Clicca

Il corpo e la bellezza (Armand Puig i Tàrrech - L'Osservatore Romano)

stampa la pagina
Si chiude il 5 settembre alla Venaria Reale di Torino la mostra "Gesù. Il corpo. Il volto nell'arte" curata da Timothy Verdon e organizzata dall'Associazione  Sant'Anselmo - Imago Veritatis in occasione dell'ostensione della Sindone. Pubblichiamo quasi  integralmente uno dei saggi del catalogo (Cinisello  Balsamo, Silvana editoriale, 2010, pagine 336).




Cos'è e cosa significa il corpo in un mondo che ne è affascinato? Una riscoperta antropologica liberante? Una forza vitale senza sosta? Una fonte di commercio e di denaro? Il mio "io" nella sua forma più meravigliosa e piacevole? Il fondamento di una corporeità che si inoltra sulle vie dello spirito? È difficile accordare una risposta a queste domande. La riflessione nel salmo 8, innescata secoli fa, non ha perso la sua gravità:  "Cos'è l'uomo perché te ne ricordi? Cos'è il figlio dell'uomo perché te ne curi?". Ma subito lo stesso salmista accenna una parola sapiente:  "Di gloria e d'onore lo hai coronato". L'uomo, tutto quello che è (le sue facoltà, anche il suo corpo), tutto è glorioso e degno. La corporeità non è una dimensione asservita dell'essere umano. Forse per ciò il salmo 40, nella versione greca dei Settanta, è stato ripreso nella Lettera agli Ebrei e messo nella bocca dell'Uomo per eccellenza. Cristo si rivolge così a Dio:  "Un corpo invece mi hai preparato (...) per fare, o Dio, la tua volontà" (10, 5-7). Il corpo di Gesù non è dunque un accidente della storia ma l'ostensione luminosa dell'amore di Dio. Il volto di Gesù non è anonimo:  attrae e domanda, consola e fa vivere, solleva e salva. In Gesù e per Gesù la corporeità è diventata un modo di essere di Dio stesso.
Nei decenni scorsi le abitudini personali sono cambiate. La vita umana è diventata più sedentaria, e il corpo viene obbligato a lunghi periodi di immobilità, è forzato ad adottare posizioni fisiche stancanti e nocive. È "normale" che il corpo si agiti giorno e notte, schiavo dei turni in un lavoro che non distingue tra giorni feriali e festivi. L'urgenza della produttività e del profitto squilibra la vita di molte persone. Nelle società occidentali, ma anche nelle economie emergenti (Cina, India), l'esaurimento ha sostituito la fatica. Il corpo resta senza capacità di reagire, non tanto per lo sforzo fisico quanto soprattutto per le tensioni estreme che deve assumere.
Dall'altra parte, il corpo ha molte possibilità per mantenersi e differire il momento in cui arriva la morte. In Europa, ad esempio, l'età media si è raddoppiata negli ultimi cent'anni; pure se in molti Paesi dell'Africa molte persone vivono la metà degli europei e in condizioni molto dure. Ma nella stessa Europa la qualità di vita oscilla, e non tutti possono vivere in modo degno il tramonto del proprio corpo. Nei centri storici e nelle periferie delle grandi città, ma anche nei quartieri ricchi e medi, ci sono tante persone anziane che vivono e muoiono nella solitudine. Nelle nuove strutture assistenziali, a volte non molto diverse dagli antichi cronicari, gli anziani sono soltanto "vecchi", cioè, persone considerate non produttive e accusate di consumare i mezzi economici dei più giovani. In modalità diverse, il corpo degli anziani è vittima dell'abbandono.

