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23 Maggio 2010 PENTECOSTE (ANNO C) Famiglie della Visitazione

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Giovanni 14, 15-16.23b-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
15«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre,
23bSe uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

1) Il testo di questa domenica di Pentecoste ci riporta al cap. 14 del vangelo secondo Giovanni già toccato nella domenica prima dell’Ascensione e al lungo discorso che Gesù fa ai discepoli prima della sua Passione. Gesù ha detto ai suoi che sta per tornare al Padre: i discepoli rimangono turbati, questa separazione li coglie di sorpresa e li amareggia, tutto sembra finito. Allora il Signore comincia a parlare dello Spirito Santo, a spiegare come sarà la vita futura della comunità dei suoi discepoli e del modo nuovo in cui Lui continuerà ad essere presente.
2) Se mi amate, osserverete i miei comandamenti: il binomio amare/osservare è il ritornello di questo testo. C’è l’eco del Deuteronomio; in Dt 5 Mosè presenta il decalogo (le dieci parole) e al v 10 dice: dimostra la sua bontà fino a mille generazioni per quelli che amano e osservano i miei comandamenti. Lì non c’è dubbio su quali siano i comandamenti. Ma qui, di che cosa si tratta? Quali sono i comandamenti di Gesù? Poco più avanti nei vv 23-24 al posto di “i miei comandamenti” c’è la “mia parola”, sono termini che ci rimandano all’insegnamento di Gesù nel suo insieme, alla fede nella sua stessa persona.
3) E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre: Paraclito è un termine usato solo da Giovanni e ha il significato di “chiamato accanto” nel senso di aiutare, intercedere; nel linguaggio giuridico diventa l’avvocato (ad-vocatus). Più sotto al v 26 Gesù lo chiama anche “Spirito Santo”. Perché “un altro”? In 1Gv 2,1 il Paraclito è Gesù: abbiamo un Paraclito presso il Padre, Gesù Cristo il giusto. Lui è stato fino a quel momento accanto ai discepoli, ma diventerà colui che, seduto alla destra del Padre con la sua umanità, intercede presso il Padre per tutto il mondo. Gesù presenta lo Spirito Santo come “un altro Paraclito”, operante in modo distinto da Lui. Gesù è “l’avvocato” celeste; lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel nome di Gesù, sta sulla terra accanto agli uomini per sempre.
4) Prenderemo (lett. faremo) dimora presso di lui: si realizzano le parole dei profeti. Porrò il mio santuario in mezzo a loro per sempre. In mezzo a loro sarà la mia dimora (Ez 37, 26-27). Per opera dello Spirito Santo, il cuore stesso del discepolo diventerà la tenda di Dio, la sua abitazione: Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? (1Cor 3,16).
5) Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto: si potrebbe pensare che lo Spirito ha solo il compito di non far dimenticare le parole passate. Ma allora perché lo Spirito insegnerà (al futuro) ogni cosa? Non è già stato insegnato tutto? Il Paraclito che sta accanto ai discepoli avrà quindi due funzioni: fare memoria di quello che Gesù ha detto e fare vivere quella Parola nelle vicende degli uomini di tutti i tempi.

Atti 2,1-11
1Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
5Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si ra-dunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residen-ti, 11Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

1) Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste: la festa ebraica di Pentecoste, o festa delle settimane, veniva celebrata il cinquantesimo giorno (sette settimane) dopo la festa di Pasqua, con l’offerta a Dio delle primizie nel Tempio (Es 34,22). Successivamente la festa divenne la celebrazione della consegna della Legge ad Israele sul Sinai. Il dono dello Spirito che, proprio al compiersi di questo giorno festivo discende sulla Chiesa, segna il compiersi della Legge antica nella nuova economia dello Spirito.
2) Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo: viene qui sottolineata la comunione dei discepoli come il “luogo” che accoglie il dono dello Spirito e che, nello stesso tempo, è il frutto della presenza dello Spirito: Entrati [i discepoli] nella città, salirono nella stanza al piano superiore [il cenacolo], dove erano soliti riunirsi… Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria la madre di Gesù (At 1,12-13).
3) Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento: questo grande rumore ricorda quello della manifestazione di Dio sul Sinai (Es 19,16-19). Il vento che soffia è segno della nuova creazione che si sta compiendo per opera dello Spirito. Mentre nella prima creazione Dio aveva comunicato all’uomo un soffio divino di vita (Gen 2,7), ora gli comunica il Suo stesso Spirito.
4) Apparvero loro come delle lingue di fuoco che si dividevano (lett. divise) e si posarono su ciascuno di loro: il fuoco indica l’azione potente della Parola di Dio (Ger 23,29). Le lingue di fuoco che si posano sui discepoli rappresentano il compiersi in loro del battesimo in Spirito Santo e fuoco, secondo la promessa del Signore (Lc 24,49; At 1,8). Dal cielo in cui è asceso il Figlio invia lo Spirito Santo (Gv 16,7) perché Gli renda testimonianza Gv 15,26). Non è solo una comunicazione dello Spirito all’insieme della Chiesa (Gv 20,22): qui lo Spirito è come se spezzasse la sua originaria unità (Sap 7,27) per comunicarsi a ciascuna persona. Come la gloria del Figlio si era nascosta nella persona di Gesù di Nazareth, così la gloria dello Spirito ora discende su ciascuna persona assumendo la forma di un particolare linguaggio che le viene donato (le lingue di fuoco).
5) Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo con cui lo Spirito santo dava loro: pur posandosi su ciascuno una particolare lingua di fuoco, ogni linguaggio che lo Spirito insegna non si chiude mai in se stesso, ma presenta una sua originale capacità di comunicare con tutti gli altri linguaggi dello Spirito e dunque di esprimerli tutti secondo una operatività che, non a caso, è caratteristica della carità (1Cor 13; 1Cor 9,19-23), per cui l’altro non è mai un estraneo. Mentre il tentativo di unificare l’umanità attorno ad una torre di orgoglio, che vorrebbe esorcizzare le diversità costringendole in un sistema unico, approda all’incomunicabilità dei linguaggi ed alla dispersione del genere umano (v. torre di Babele in Gen 11), i linguaggi dell’amore che lo Spirito insegna ricostituiscono ora l’unità del genere umano nel linguaggio universale dell’amore, proprio a partire dalla loro mirabile molteplicità.
6) Abitavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo… Erano stupiti...; dicevano: Tutti costoro che parlano non sono forse tutti Galilei?... Come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?: nel “miracolo di Pentecoste” vi è un ulteriore motivo di meraviglia, qui suggerito dal testo degli Atti: i discepoli, investiti dall’azione dello Spirito, sono da questa azione trasformati, ma nello stesso tempo conservano le loro caratteristiche umane, compreso il loro accento che li denuncia come galilei (Gv 7,52).
Romani 8,8-17
Fratelli, 8quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. 9Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.
10Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. 11E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
12Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, 13perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. 14Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.
15E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». 16Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. 17E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

1) Il brano odierno è molto ricco e per ragioni di spazio potremo cogliere solo qualche piccola sfumatura. In questo capi-tolo l’apostolo descrive la vita dell’uomo che deve fare i conti con una nuova presenza: lo Spirito di Dio, e nei vv 1-8 (dei quali si raccomanda la lettura) la descrive in termini generali, dal v 9 (Voi però…) il discorso è rivolto direttamente ai romani, destinatari della lettera.
2) Quelli che si lasciano dominare dalla carne – Voi però non siete sotto il dominio della carne: la traduzione CEI vuole sottolineare l’aspetto morale mentre il testo è più semplice e sponsale: Quelli che sono nella carne – Voi però non siete nella carne. Per Paolo (e per il mondo semita) “essere in” sottintende un rapporto intimo di totale comunione sponsale, come tra l’uomo e la donna; l’apostolo non sta parlando di “atti carnali peccaminosi” in contrapposizione ad una vita casta e pura (per il solo fatto che l’uomo esiste non può non peccare, e quando pecca lo fa solo nella carne, altrimenti  non esisterebbe); bensì Paolo desidera che i suoi interlocutori si rendano conto che la loro carne non è più nella solitudine (essere nella carne) ma è stata sposata da Dio (essere nello Spirito), e di conseguenza è destinata alla Pasqua. Naturalmente l’uomo vive entrambe le esperienze, per cui quando dimentica di avere lo Spirito vive nel peccato provocato dalla solitudine (ed è nella carne) ma quando si “lascia guidare dallo Spirito di Dio” (v 14) allora sperimenta le nozze con l’Eterno (ed è nello Spirito).
3) Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per [a causa del] il peccato, ma lo Spirito è vita per [a causa della] la giustizia: ecco il miglior commento alle parole dell’apostolo Giovanni: Chiunque rimane in lui non pecca; chiunque pecca non l’ha visto né l’ha conosciuto (1Gv 36), e c’è un solo modo per saperlo: Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce è non vi è in lui occasione d’inciampo (1Gv 2,9-10). È la carità che ci dice se siamo nella carne o in Spirito.
4) Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo “Abbà, Padre: la Pasqua del Signore ha modificato la relazione tra l’umanità peccatrice e il Padre: l’incarnazione del Figlio, la sua Passione e la sua Ascensione (con la quale il Cristo si è assiso ‘nella carne’ alla destra del Padre) hanno reso possibile l’adozione di ‘ogni carne’ come appartenente alla carne del Figlio, ecco perché possiamo gridare finalmente ‘Abbà, Padre’ insieme a Gesù nel Getsemani (cfr. Mc 14,36). L’essere ‘figli adottivi’ non significa quindi essere figli di serie B, solo Gesù è IL FIGLIO, ma tutta l’umanità viene oramai vista dal Padre SOLAMENTE nella carne del Figlio. È quindi un’adozione che ha trasformato la natura. Ricordiamo volentieri le parole sempre di Paolo: …da morti che eravamo per le colpe, [Dio]ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù… (Ef 2,5-6): l’apostolo sottolinea che noi, i viventi, siamo già seduti alla destra del Padre, nella persona del Figlio, per la misericordia di Dio.

SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE

Da una ventina di secoli o poco più, è nata una proposta estremamente raffinata e alta - e proprio per questo poco accolta e praticata dai suoi stessi protagonisti, i cristiani - che prevede l'abolizione di ogni "legge", e l'unificazione di tutto l'agire umano in un unico criterio interpretativo: l'amore. Abolizione della legge ed egemonia dell'amore esigono un terzo elemento di guida: la libertà. Sogno o realtà? Noi oggi ci congediamo come il solito per qualche mese dal nostro foglietto dei commenti domenicali. Mi piace che Pentecoste ci regali quest'anno una speranza semplice e grande. Dico dunque: non si tratta di un sogno lontano dal reale per due motivi. Innanzitutto perché ben conosciamo nella nostra storia e nella nostra tradizione persone luminose che tale liberazione-libertà-amore hanno vissuto e comunicato: da S. Francesco d'As-sisi a Papa Giovanni. E quanti altri! Non posso non custodire preziosa la viva testimonianza di mio padre. Ma c'è anche un secondo motivo che non può essere ignorato perché è esperienza di tutti, e che mi sembra confermato dal commento che questo foglietto propone del testo di Romani: e cioè che tutti noi conosciamo in noi stessi almeno qualche frammento di questa nuova vita d'amore! Ed è così perché la riconosciamo come il regalo più bello che abbiamo ricevuto, anche se poco sappiamo custodirlo e ancor meno sappiamo concretamente viverlo.
Ritorna oggi una parola che abbiamo già ascoltata due domeniche fa, e cioè che l'osservanza dei comandamenti è propria di chi ama, perché solo chi ama può trasmigrare dalla soggezione alla legge alla libertà di celebrare ogni precetto come volto e come via dell'amore. Nessuno può fermare il nostro desiderio di fare del bene a tutti quelli a cui vogliamo bene. Ma come sappiamo l'amore è seduzione pericolosa, perché costringe a dilatare i confini del nostro spirito, in quanto ci mostra con prepotenza che non è vero grande amore per qualcuno quello che porta con sé il non amore per altri. L'amore è invasivo, prepotente e geloso. Per questo non sopporta che gli si mettano limiti. E neppure contrapposizioni. Perché se ha ragione Gesù a dire che l'amore è amore del prossimo, cioè della relazione più intima e più immediata, proprio per questo non si può impedire all'amore di invadere incessantemente spazi nuovi. Mi trovavo ieri sera accanto ad una per-sona che stava lasciando questo mondo. Una persona ben più giovane di me. Ma ho avvertito che ero come accanto a mio padre, e che in quel momento celebravo con quella persona l'amore che mi unisce a mio padre. Ma ero vicino anche a S. Giovanni Battista che oggi avrei incontrato nei primi versetti del terzo capitolo di Matteo, e sentivo che dicevo a questo fratello di alzare con pace e letizia lo sguardo del cuore perché il regno dei cieli era a lui vicino, per prenderlo per mano e per baciarlo. Perché l'amore è indivisibile: il fuoco di pentecoste si divide per unire nello stesso amore, così come sono diverse le lingue per chiamare tutti allo stesso linguaggio dell'amore.

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