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Ascensione del Signore Commento Patristico (Undicesima Ora)

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S. Leone Magno

Dal Discorso 74, 2-5

Dilettissimi, il Signore dopo aver compiuto tutto ciò che conveniva alla predicazione del Vangelo e ai misteri del Nuovo Testamento, quaranta giorni dopo la risurrezione, elevandosi al cielo sotto lo sguardo dei discepoli, pose termine alla sua presenza corporale per restare alla destra del Padre fino a quando si compiranno i tempi divinamente stabiliti per moltiplicare i figli della Chiesa: allora egli verrà per giudicare i vivi e i morti in quella stessa carne nella quale ascese. Quel che era visibile del nostro Redentore, passò sotto i segni sacramentali. E perché più eccellente e più forte fosse la fede, la dottrina prese il posto della visione con lo scopo che i cuori dei credenti, illuminati da suprema luce, ne seguissero l’autorità.
Tale fede fu accresciuta con l’ascensione del Signore e irrobustita col dono dello Spirito Santo. Per questo essi non temettero più le catene, le carceri, l’esilio, la fame, il fuoco, l’essere sbranati dalle fiere, né i supplizi raffinati dalla crudeltà dei persecutori. Per questa fede in ogni parte del mondo non solo uomini, ma anche donne, non solo fanciulletti inermi, ma anche tenere bambine, combatterono fino all’effusione del loro sangue.
Questa è la fede che ha messo in fuga i demoni, ha scacciato le malattie, ha risuscitato i morti. Persino i santi Apostoli che erano stati confermati da tanti miracoli e ammaestrati da frequenti discorsi, ma che avevano provato spavento per la atrocità della passione del Signore e non senza esitazione avevano accettato la verità della risurrezione di lui, dal momento dell’ascensione ricevettero sì gran profitto che si mutò per essi in gaudio quel che prima li aveva riempiti di timore. Erano protesi, infatti, con tutta la tensione contemplativa della mente verso la divinità di colui che sedeva alla destra del Padre. Non erano più trattenuti ora dall’oggetto della visione corporea per cui fosse meno possibile applicarsi con l’acume della mente in colui che discendendo non si era assentato dal Padre, né ascendendo si era allontanato dai discepoli.
Dilettissimi, il Figlio dell’uomo e Figlio di Dio si manifestò in maniera più elevata e più sacra quando entrò nella gloria del Padre in maestà. Allora incominciò a essere presente in modo ineffabile chi si era allontanato alquanto con l’umanità. Allora la fede con più consapevolezza, mediante i passi della mente, cominciò ad accostarsi al Figlio riconoscendolo uguale al Padre, e a fare a meno di esperimentare in Cristo la sostanza corporea, che è minore del Padre. Certamente, pur continuando a esistere la natura nel corpo glorificato, la fede dei credenti era stimolata a toccare, non con mano di carne, ma con intelligenza di spirito, l’Unigenito che è uguale al Genitore. Di qui si comprende perché a Maria Maddalena, che nell’accostarsi di corsa a lui per abbracciarlo rappresentava la Chiesa, il Signore disse: Non tenermi così, perché non ancora sono asceso al Padre (Gv 20, 17), intendendo dirle: Non voglio che tu ti avvicini a me con vicinanza corporale, né che mi riconosca con i sensi corporei. Ti trasporto a cose più sublimi, ti offro cose più grandi; quando sarò asceso al Padre, allora mi abbraccerai con più perfezione e verità, perché raggiungerai ciò che non tocchi, crederai ciò che non vedi. ...
Esultiamo con spirituale gaudio; rallegriamoci nel presentare a Dio un degno ringraziamento, solleviamo liberamente gli occhi della mente a quell’altezza nella quale Cristo si trova. I desideri terreni non aggravino più gli animi invitati all’alto: gli eletti alle cose eterne non si lascino preoccupare da ciò che perirà. Chi si è inoltrato nella via della verità, non si lasci trattenere da ingannevoli attrattive. I fedeli passino per queste realtà temporali nella consapevolezza di essere pellegrini in questa valle del mondo, ove, se sono forniti di alcune comodità, non devono con sfrenatezza abbracciarle, ma costantemente superarle. Il beatissimo Pietro ci esorta a tale fervore religioso e in conformità alla carità che per le pecorelle di Cristo, affidate alle sue cure pastorali, concepì nella triplice professione di amore verso il Signore, istantemente ci prega: Carissimi, vi supplico, quali stranieri e pellegrini su questa terra, di astenervi dalle cupidigie  carnali che fanno guerra all’anima (1 Pt 2, 11). ... Perciò facciamo resistenza, o dilettissimi, a questo male così pestilenziale; e seguiamo la carità senza di cui nessuna virtù si sostiene. Il nostro scopo è di poter anche noi salire a Cristo per quella via dell’amore, per la quale a noi egli è disceso.


 Dal Sussidio biblico-patristico per la liturgia domenicale, a cura di don Santino Corsi, ed. Guaraldi
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