Nel caso dei giovani e degli adulti, costoro sono richiamati dal mercato a diventare adepti della "religione del corpo". Qui il corpo è vittima dello sfruttamento ideologico e commerciale. Il tema del corpo si situa ogni giorno al centro di tanti discorsi e decisioni, accanto ai temi affini (cibo, costumi, tempo libero), e in alcuni la fissazione per il proprio corpo porta addirittura a gravi problemi di salute. Il corpo non è più un affare privato, ma pubblico, e le persone vengono giudicate secondo il corpo che hanno:  le anoressie e le bulimie manifestano in modo drammatico disagi crescenti di fronte al proprio corpo. D'altronde, sale la spregiudicatezza nei confronti del corpo, e molti si vantano di avere una figura non curata o volutamente "controculturale". E anche queste trasgressioni sono diventate parte di un mercato che ha universalizzato il corpo umano per renderlo fonte di guadagno. Il potente mercato del corpo promuove la convinzione che è possibile sfidare il passare del tempo e preservare il proprio corpo da un tempo che sfugge. Bisogna "essere belli" a tutti i costi. Il corpo non può infiacchirsi come luogo inesauribile di soddisfazioni. Il corpo indossa le vesti di guardiano del benessere della persona. Dà al corpo tutto quello di cui ha bisogno, e lui ti ricompenserà:  così la pensano in tanti.
La spirale di contraddizioni intorno al corpo si manifesta anche nei bambini. Da una parte, costoro dedicano molte energie allo sport, all'allenamento del proprio corpo, e lo sport pervade ogni ambito della loro vita, anche della vita di non pochi adulti. Per molti genitori il corpo dei figli è diventato una vera precedenza. Dall'altra parte, sale il numero di bambini con un corpo quasi deformato dall'eccesso di peso, e aumentano le cliniche specializzate in questo problema. C'è uno squilibrio che trascina anche i bambini, forse le persone più indifese oltre ai giovani, in un mondo globale.
Se si guarda insieme al mondo della droga e a quello della ricerca scientifica, le contraddizioni sul corpo continuano. Un atteggiamento permissivo in nome delle libertà individuali, provoca che si vulnerino i diritti umani più fondamentali, tra cui la dignità del proprio corpo e, soprattutto, il diritto alla vita. La droga uccide sempre, lentamente o in modo rapido. Da una parte, si fa finta di non vedere che la tossicodipendenza annienta tanti corpi di persone che, nel migliore dei casi, diventano un'ombra di se stessi. Dall'altra parte, le scienze sperimentali (mediche, biochimiche, genetiche), arrogandosi capacità quasi "divine", si sforzano di controllare i processi riguardanti la "creazione" di nuovi corpi, auspicandosi che in un futuro non lontano si possano scegliere molte caratteristiche corporali nei bambini che devono nascere.
In un modo simile, la sessualità - una dimensione fondamentale del corpo umano - è presente nella cultura attuale con una notevole ambiguità. Il corpo come sesso è un riferimento onnipresente in una società che è figlia del Sessantotto - l'ultima grande rivoluzione che ha fatto l'Europa, secondo le parole di Andrea Riccardi. La decisione assoluta sul proprio corpo come espressione di libertà personale fa parte dei principi scaturiti da quella rivoluzione. Comunque, la liberazione sessuale, teorizzata e tante volte proclamata come scopo di una intera generazione, è caduta nelle braccia del mercato, oppure è in balìa dei sentimenti e delle passioni, considerati intoccabili. Il frantumarsi del rapporto vita-sesso ha lasciato il corpo senza approdi:  la donazione del proprio corpo è stata sostituita dal piacere corporale come esperienza massima. Il corpo, che è possibilità reale di immolazione per gli altri, è caduto nell'illusione dell'amore per se stesso. Il sesso ha perso la sua cornice vitale, la sua grandezza, ed è apparso il corpo ferito dal consumo sessuale. Questo consumo ha travolto quelli che credevano in un "corpo libero", ma non si rendevano conto che il male indebolisce i migliori sentimenti e rende cattivo quello che era sognato come bello. In più, il consumo di sesso ha condannato tante persone a essere vittime del commercio sessuale:  corpi venduti e sfruttati, vittime degli interessi di uomini senza scrupoli, avidi di denaro.
