Ebrei e cristiani: e pace fu (Enzo Bianchi - Avvenire)
Avvenire, 26 gennaio 2011
Fare memoria della shoah per noi cristiani significa anche rileggere l’atteggiamento tenuto per due millenni verso gli ebrei e, nel contempo, essere consapevoli della svolta storica cui abbiamo assistito in questi ultimi cinquant’anni, svolta cui non è certo stata estranea la tragedia del “male assoluto”. Se infatti vi è stato nei secoli un antigiudaismo cristiano teologico e pratico che, pur distinto dall’antisemitismo, di fatto ha finito per favorire il silenzio, l’indifferenza e la passività della quasi totalità dei cristiani e delle Chiese nell’ora della shoah, dobbiamo anche ricordare l’inatteso mutamento del rapporto tra Chiesa cattolica ed ebrei sopraggiunto con Giovanni XXIII: pochi mesi dopo l’elezione a papa, interviene sul testo della liturgia del Venerdì santo, abolendo dalla preghiera l’invocazione “pro perfidis judaeis” che era ripresa anche in occasione del battesimo degli ebrei convertiti; poi, in vista della preparazione del concilio da lui indetto, affida al cardinal Bea l’incarico di preparare la bozza per una dichiarazione sui rapporti tra Chiesa e popolo ebraico. Sarà la dichiarazione conciliare Nostra aetate: autentica svolta storica e teologica, avvenuta con l’autorevolezza massima per la Chiesa cattolica, quella di un concilio. Così recita quel documento: “quanto è stato commesso durante la passione (di Cristo) non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei del nostro tempo. E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti… La Chiesa inoltre deplora gli odii, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque” (NA 4, 28).
Sulla scia di questa dichiarazione e della nuova consapevolezza che essa manifestava, mons. Elchinger, seguito dal cardinal Bea, osò suggerire che i cristiani avanzassero una richiesta di perdono agli ebrei, come Paolo VI aveva chiesto perdono ai cristiani non cattolici per le colpe imputabili alla Chiesa nelle dolorose divisioni, ma neanche in quella pur propizia ora conciliare si ebbe il coraggio per un’umile confessione di colpa.
Così trascorsero quasi vent’anni dal concilio senza novità significative, durante i quali tuttavia la svolta fu confermata e mai smentita, finché Giovanni Paolo II, testimone diretto della barbarie antisemita, il 17 novembre 1980 a Magonza pronuncia una formula inedita, anzi contraddittoria a diciannove secoli di esegesi e teologia cristiana, in cui gli ebrei sono definiti “il popolo di Dio dell’antica alleanza che non è mai stata revocata” e in cui si afferma che “ebrei e cristiani, quali figli di Abramo, sono chiamati a essere benedizione per il mondo”. Si può notare la novità e l’audacia rispetto a tutto il magistero ecclesiastico precedente: il popolo di Dio comprende sia Israele che la Chiesa (popolo di Dio dell’antica e della nuova alleanza): la teologia della “sostituzione” è così abbandonata per sempre.
Sigillo alla confessione delle colpe dei cristiani nei confronti di Israele sarà la liturgia penitenziale officiata da Giovanni Paolo II e dai cardinali della curia romana in occasione del giubileo del 2000, in cui verrà proclamato con forza: “noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi tuoi figli e, chiedendoti perdono, vogliamo impegnarci in un’autentica fraternità con il popolo dell’alleanza”. Dalla prece “pro perfidis judaeis” alla richiesta del perdono; dal disprezzo e dall’odio al gesto di Giovanni Paolo II che infila un biglietto, contenente la richiesta a Dio di perdono, tra le fessure del Muro del pianto, quasi a scolpire nella pietra questa invocazione. E gesti di portata analoga sono proseguiti con Benedetto XVI: si pensi al pellegrinaggio ad Auschwitz o alla visita alla sinagoga di Roma.
La giornata della memoria ci ricorda allora che non siamo immuni dalla tentazione di ridestare quella logica di inimicizia che crea il nemico, o quella pretesa di possedere la verità contro l’altro o senza l’altro. Nessun cristiano però potrà più invocare l’ignoranza a propria scusante: ciascuno è e sarà responsabile in prima persona di una conferma o di una contraddizione a questa svolta…
Enzo Bianchi
Fonte: MonasterodiBose