’uomo non vive di solo pane”. Dio non è un freddo dispensatore di prove e castighi, al contrario, è un tenero educatore, tanto che non c’è da stupirsi se “come un uomo corregge il figlio, così il Signore corregge te”.
La figura paterna di Dio in Osea assume anche i tratti di una madre, là dove egli si cura di Gerusalemme come fa colei che consola il figlio sulle ginocchia.
Nel Libro del Siracide Dio invece appare come educatore, attraverso la mediazione degli uomini, nella figura del maestro, che si sente padre del suo discepolo, al punto da volerlo “generare” nell’opera d’insegnamento, fino a farlo diventare adulto, capace di giudicare e scegliere.
La pedagogia di Dio trova la sua massima espressione in Cristo, nel quale si manifestano in pienezza la legge e i profeti: egli è la via, la verità, la vita.

Filo diretto col catechista
  • Se facessimo ai catechisti la domanda: “Come affrontare i nodi educativi che caratterizzano i rapporti col mondo giovanile? Come tentare di scioglierli?” di certo emergerebbero molti spunti validi, proposte di iniziative più coinvolgenti per mettersi in dialogo con le nuove generazioni. I catechisti sono sempre persone piuttosto concrete, che si sono formate sul campo e conoscono la psicologia di bambini e ragazzi.
Ma c’è una risposta che potrebbe forse emergere in seconda battuta. Risposta geniale nella sua semplicità, che tuttavia merita il primo posto: mettersi alla scuola di Gesù, come suggerisce il nostro documento. Il che vuol dire osservarlo, immedesimarsi fino a guardare, se possibile, la realtà con i suoi occhi, perché essa raggiunga il cuore e suggerisca nuove, inaspettate vie di comunicazione.
È indubbio che Gesù sia sempre davanti al catechista come riferimento, modello, maestro, amico. È il destinatario delle preghiere, dei pensieri che quotidianamente salgono a lui per chiedere protezione, aiuto, forza. Ma si tratta di fare dello sguardo verso Gesù il vero punto di partenza per inoltrarsi anche in sentieri inesplorati, che lo Spirito Santo saprà trovare per chi lo invoca.
Gesù, dice il vangelo, parlava con autorità. Il suo pulpito era una barca, un prato, una montagna. Per il catechista sarà già un ottimo risultato se, con semplicità, riuscirà, non a “salire in cattedra” ma a creare un collegamento per poter trasmettere un pizzico di entusiasmo a tanti giovani insoddisfatti che, a loro modo, cercano Dio senza saperlo.

Paola Radif
Fonte:ilcittadino.genova
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