Tra tanti contrasti e paradossi, è difficile trovare una ubicazione per il corpo in un mondo che spesso lo dissacra, un mondo che tende a fargli perdere la bellezza originaria, radicata nel disegno divino, e la dignità senza condizioni, che il Figlio di Dio fatto corpo ha dato per sempre al corpo stesso. Tuttavia, bisogna affermare che c'è posto per il corpo, e che questo è da riscoprire e da costruire in un mondo che continua a domandarsi:  "Cos'è l'uomo perché te ne ricordi?" (Salmi, 8, 5). Il canone dei libri della Bibbia contiene un piccolo e prezioso libro:  il Cantico dei cantici. Si tratta di un poema costruito come dialogo tra un uomo e una donna che si amano con passione. Il testo, essenziale, mette in scena, quasi in modo esclusivo, i due personaggi, che esprimono a vicenda il sentimento inarrestabile, il desiderio ardente, la ricerca costante, il riposo nel trovarsi, il dialogo tra i corpi, la parola che riempie tutto. La sessualità umana e umanizzante, tenera e pacificante, di un erotismo accomunato all'amore e alla donazione, è il tema centrale di un libro che gira intorno al corpo. In ogni modo, il dialogo tra l'uomo e la donna non ha soltanto il corpo come orizzonte ma affonda nell'io dell'altra persona, che diventa il punto nodale:  il discorso sul corpo si inserisce nella realtà della persona umana che dà e riceve. Così la donna afferma, piena di convinzione:  "Il mio diletto è per me e io per lui" (Cantici, 2, 16).
Secondo il Cantico dei cantici, il rapporto tra uomo e donna è un rapporto tra uguali. L'amore non è "sessista", non distribuisce i ruoli:  chi domina e chi è dominato, chi è servito e chi serve, chi comanda e chi ubbidisce. Cercare la sottomissione dell'altro porta al conflitto, ma la sessualità umana non può essere una lotta di potere. Piuttosto la sessualità, il dialogo tra i corpi, si iscrive in una ricerca di eternità, nella convinzione che il rapporto non deve rompersi poiché si radica in un sentimento che oltrepassa i limiti della vita. Leggiamo:  "forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la passione". E ancora:  "(l'amore è) una fiamma del Signore" (Cantici, 8, 6). In altre parole, l'amore di Dio è sceso sulla terra, e l'amore umano è salito al cielo. Non è per caso che i grandi mistici, come il catalano Raimondo Lullo, parlassero del rapporto tra l'Amico e l'Amato, tra Dio e l'uomo. E Benedetto XVI sottolinea l'unità dell'amore, divino e umano:  "Amore di Dio e amore del prossimo si fondono insieme:  nel più piccolo incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio" (Deus caritas est, 15). Veramente, la radice dell'amore è soltanto una.
Orbene, il Cantico dei cantici mostra che la sessualità umana si pone in termini di dialogo, che corpo e parola vanno insieme. La parola costruisce il rapporto veramente umano, essa è la messaggera del cuore, la sua vera interprete. Ma essa è anche l'interprete del corpo, dei suoi bisogni e delle sue mancanze, dei periodi della vita in cui il corpo vive nell'esaltazione e dei momenti di disagio e degrado. La parola è l'araldo della corporeità, la nera effigies del corpo, quella realtà personale che trascende la pura materia organica e mostra che il corpo è soggetto di eternità, capax aeternitatis. È appunto la corporeità - non soltanto il corpo - la realtà espressa in modo travolgente dalla Sindone, custodita da secoli a Torino. L'uomo della Sindone viene raffigurato nella sua corporeità, attraverso un'immagine che evoca un corpo morto (quello di un uomo trafitto da una grande violenza) ma che punta verso una trasfigurazione corporale, verso una corporeità spirituale, trasformata (quella verificata nel corpo del risorto e dei risorti, il sòma pneumàtikon, il corpo spirituale, di cui parla l'apostolo Paolo nel capitolo 15 della Prima lettera ai Corinzi). Morte e vita si intrecciano in un unicum della storia umana. È l'esordio del corpo glorioso, non più schiavo della morte.
Il corpo ha dunque bisogno della parola e del cuore, che è la culla della parola. Senza il cuore e la parola, il corpo "materiale" sarebbe un piccolo, o grande, tiranno, che imporrebbe la sua dittatura. Il desiderio ("faccio quello che mi piace") e la disponibilità assoluta ("il corpo è mio, e ne faccio quello che voglio") si erigerebbero come i criteri dominanti di un signore capriccioso, il corpo, che vorrebbe dominare il cuore e la parola. Solo se il corpo diventa amico del cuore e della parola, smette di essere un dominatore autocrata e antipatico, uno che, in nome del benessere, rischia di rendere schiava la vita. Il corpo non può essere innalzato al di sopra di ogni altra realtà, né deve essere condannato a una sottomissione colpevole. L'uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio perché la parola e l'amore, che scaturiscono dal cuore, sono, con il corpo e nel corpo, dono del Creatore. Perciò il corpo non può concepirsi come un dominatore.  Forse, dopo quarant'anni, la  rivendicazione  dell'autonomia  delle decisioni riguardo al corpo ("il corpo è mio, e ne faccio quello che voglio") è diventata l'accettazione rassegnata  della sua dominazione ((il corpo è mio, e faccio quello che esso mi detta").
E, malgrado tutto, l'uomo, cioè, la persona nel suo insieme, è il re delle cose create (Salmi, 8, 7). Il mondo è stato affidato all'uomo perché lo custodisca e ne abbia cura, come un amministratore che si preoccupa dell'eredità a lui consegnata. C'è una responsabilità ricevuta da Dio perché la dimensione corporale-materiale venga inserita nella realtà personale (formata da un corpo animato e sensibile pure spiritualmente, memoria, intelligenza volontà), senza imporre le sue esigenze all'insieme di questa realtà.
Nel romanzo L'idiota di Dostoevskij uno dei personaggi domanda:  "Ma quale bellezza salverà il mondo?". È chiaro che il mondo può essere salvato grazie alla bellezza. In modo simile, il corpo è riscattato dalla morte e dalla distruzione grazie alla bellezza che vi è iscritta da Colui che lo ha modellato, infondendogli l'alito di vita (Genesi, 2, 7). La possibilità di salvezza del corpo sgorga dalla sua bellezza. Il corpo è un dono divino avvenuto nel giardino dell'Eden, non è opera umana ma divina. La creazione è un'esplosione di bontà e bellezza, volute e ordinate da Dio, amico degli uomini.
Perciò tante volte si afferma che la vera bellezza è quella che scaturisce dall'interno della persona. Anzi, la bellezza può irradiare da un corpo non affatto bello, ma da un corpo che comunica quello che è più verace, la verità stessa. In un'occasione fra Masseo, uno dei compagni di Francesco, gli chiese perché tutti lo cercassero e gli ubbidissero visto che il suo corpo non era attraente:  "Non hai il corpo bello, non avvantaggi gli altri in scienza, non sei nobile". Il poverello di Assisi rispose che Dio aveva scelto lui, "persona inutile e peccatrice", per confondere la bellezza del mondo e perché si capisse che soltanto da Dio venivano "ogni virtù e ogni bene". Il corpo più bello può non essere il corpo più attraente.
La fotografia del volto di una donna anziana, segnato dalle rughe, gli occhi stanchi ma vivi, la pelle inscurita dagli affanni, lascia intravedere prove e sofferenze, ma anche un'intimità di serena bellezza. Questo volto non è lontano da un'opera come quella del Cristo coronato di spine di un seguace del Beato Angelico, in cui il volto di un uomo colpito dalle aggressioni e coperto di ingiurie, non si rifugia nell'odio ma ha uno sguardo di misericordia e perdono. Il volto dell'anziana e di Cristo sofferente provocano repulsione soltanto quando la bellezza viene concepita come qualcosa di esteriore. Ma la bellezza esordisce quando si vive l'unione tra le persone, quando si è capaci di guardare negli occhi dell'altro, quando ci si avvicina a un uomo che lotta per la vita, quando l'amore diventa il cuore del mondo. Allora, il corpo viene salvato dall'amore, da una gratuità che non pone limiti.
La bellezza del corpo si manifesta senza condizioni nel giardino dell'Eden. Infatti la persona umana è creata senza nessun vestito che la copra. La bellezza originaria non è ancora ferita da nulla, e perciò l'uomo e la donna non devono vergognarsi di nulla. Il loro corpo appartiene all'ambito di ciò che è "buono", e la impronta divina riempie le loro persone. La nudità dell'Eden non è una scelta ma un segno che indica che la loro bellezza partecipa della luce, prima creatura. Tuttavia, la persona porta dall'inizio il marchio della debolezza, propria degli esseri creati:  uomo e donna sono creature, sono esseri usciti dal Creatore. La prima parola che lui rivolge a lei menziona la "carne" ("è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa", Genesi, 2, 23). Il corpo di Adamo ed Eva può perdere la bellezza del cuore, quella che li fa specialmente vicini a Dio. Il male, sempre, fa sparire la bellezza, e allora il corpo si deve coprire, incapace di resistere al sentimento di vergogna. Quando la bellezza e la bontà si separano, la nudità diventa scomoda. Ma, al contrario, se bellezza e bontà trionfano, se la donazione brilla nel buio di un mondo che invita a salvarsi da se stesso, allora si manifesta il corpo nudo di Colui che dà la vita, l'Uomo senza colpa, crocifisso ed esposto dinanzi tutti. La nudità di Cristo nella croce è, anch'essa, redentrice. In essa non c'è vergogna, ma perdono e salvezza. Il corpo nudo di Cristo, crocifisso e morto, sospeso nel patibolo, oppure sdraiato in grembo a sua Madre, oppure alzandosi nella gloria dall'abisso della morte, ripristina l'Adamo prima del peccato, cioè, la bellezza originaria, il corpo senza difetto uscito dalle mani del Padre.
Il corpo del Signore Gesù non è un elemento secondario nel disegno divino di salvezza. Dio non salva il mondo senza il corpo, ma nel corpo e attraverso il corpo. Dio si è fatto corpo nel corpo di Gesù, suo Figlio. La bellezza dell'essere umano, manifestata nei corpi di Adamo ed Eva, risiede in un corpo che è uno spazio pieno di sensibilità e di affetti, cioè lo spazio del cuore. Allo stesso modo, il corpo storico e glorioso di Gesù, nuovo Adamo - Logos-Parola di Dio che partecipa del lògos umano - restaura la bellezza ferita dal peccato e dalla morte. Così si rifà l'amicizia iniziale con Dio, e il corpo e i suoi linguaggi (letteratura, arte, musica, gestualità) diventano pienamente spirituali.
Dall'altra parte, occorre dire che il corpo di Gesù, terreno e glorioso, si rintraccia nei corpi dei poveri e degli ammalati. La bellezza non conosce confini. Anche quelli che non contano, anche i corpi di quelli che sono spesso rifiutati in un mondo selettivo, meritano l'attenzione di Gesù. Ci si può chiedere perché Gesù abbia orientato la sua attività verso i corpi di quelli che cercavano guarigione. Infatti l'attività di Gesù si divide in due grandi campi:  parole (insegnamenti) e fatti (guarigioni ed esorcismi). Gesù è un maestro ma anche un taumaturgo. Il corpo diventa per lui una scelta costante. Si può dire che le guarigioni di tanti malati, compiute da Gesù, anticipano il suo mistero pasquale, la sua morte e la sua risurrezione. Così, la sua vita diventa una restaurazione della vita degli altri, un riscatto di corpi sottomessi a forze oscure di male e di malattia, una lotta perché la bellezza del creato sia rifatta in quelli che sono preda di forze brutte di morte. Guarire è liberare la persona dal peso di male che agisce in essa e riportarla a una umanità piena, non più frantumata e avvilita.


(©L'Osservatore Romano - 2 settembre 2010)
stampa la pagina



Gli ultimi 20 articoli